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Tornarono in laboratorio ad ascoltare la prima diagnosi dei medici sulle infermità di Miles, approvare un programma di cure e terapie, e avvolgerlo in panni caldi per portarlo a casa. Era così piccolo, un fagottino di carne leggero come un gatto, scoprì Cordelia quando poté prenderlo fra le braccia, pelle contro pelle con lei per la prima volta da quando era stato tolto dal suo corpo. Ebbe un attimo di panico. Aiutarlo a sedersi sul vasino per chissà quanti anni. Come posso accollarmi questo… I figli potevano essere o non essere una benedizione, ma metterli al mondo e poi trascurarli era il marchio dei dannati. Anche Piotr lo sapeva. Aral tenne aperta la porta per loro.

Benvenuto su Barrayar, figlio. Ora sei qui. Hai avuto un mondo fatto di ricchezza e povertà, con una storia sanguinosa, travagliato da nuovi mutamenti. Hai avuto una famiglia e un nome: Miles significa «Milite», ma non lasciare che questo ti suggestioni. Hai avuto un corpo sciancato in una società che teme e odia i mutanti di cui sono ancora pieni i suoi incubi. Hai avuto un titolo, ricchezza, potere, e tutta l’invidia e l’ostilità che ne verranno. Hai avuto un nonno che ti augura l’inferno. E avrai amici che non desideri, e nemici di cui non conoscerai neppure l’esistenza. Sopporta il dolore, afferra ogni gioia, e cerca il senso della tua esistenza, perché l’universo non sarà mai così generoso da offrirtene uno. Sii sempre un bersaglio mobile. Vivi. Vivi. Vivi.

EPILOGO

VORKOSIGAN SURLEAU — CINQUE ANNI DOPO

— Dannazione, Vaagen — ansimò Cordelia, senza fiato. — Lei non mi ha mai detto che quella piccola peste sarebbe stato iperattivo.

Scese di corsa gli ultimi scalini, attraversò la cucina e uscì sulla terrazza della vecchia dimora di pietra. Qui si sporse sulla balaustra e guardò fra gli alberi, poi sul prato e infine verso il lago, lucido come un vetro sotto il sole estivo. Nessun movimento.

Aral, vestito coi vecchi pantaloni di un’uniforme e una camicia scolorita, girò intorno alla casa e la vide. Mosse una mano nel gesto niente-da-fare. — Qui non c’è.

— Neanche dentro. Dove può essere andato, su o giù? Dov’è la piccola Elena? Scommetto che sono insieme. Gli ho proibito di scendere al lago senza un adulto, ma non so…

— No, non possono essere al lago — disse Aral. — Hanno nuotato tutta la mattina. Io mi sono stancato solo a guardarli. In quindici minuti d’orologio l’ho visto salire sul molo e buttarsi in acqua diciannove volte. Tu moltiplicalo per tre ore.

— Su, allora — decise Cordelia. S’incamminarono su per la collina lungo il sentiero di ghiaia costeggiato da cespugli, fiori, piante locali e altre di origine terrestre. — E pensare — si lamentò Cordelia, — che pregavo per il giorno in cui lo avrei visto camminare.

— È la voglia repressa di questi cinque anni, che ora si sfoga — diagnosticò Aral. — Però è positivo che tutta quella frustrazione non gli abbia causato una psicosi. Per un po’ ho temuto che sarebbe successo.

— Sì. Ma hai notato che dopo l’ultima operazione tutto quel suo chiacchierio è alquanto calato? Al principio è stato un sollievo, però… se fosse sintomo che sta per diventare muto?

— Non mi preoccupa che stia zitto. Mi preoccupa quello che fa quando sta zitto, – borbottò Aral.

Cordelia sorrise. – Be’, io non sapevo neppure che quel frigorifero si potesse smontare. Vorrà dire che diventerà un ingegnere muto.

— Mmh. Penso che nella crescita le sue attitudini meccaniche e verbali gli saranno utili. Anche se c’è chi è morto fulminato per le prime e strangolato per le seconde.

— Il fatto è che ha troppi adulti intorno. A volte ho l’impressione che lui abbia l’impressione d’essere circondato, soverchiato. – In cima alla collinetta Cordelia si fermò a riprendere fiato. Davanti a loro, più in basso, c’era la scuderia, un complesso di edifici in legno rosso e pietra, galoppatoi, recinti, e un verde quanto costoso pascolo d’erba terrestre. C’erano dei cavalli, ma nessun bambino. Da lì a poco tuttavia Cordelia vide Bothari, che uscì da un edificio e sparì in quello di fronte. Il suo muggito arrivò fino a loro: – Lord Miles!

