Si sforzò di sorridere. «Qualcosa da bere, Joni?»
«Credo di sì.» Sporgendo il labbro inferiore, la ragazza si guardò le unghie. Aveva sempre avuto un comportamento estremamente infantile. Non le si addiceva più, e lui avrebbe dovuto dirglielo. Dirle che non era più attraente, che lo infastidiva più di qualunque altra cosa. «Vino, suppongo.»
Al bancone, l'artista, che aspettava di essere servita, teneva la testa lievemente all'indietro e pareva un cavallo con le redini tirate. Sì, era sprecata per quel posto. Malcolm le si avvicinò, sorridendo gentilmente e pensando alla sua clitoride. «Buonasera.»
La donna gli rivolse uno sguardo divertito, un secco «buonasera», e poi, afferrando due bicchieri, si allontanò. Bliss sorrise tra sé. Puttana. Prese il drink che gli porgeva la tizia dietro il banco e pulì i lati del bicchiere di Joni lì dov'era stato toccato.
Joni non lo ringraziò quando lui le porse il drink, ma non gli importava, c'era abituato.
«State bene, ragazze?» domandò garbatamente. Per l'eccitazione aveva la bocca piena di saliva e dovette parlare con cautela, per non sbavare. «Tutto va liscio, eh?»
«No, per nulla.» Joni increspò le labbra, imbronciandosi. «Ne hanno presa una proprio vicino a casa nostra.»
«Santo cielo», commentò Bliss, sorseggiando la birra. «Sanno chi è stato?»
«No.» Rivolgendogli un'occhiata sprezzante, Joni si alzò, si mise la borsa a tracolla, tracannò entrambi i drink e si avviò lungo le scale, scuotendo la chioma bionda.
Malcolm e «Clitoride» rimasero seduti in silenzio. La ragazza sorseggiò lentamente la sua birra, mentre un vago rossore le saliva al viso. Lui lasciò passare qualche attimo prima di parlare.
«Non ho mai visto Joni tanto sconvolta.»
«Clitoride» annuì. «È preoccupata», mormorò, rivolgendosi più al bicchiere che a lui, come facevano molte persone. «Dice che ha intenzione di andarsene da Greenwich. Vuole partire.»
Bliss sentì un formicolio invadere ogni centimetro della sua pelle. Attese che la tensione allo stomaco e al pene diminuisse, poi parlò. «Sa già dove?» chiese, scrutando le scale. Poi, a voce più bassa, aggiunse: «Mi chiedo dove andrà».
46
Tornato a Shrivermoor, Jack non riusciva a rilassarsi. Si aggirava per l'archivio rovistando tra le carte, fissando le lavagne bianche, poi si piazzò dietro le impiegate, guardando i monitor al di sopra delle loro spalle, finché Marilyn non protestò, sostenendo che, in quel modo, lei s'innervosiva. Allora Jack si diresse nella stanza del capo e chiamò Jane Amedure.
«Scoperto niente sul cemento?»
«Il diffrattogramma è stato spedito nel Maryland. Sapremo qualcosa domani mattina.»
Jack ripescò il fax dell'ufficio personale, quello mandato da Bliss dal St. Dunstan's la settimana precedente, e lo esaminò nella speranza che qualcosa lo illuminasse. Ma così non fu, perciò si sedette con la testa fra le mani finché non calò il buio e gli uffici non si svuotarono. Fu allora che apparve Maddox, con indosso la giacca e la valigetta in mano.
«È molto nobile da parte tua, ma siamo realisti, eh? So di aver usato la frusta stamattina, però questo non significa che ti debba ammazzare di lavoro.»
«Sì, va bene, va bene.»
«Vai a dormire, capito?»
«D'accordo.» Dopodiché richiamò la dottoressa Amedure.
«Dia loro un po' di tempo, detective Caffery. Le prometto che domattina le telefonerò subito. Ora stiamo chiudendo.»
