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Cordelia chiuse gli occhi, esausta, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dormire. L’orologio ticchettava nella sua testa. Erano trascorsi due giorni dalla partenza da Base Tanery. Così vicini al loro obiettivo, e ancora così lontani dal successo… ad un tratto sussultò. Il veicolo aveva rallentato all’improvviso, abbassandosi al suolo con uno scossone. L’eco del motore la informò che non erano più in aperta campagna.

Bothari guardò dal finestrino che comunicava con la cabina di guida e annuì verso l’autista. — L’amico dice che siamo al capolinea — borbottò, andando ad aprire lo sportello. I quattro scesero e si spostarono sul marciapiede. Non era ancora l’alba, faceva freddo, e dalle loro bocche uscivano nuvolette di vapore bianco. Nella zona erano accesi appena pochi lampioni, più di quel che Cordelia si sarebbe aspettato in tempo di guerra. Bothari andò a parlare con l’autista e il veicolo si sollevò dal suolo, investendoli con una raffica di vento.

— Non poteva portarci fino al Mercato Centrale — grugnì Bothari. — Dice che le derrate arrivano a quest’ora, e che ci sono più guardie municipali adesso che nel resto della giornata.

— Si aspettano dei disordini per la mancanza di cibo? — domandò Cordelia.

— Senza dubbio. E sono ansiosi di arraffare tutto quello che possono — disse Koudelka. — Vordarian dovrà mandare altre truppe nei punti chiave della città, prima che i generi alimentari razionati finiscano anch’essi al mercato nero. — Quando dimenticava d’essere un ufficiale, il giovanotto rivelava una discreta conoscenza dei trucchi usati dai commercianti. Com’era riuscito un bottegaio di periferia a mandare suo figlio prima alle scuole superiori e poi all’Accademia Militare Imperiale? Cordelia sogghignò fra sé, poi guardò su e giù per la strada. Era un vecchio quartiere, con edifici a cinque o sei piani risalenti a prima dell’epoca dei pozzi antigravità, scoloriti dalla pioggia, con i tubi dell’acqua, del gas, e i cavi elettrici tutti all’esterno, come se li avessero aggiunti solo in un secondo tempo.

Bothari, che sembrava sapere dove stava andando, li guidò verso il centro. L’aspetto dei caseggiati non migliorò per questo, anzi le strade si fecero più strette e sporche; nei vicoli fra gli edifici stagnava un misto di odori fra cui quello della semplice spazzatura era forse il più accettabile. Il funzionamento dell’illuminazione stradale era lasciato al buon cuore dei teppisti. Drou s’era aperta la blusa per poter arrivare in fretta alla fondina. Koudelka tirava avanti zoppicando stancamente, appoggiato al suo bastone.

Davanti a una porta su cui un’insegna dipinta a mano illuminata da una lampadina a bulbo diceva soltanto CAMERE LIBERE, Bothari si fermò. — Qui dovrebbe andar bene. — La porta, un vecchio battente non automatico fissato a cardini girevoli, era chiusa. Visto che il campanello sembrava introvabile, Bothari bussò col pugno. Dopo un tempo interminabile uno sportello largo meno di un palmo si aprì, e un occhio sospettoso sbirciò all’esterno.

— Chi è? Che vuoi? — brontolò una voce maschile.

— Una stanza per dormire.

— A quest’ora dannata? Torna più tardi, eh?

Bothari portò Drou più in vista. La luce che usciva dallo spioncino illuminò il volto della ragazza bionda.

— Uh… be’. Momento — grugnì la voce. Ci fu rumore di ferraglia, il fruscio di un ultimo catenaccio, e la porta si aprì.

I quattro entrarono in una stretta anticamera da cui partiva una scala. Sulla destra c’era una scrivania con un telefono senza video e uno scalcinato televisore a schermo bidimensionale, e più oltre l’ingresso di un corridoio semibuio. In pigiama e con la barba lunga il gestore, un uomo grassoccio di mezz’età, si mostrò ancora meno entusiasta quando seppe che pur essendo in quattro volevano una stanza sola. Non fece domande. Evidentemente la stanchezza e la disperazione aggiungevano un tocco magico al loro aspetto esteriore di miseri sfollati. Con la sua faccia, e inoltre due malmesse e un individuo zoppicante al seguito, Bothari aveva un biglietto d’ingresso pagato per qualunque ambiente al di sotto di quelli rispettabili.