— Santo cielo, spero che non stia dando fastidio ai cavalli di tuo padre – disse Cordelia. – Credi che il tentativo di riconciliazione funzionerà, stavolta? Voglio dire, può vederlo coi suoi occhi che Miles sta camminando.

— Ieri sera, a cena, è stato cortese – rispose Aral, speranzoso.

— Io sono stata cortese. – Cordelia scosse il capo. – Ha insinuato che tuo figlio resterà un nano perché io gli faccio patire la fame. Cosa posso farci, se a tavola gioca col cibo invece di mangiarlo? E non sappiamo se è possibile usare l’ormone della crescita; Vaagen è incerto sui suoi effetti su ossa così fragili.

Aral ebbe un sorrisetto storto. – A me è parso che il dialogo dei piselli che marciavano per circondare la salsiccia fosse simpatico. Li faceva sembrare davvero soldati in uniforme verde.

— Sì. E tu ridevi. Invece di ordinargli di ficcarseli in bocca e mangiare, come si suppone che debba fare un padre.

— Io non ridevo.

— I tuoi occhi ridevano. E lui lo sapeva. Non è così che un bambino impara a stare a tavola.

L’odore dei cavalli e del loro inevitabile sottoprodotto riempiva l’aria, quando furono sul terreno piano fra i recinti. Bothari apparve di nuovo, li vide e agitò una mano come per scusarsi di qualcosa. – Uh, stavo dicendo a Elena di scendere da quella specie di solaio. Lord Miles non è con lei. Dice che dev’essere qui in giro da qualche parte. Mi spiace, milady, ma quando ha detto che voleva vedere i cavalli non ho pensato che qui un bambino ti sparisce sotto gli occhi senza che uno capisca dove si è cacciato. Lo ritrovo in un momento.

— Speravo che tuo padre si offrisse di portarci a fare un giro – sospirò Cordelia.

— Credevo che i cavalli non ti piacessero – disse Aral.

— Li detesto. Ma ho pensato che a cavallo avrei potuto parlare a quel vecchio testardo come a un essere umano, invece di averlo davanti come una pianta in vaso. E Miles va matto per queste stupide bestie. A me non piace neppure passare di qui; questo posto è così… così Piotr. – Così arcaico, pericoloso, e bisogna guardare in terra prima di ogni passo.

Parlando del lupo. Piotr uscì in quel momento dal magazzino dei finimenti, arrotolando una corda. – Ah. Siete qui – disse in tono neutro. Comunque deviò verso di loro, educatamente. – Non credevo che vi interessasse vedere la nuova puledra.

La sua voce era così inespressiva che Cordelia non capì se voleva sentirsi rispondere di sì oppure di no. Tuttavia era un’opportunità da sfruttare. – Sono certa che a Miles piacerebbe molto.

— Mmh.

Lei si volse a Bothari. – Be’, guarda di trovarlo e… – Ma l’uomo le passò davanti, con un’imprecazione. Lei girò su se stessa.

Uno dei più poderosi cavalli del Conte, praticamente privo di finimenti, senza sella né una briglia con cui fermarlo, stava trottando fuori dalla stalla. Sulla sua groppa, avvinghiato alla criniera come una scimmia, c’era un bambinetto minuto e goffo, dai capelli scuri. Il suo faccino magro era un miscuglio di esaltazione e di terrore. Cordelia per poco non svenne.

— Il mio stallone arabo! – gemette Piotr, inorridito.

D’istinto Bothari estrasse lo storditore dalla fondina. Poi restò paralizzato dall’incertezza, non sapendo se sparare o meno, e dove. Se il quadrupede avesse dato uno scarto, sbalzando via il piccolo cavaliere…

— Guarda, sergente! – gridò Miles con voce acuta, eccitata. – Sono più alto di te!

Bothari cominciò a correre verso di lui. Il cavallo, spaventato, si allontanò per la tangente e accelerò l’andatura.

— E vado più svelto di te, anche! – Scosso dai sobbalzi, le sue parole furono quasi incomprensibili. Il cavallo deviò a destra e sparì dietro la scuderia.

I quattro adulti lo inseguirono. Cordelia non udì nessun grido, ma appena ebbe girato l’angolo vide che Miles giaceva al suolo. Il cavallo era andato a fermarsi poco più avanti e stava abbassando il muso su un ciuffo d’erba. Quando li sentì arrivare girò la testa, sbuffò, s’allontanò di qualche metro e ricominciò a brucare.