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Non avevo mai fatto niente di così buono da meritare un amico come Jacob.

«Quando hai deciso di tornare?».

«Consciamente o inconsciamente?». Respirò a fondo, prima di rispondere alla sua stessa domanda. «Non so, davvero. Credo di aver vagato un po’ in questa direzione, forse perché era proprio la mia meta. Però soltanto stamattina ho iniziato a correre. Non ero sicuro di farcela». Rise. «Non sai che sensazione assurda sia camminare di nuovo a due zampe. E i vestiti! La cosa più stramba sta proprio nel fatto che mi sembra un’assurdità. Non me l’aspettavo. Sono fuori allenamento con le faccende umane».

Volteggiavamo sicuri.

«Sarebbe stato un peccato non riuscire a vederti così, però. Vale tutto il viaggio. Stasera sei incredibile, Bella. Meravigliosa».

«Alice si è dedicata parecchio a me oggi. E il buio aiuta».

«Per me non è così buio, lo sai».

«Già». I sensi dei licantropi. Com’era facile dimenticare i suoi poteri, tanto appariva umano. Soprattutto in quel momento.

«Ti sei tagliato i capelli».

«Sì. Così è più facile. Valeva la pena di sfruttare il paio di mani che abbiamo».

«Ti dona», mentii.

Lui sbuffò. «Va bene, l’ho fatto da solo, con un trinciapollo arrugginito». Per un istante affiorò il suo sorriso ampio, che però svanì in un’espressione seria. «Sei felice, Bella?».

«Sì».

«Okay». Lo sentii scrollare le spalle. «Immagino sia la cosa più importante».

«E tu come stai, Jacob? Sinceramente».

«Sto bene, Bella, sinceramente. Non devi più preoccuparti per me. Puoi anche smettere di scocciare Seth».

«Non è per te che lo scoccio. Seth mi piace».

«È un bravo ragazzo. Meglio di certi altri. Te lo assicuro, vivere da lupo sarebbe quasi perfetto se riuscissi a liberarmi delle voci nella testa».

Quella frase mi fece ridere. «Eh sì, nemmeno io riesco a mettere a tacere la mia».

«Nel tuo caso, si tratterebbe di pazzia. D’altronde, ho sempre saputo che sei pazza», mi punzecchiò.

«Grazie».

«Probabilmente è più facile essere pazzi che condividere i pensieri del branco. Le voci dei matti non chiamano dei babysitter per sorvegliarli».

«Eh?».

«Sam è qui in giro. Accompagnato. Per precauzione, sai com’è».

«Com’è come?».

«Come nel caso in cui non riuscissi a trattenermi, o cose del genere. In caso decidessi di guastarvi la festa». Un sorriso fulmineo balenò in risposta a quella che probabilmente per lui era una prospettiva piacevole. «Ma non sono qui per rovinarti il matrimonio, Bella. Sono qui...». Non terminò la frase.

«Per renderlo perfetto».

«Questo sarebbe troppo».

«Ma alto come sei, hai le spalle larghe, no?».

Grugnì alla mia brutta battuta e sospirò. «Sono qui per esserti amico. Il tuo migliore amico, un’ultima volta».

«Sam dovrebbe darti più fiducia».

«Be’, forse sono un ipersensibile. Magari sono venuti per tenere d’occhio Seth. Qui ci sono tanti vampiri. Seth non la prende sul serio come dovrebbe».

«Seth sa di non essere in pericolo. Capisce i Cullen molto più di Sam».

«Certo, certo», si arrese Jacob per evitare un battibecco.

Era strano vederlo nel ruolo del diplomatico...

«Mi dispiace per le voci», dissi. «Vorrei poter migliorare le cose». In più di un senso.

«Non va poi così male. Sto solo frignando un po’».

«Sei... felice?».

«Be’, quasi. Ma basta parlare di me. Oggi la stella sei tu». Ridacchiò. «Scommetto che ne vai matta: essere al centro dell’attenzione».

«Già. Non è mai abbastanza».