Il gestore assegnò loro una stanza al terzo piano dell’edificio, non molto ampia, e Koudelka e Droushnakovi fecero il primo turno di sonno sui due letti che la occupavano. Poco più tardi, mentre la prima luce del giorno si spandeva sulla periferia della metropoli, Cordelia e Bothari scesero a cercare qualcosa da mangiare.

— Avrei dovuto portare delle razioni militari, sapendo che la città era in questa situazione — mormorò Cordelia.

— Non c’è problema, milady — disse Bothari. — Ah… meglio che non parli molto. Il suo accento.

— Giusto. In tal caso cerca di fare due chiacchiere con quest’uomo, se è possibile. Vorrei sapere come la pensa la gente di qui.

Trovarono il gestore, sempreché fosse tale, in una stanza in fondo al corridoio del pianterreno; a giudicare dal bancone e dai tre tavoli forniti di sedie quello era il bar-sala da pranzo della locanda. L’uomo vendette loro quattro vassoi autoriscaldanti di cibo e un paio di bottiglie d’acqua minerale, a un prezzo molto inflazionato, lamentandosi del razionamento e buttando lì senza troppo interesse qualche domanda su di loro.

— Avevo in programma questo viaggio da mesi — borbottò Bothari, appoggiando i gomiti al bancone. — Ci mancava solo questo schifo di guerra per rovinarmi gli affari.

Il gestore emise un grugnito incoraggiante, aspettò il seguito, poi si decise a chiedere: — Sei in affari, tu? Che merce tratti?

Bothari si grattò un dente con un’unghia sporca, inarcò un sopracciglio e accennò col capo verso le scale. — L’hai vista la bionda che sta con me?

— Sì. Bel pezzo di femmina.

— Vergine.

— Noo! Mi prendi in giro?

— Io vendo solo roba genuina, amico. Quella lì ha classe. Volevo vendere la primizia a un qualche Vor, alla Festa d’Inverno. C’è da tirarsi in tasca un po’ di moneta con quelli. Ma ora sento dire che se ne stanno rintanati. Potrei tentare con un riccone della Riva Destra, certo, però lei mi storce il naso. Si è ficcata in capo che il primo dev’essere un Lord.

Cordelia finse di grattarsi il naso per mascherare il sogghigno e cercò di non emettere alcun suono. Era un bene che Drou non avesse chiesto i particolari della sua copertura, secondo l’idea che ne aveva Bothari. Santo cielo! Possibile che i barrayarani fossero disposti a pagare per sottoporre una femmina a un’iniziazione così sanguinosa?

Il gestore le gettò uno sguardo. — Dai retta a me, lasciaci la donna su col tuo compare quando esci, altrimenti il tuo Lord rischia di avere una brutta sorpresa. E tu pure.

— No. — Bothari scosse il capo. — L’amico, su, è più castrato di un pollo da allevamento. Un colpo di distruttore neuronico proprio sul suo amico più caro. È in congedo, adesso. Come me.

— Anche tu sei stato ferito?

— Me mi hanno congedato perché facevo funzionare troppo bene il magazzino. — Bothari mosse in circolo la mano aperta, a palmo in giù. — Capito cosa intendo? Operazioni commerciali.

Cordelia aveva sentito alcuni sottufficiali parlare con disprezzo di colleghi cacciati dal Servizio per aver intrallazzato con le forniture militari, ma chiaramente in altri ambienti quello era un titolo di merito.

Il gestore ridacchiò. — E ti sei messo a lavorare con uno spastico? — chiese, indicando con un cenno del capo i piani superiori.

— Lui ha delle conoscenze in città, ecco perché me lo sono portato dietro. Figli di Lord e altri. Ha fatto l’Accademia.

— Be’, gli serviranno a poco, adesso. Quei ricchi bastardi sono sotto le armi o imboscati. Non è il momento.