Quando furono nel vasto parcheggio sotterraneo, Drou si fece cauta; a volte gli accattoni entravano a dormire fra i veicoli. — Qui sì che sembriamo fuori posto. — Bothari restò di guardia mentre lei estraeva dal pavimento il coperchio di una botola col simbolo dell’acquedotto municipale. Scesa la scaletta la ragazza li guidò lungo un tunnel alto tre metri, svoltando in un paio di diramazioni. Le luci erano accese, e Cordelia capì che quel passaggio doveva essere usato di frequente; tese gli orecchi, ma udì solo l’eco dei loro passi.
Più avanti trovarono un altro coperchio circolare. Droushnakovi lo sollevò con lo stesso gancio. — Lasciatevi penzolare in basso e saltate giù. È alto appena due metri. Forse sul fondo ci sarà dell’acqua.
Cordelia entrò nella botola e si lasciò cadere nell’oscurità, atterrando con un violento splaash! Accese la torcia elettrica e vide che si trovava in un cunicolo di cemento. L’acqua, nera e untuosa, le arrivava ai ginocchi. Ed era gelida. Si scostò in fretta per far posto a Bothari. In piedi sulle spalle dell’uomo Drou rimise a posto il coperchio, poi saltò accanto a lei con un altro splaash! che la riempì di schizzi. — Questa fognatura va avanti per mezzo chilometro, adesso. Seguitemi — disse la ragazza. Annaspando nell’acqua dietro di lei Cordelia cercò di convincersi che fosse soltanto acqua. Scorreva in fretta, ma non era ancora l’alba. Possibile che tanta gente sopra di lei stesse già usando il gabinetto?
Dopo mezzo chilometro si arrampicarono in un orifizio tondo situato in alto, che li condusse in un cunicolo ancora più stretto, di mattoni anneriti. Era asciutto, ma così basso che furono costretti a procedere camminando a quattro zampe. Cordelia sentì che Bothari imprecava, dietro di lei; le sue spalle ci passavano a stento. Drou rallentò l’andatura e cominciò a battere sul soffitto con il pomo del bastone di Koudelka. Quando sentì un suono cavo si fermò. — Qui. C’è una leva che abbassa il coperchio. Lasciatemi spazio. — Sfoderò la spada e spinse la lama in una fessura fra i mattoni. Il pesante coperchio, incernierato, piombò giù di colpo sfiorandole la faccia. Con un grugnito la ragazza rinfoderò la spada. — Di sopra — disse, inerpicandosi fuori.
Il passaggio in cui Cordelia la seguì era un budello ancora più esiguo e corroso dal tempo, in leggera salita. Andarono avanti strisciando nelle pareti umide e sporcandosi di incrostazioni grigie che dalla consistenza sembravano calcare, oppure muffa, oppure quello a cui tutti stavano cercando di non pensare. Ad un tratto Drou si alzò in piedi, scavalcò un mucchio di mattoni rotti e passò in un oscuro sotterraneo piuttosto largo, col soffitto sostenuto da grossi pilastri.
— Che posto è questo? — sussurrò Cordelia. — Non ha l’aspetto di un tunnel…
— Le vecchie scuderie — rispose Drou. — Siamo sotto i giardini della Residenza Imperiale.
— Allora non può essere molto segreto. Devono esserci tubazioni e impianti di drenaggio. Sicuramente qualche ingegnere ha una mappa di questi sotterranei. — Cordelia si guardò attorno. Il soffitto di mattoni, ad archi acuti, le faceva pensare a un antico castello terrestre.
— Sì, ma questa era la cantina delle vecchie vecchie scuderie. Non le scuderie di Dorca: quelle del suo prozio. Ci teneva più di trecento cavalli. Morirono tutti in un incendio spettacolare, circa duecento anni fa. Invece di ripararle, qui spianarono tutto e costruirono sul lato est le nuove vecchie scuderie; quelle che poi ai tempi di Dorca furono trasformate in alloggi per il personale di servizio. La maggior parte degli ostaggi sono tenuti là. — Drou s’incamminò con sicurezza, come se conoscesse il luogo a menadito. — Qui siamo a nord della Residenza, sotto il giardino progettato da Ezar. Fu lui a trovare queste cantine, trent’anni fa, e chiese a Negri di ristrutturarle e sistemare i passaggi. Una via di fuga che neanche la loro Sicurezza conosceva. Porta su nell’appartamento dove l’Imperatore ha tirato l’ultimo respiro.