Rise e lanciò un’occhiata alle mie spalle. A labbra contratte studiò il bagliore scintillante del ricevimento, la girandola aggraziata dei ballerini, i petali che cadevano fluttuando dalle ghirlande. Seguivo il suo sguardo e tutto appariva molto lontano dal nostro spazio nero e silenzioso. Quasi fosse il bianco vorticare della neve dentro una palla di vetro.

«Questo glielo concedo», disse. «Quando si tratta di feste ci sanno fare».

«Alice è una forza della natura, inarrestabile».

«La canzone è finita. Me ne concedi un’altra? O è chiedere troppo?».

Strinsi la mano alla sua. «Puoi averne quante ne vuoi».

Rise. «Sarebbe interessante. Ma è meglio che mi fermi a due. Non voglio che la gente mormori».

E riprendemmo a muoverci in circolo.

«Ormai dovrei essere abituato a dirti addio», bisbigliò.

Cercai di ricacciare indietro il nodo che mi sentivo in gola, ma non ci riuscivo.

Jacob mi guardò accigliato. Mi passò le dita sulla guancia per asciugare le lacrime.

«Non dovresti essere tu a piangere, Bella».

«Tutti piangono ai matrimoni», dissi con un filo di voce.

«Questo è ciò che vuoi, no?».

«Sì».

«Allora sorridi».

Ci provai. Rise della mia smorfia.

«Ti ricorderò così. Farò finta...».

«Cosa? Che io sia morta?».

Digrignò i denti. Lottava contro se stesso, contro la decisione di rendere la sua presenza un regalo e non una punizione. Sapevo cosa avrebbe voluto dire.

«No», rispose infine. «Ma nei miei pensieri ti vedrò come sei ora. Le guance rosa. Il cuore che batte. Pronta a inciampare ovunque. Cose così...».

Con tutta la forza che avevo, gli pestai di proposito un piede.

Sorrise. «Ora ti riconosco».

Fece per dire qualcos’altro, ma chiuse la bocca all’improvviso. Era ancora tormentato e serrava i denti sulle parole che non voleva pronunciare.

Un tempo frequentarci era stato facile. Spontaneo come respirare. Ma, dopo il ritorno di Edward nella mia vita, il nostro rapporto si era trasformato in una tensione continua. Perché, secondo Jacob, scegliendo Edward avevo scelto un destino peggiore della morte, o perlomeno altrettanto grave.

«Che c’è, Jake? Dimmelo. Puoi dirmi tutto».

«Io... io... non ho niente da dirti».

«E dai, per favore. Sputa il rospo».

«Ma è vero. Non è... è, sì, è una domanda. Una cosa che devi dirmi».

«Chiedi».

Si trattenne ancora per qualche istante e infine cedette. «Non dovrei. Non importa. È solo curiosità morbosa».

Capii, perché lo conoscevo troppo bene.

«Non è stasera, Jacob», sussurrai.

La mia umanità ossessionava Jacob ancor più di Edward. Sapendo che erano limitati, per lui ogni battito del mio cuore era prezioso.

«Ah», abbozzò nel tentativo di nascondere il sollievo.

Iniziò un’altra canzone, ma non se ne accorse.

«Quando?», sussurrò.

«Non so ancora. Fra un paio di settimane, forse».

La sua voce, passata sulla difensiva, prese una sfumatura ironica. «Perché questo ritardo?».

«Non volevo trascorrere la luna di miele a contorcermi per il dolore».

«E come preferiresti passarla? Giocando a dama? Ah ah».

«Molto divertente».

«Scherzo, Bells. Però, sinceramente, non capisco che senso abbia. Non puoi avere una vera luna di miele con il tuo vampiro, allora, perché far finta? Diciamo pane al pane. Non è la prima volta che rimandi. Certo, questo è positivo», disse, con improvvisa franchezza. «Non esserne imbarazzata».

«Non sto rimandando niente», sbottai. «E se vuoi saperlo, , posso passare una vera luna di miele! Posso fare tutto ciò che voglio! Non sono affari tuoi!».

Di punto in bianco interruppe il nostro moto circolare. Per un istante mi domandai se si fosse accorto che la musica era cambiata e mi affannai a cercare il modo di mettere riparo al nostro bisticcio, prima di dirci addio. Non dovevamo salutarci così.

Ma poi sgranò gli occhi, pieni di una strana luce confusa e spaventata.