Jack rimase seduto nell'ufficio ormai deserto – in realtà l'intero edificio era cupo e silenzioso -, e si mise a fumare guardando, fuori della finestra, il mondo che rincasava al termine di una lunga giornata. Il sole scialbo si abbassò dietro le casette ordinate; sul cartellone pubblicitario dall'altro lato della strada stavano affiggendo un nuovo poster. Era stato tanto rapido a incolpare Cook, tanto sicuro del suo istinto, e l'idea di aver sbagliato lo mandava su tutte le furie. Maddox aveva ragione, sarebbe dovuto tornare a casa, ma era troppo consapevole della presenza di Birdman, la avvertiva come qualcosa d'intenso e quasi a portata di mano: un grosso pesce che gli nuotava intorno alle gambe.
In strada, gli operai della Maiden Signs srotolavano e incollavano, srotolavano e incollavano, spostavano gli attrezzi di qualche centimetro e ricominciavano daccapo. Ai piedi del cartellone apparvero le parole ESTÉE LAUDER; sopra di esse, la curva scintillante del collo di una modella. Jack osservò con sguardo assente, pensando al capello che era stato ritrovato in mezzo a quelli della Jackson. Avevano supposto che appartenesse a un'altra vittima, a una donna con cui Birdman non aveva ancora terminato, o a qualcuna non ancora rinvenuta. Si strinse la sella del naso tra le dita, cercando di pensare.
Un'altra spiegazione?
Il colore e il taglio erano così uguali a quelli della parrucca che persino Krishnamurthi non aveva notato la differenza. Forse il capello non apparteneva a un'altra vittima, bensì alla persona che Birdman stava ricreando. Forse quella persona era stata a casa sua. O, comunque, gli era stata sufficientemente vicina da consentirgli di prendersi un trofeo.
Eri tanto concentrato su Cook che non ti sei nemmeno soffermato a considerare l'ipotesi.
E qualcosa… Qualcosa…
Jack alzò lo sguardo al viso patinato che gli stava di fronte e tutto gli fu improvvisamente chiaro.
Il metabolita della marijuana nel capello biondo. La punta d'alluminio sulla spettrografia della Scientifica. Joni che spruzzava il deodorante nella stanza, l'appartamento era invaso del suo profumo.
Ma non combaciava tutto alla perfezione: Joni era formosa e alta, non esattamente come si era immaginato la Galatea di Birdman. Eppure, mentre spegneva la lampada e prendeva le chiavi, lasciando il fax e le carte sparse sulla scrivania, l'eccitazione parve sferrargli un pugno al plesso solare.
Alle due, «Clitoride» se n'era andata, portando con sé i colori, i fogli da disegno e il suo atteggiamento altezzoso, e lasciando Joni da sola per il secondo spettacolo. Bliss conosceva ormai bene la mente della ragazza. Sapeva che, attirata da un paio di drink, non si sarebbe scollata tanto facilmente. Gli altri clienti se ne andarono con la testa pesante, ad affrontare il pomeriggio, e lui rimase solo con lei.
Alle tre e mezzo Joni si trovava già nel bagno delle donne in cima alle scale. Una volta nel suo appartamento, stette male altre due volte e vomitò nel bagno.
Lui fece finta di non arrabbiarsi. Pulì, risciacquò e la lasciò smaltire i bagordi. Lasciò Joni, raggomitolata come una bambina ormai cresciuta – bionda e rosea, con indosso solo le mutandine e una T-shirt -, nella camera degli ospiti, in modo che, svegliandosi, non avrebbe visto la sua collezione di foto e non gli avrebbe piantato un casino. Nemmeno i lavori di ristrutturazione della vecchia scuola la disturbarono.
Quante volte aveva permesso a Joni di farlo, si domandò, sedendosi in soggiorno e tormentandosi il mento. Quante volte aveva lasciato che usasse la sua casa quale centro improvvisato di disintossicazione. E non aveva mai avuto il coraggio di fare nulla. Quante volte aveva fregato e rassettato, ripulito il corridoio e il bagno e il soggiorno delle sue foto mentre lei dormiva, mettendole al sicuro in una scatola di cartone, spruzzando deodorante nelle stanze. Solo per vederla alzarsi, accendere il walkman e uscire. Ignorandolo, trattandolo come una merda.