— Riposi in pace. Il mio ultimo spero di tirarlo molto lontano da qui — mormorò Cordelia.
— Ci sono due uscite. Il vero rischio comincerà quando saremo di sopra — disse Droushnakovi.
Sì, erano ancora in tempo a ripensarci e tornare indietro, e pochi avrebbero potuto dar loro torto. Perché questi due mi hanno permesso di giocare così con la loro vita? Dio, come detesto questa responsabilità. Da qualche parte sgocciolava dell’acqua. Ci fu un rumore metallico.
— Qui — disse Droushnakovi, illuminando una pila di cassette di legno e scatole d’acciaio. — I rifornimenti di Ezar. Armi, vestiti e denaro contante. Ci sono anche documenti falsi, le chiavi di un appartamento in periferia e altre cose. L’anno scorso, al tempo dell’invasione di Escobar, Negri mi chiese di portare quaggiù degli abiti da donna e da bambino. Pensava che ci sarebbero stati dei disordini in città, ma la morte di Vorrutyer mise fine a tutto.
I tre si tolsero gli indumenti bagnati e inzaccherati. Drou tirò fuori da uno scatolone degli abiti da donna, tutti un po’ troppo larghi per Cordelia ma di ottimo taglio e adatti a quei dipendenti imperiali che potevano circolare anche senza l’uniforme. Bothari tirò fuori da una borsa la sua tuta militare nera e vi aggiunse gradi e berretto della Sicurezza Imperiale. Era sporco e aveva la barba lunga, ma se non lo avessero guardato da vicino, poteva passare per una guardia di servizio alla Residenza. Come aveva detto Drou, le scatole metalliche contenevano un piccolo arsenale di armi cariche. La ragazza consegnò a Cordelia uno storditore, e i loro occhi s’incontrarono. — Nessuna esitazione, stavolta, eh? — mormorò lei. Drou sogghignò duramente. Bothari prese un distruttore neuronico e una pistola a plasma.
— Non vorrai sparare con quella in un locale chiuso? — si stupì Drou. Con il riverbero del plasma c’era poco da scherzare.
Bothari scrollò le spalle. — Non si sa mai.
Dopo un momento Cordelia decise di appendersi alla cintura anche il bastone-spada. Non era un’arma per lei, ma s’era dimostrato un utensile utile e aveva la sensazione che le portasse fortuna. Poi, dal fondo della sua borsa da viaggio, tirò fuori quella che poteva essere la loro arma migliore.
— Una scarpa? — si stupì Droushnakovi.
— La scarpa di Gregor. Per quando prenderemo contatto con Kareen. Scommetto che ha tenuto l’altra. — Cordelia se la ficcò in una tasca del bolero ricamato che le dava l’aspetto di una dipendente di rango un po’ superiore alla comune servitù.
Quando i loro preparativi furono finiti, Drou li condusse in un passaggio stretto e lungo. — Ora siamo sotto l’angolo nord della Residenza — disse, fermandosi in un anfratto. — Saliremo per questa scala a pioli. È stata montata nell’intercapedine fra due muri; non c’è molto spazio.
Quell’affermazione si rivelò fin troppo esatta. Cordelia si tirò su dietro di lei in silenzio, attenta a non sbattere ginocchi e gomiti contro le pareti. I pioli erano, naturalmente, di legno. La sua mente era rallentata dalla stanchezza ed eccitata dall’adrenalina; si sforzò di cercare una via di mezzo. Portare il simulatore uterino giù per quella scaletta sarebbe stato difficile. Pensa in modo positivo, si rimproverò. Poi stabilì che quello era un pensiero positivo. Perché sto strisciando in questo budello come un topo? Potrei essere a Base Tanery, a letto con Aral, e lasciare che questi barrayarani si ammazzino fra loro finché vogliono, se non hanno altro piacere nella vita…
Le sembrava di aver salito almeno quattro piani allorché, sopra di lei, Drou si spostò su una piattaforma laterale non più larga di una trentina di centimetri. Quando Cordelia la raggiunse la ragazza si mise un dito sulle labbra e le accennò di spegnere la torcia; poi toccò un meccanismo nascosto, e con un fruscio appena udibile l’intero massiccio pannello che avevano davanti girò sui cardini aprendosi come una porta. Evidentemente tutto era stato ben oliato, almeno fino alla morte di Ezar.