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Terminò il suo discorso accalorato facendo un passo indietro per tornare al fianco di Kate e poi saltò in avanti e si rannicchiò in guardia, pronto al massacro.

Aro sorrise. «Proprio un bel discorso, mio rivoluzionario amico».

Garrett rimase in posizione di attacco. «Rivoluzionario?», ruggì. «Contro chi mi starei ribellando, se è lecito chiederlo? Sei forse il mio re? Vuoi che ti chiami Signore anch’io, come quei leccapiedi delle tue guardie?».

«Pace, Garrett», disse Aro tollerante. «Mi riferivo solo ai tempi in cui sei nato. Sei ancora un patriota, vedo».

Garrett gli rispose con un’occhiata feroce.

«Chiediamolo ai nostri testimoni», propose Aro. «Ascoltiamo i loro pensieri prima di prendere una decisione. Dite, amici», ci diede le spalle con naturalezza, avanzando di qualche metro in direzione della sua massa di osservatori nervosi, che ora ondeggiava sempre più vicina al limitare della foresta, «cosa ne pensate di tutto ciò? Posso garantire che la bambina non è quello che temevamo. Ci assumiamo il rischio di lasciarla sopravvivere? Mettiamo in pericolo il nostro mondo per conservare intatta la loro famiglia? Oppure ha ragione lo schietto Garrett? Vi unirete a loro per contrastare la nostra improvvisa sete di dominio?».

I testimoni incrociarono il suo sguardo con espressioni caute. Una donna minuta dai capelli neri diede un’occhiata fugace all’uomo biondo scuro che le stava a fianco.

«Queste sono le uniche scelte che abbiamo?», chiese d’un tratto, tornando con lo sguardo ad Aro. «Dichiararci d’accordo con te, o combattere contro di te?».

«Certo che no, affascinante Makenna», disse Aro, apparentemente scandalizzato al pensiero che qualcuno avesse tratto quella conclusione. «Potete andarvene in pace, naturalmente, come ha fatto Amun, anche se non siete d’accordo con la decisione del consiglio».

Makenna guardò di nuovo il suo compagno in viso e lui ebbe un cenno d’assenso.

«Non siamo venuti qui per combattere». Fece una pausa, espirò, poi aggiunse: «Siamo venuti qui a fare da testimoni. E la nostra testimonianza è che la famiglia sotto processo è innocente. Tutto ciò che Garrett ha affermato è vero».

«Ah», disse Aro triste. «Mi spiace che tu ci veda così. Ma è questa la natura del nostro compito».

«Non è ciò che vedo, ma ciò che sento», disse il biondo compagno di Makenna con voce acuta e nervosa. Guardò Garrett. «Garrett dice che hanno i mezzi per scoprire le bugie. Anch’io so quando sento una verità e quando invece non è così». Con gli occhi spaventati si avvicinò alla sua compagna, in attesa della reazione di Aro.

«Non temerci, amico Charles. Senza dubbio il patriota crede davvero in quello che dice», ridacchiò Aro spensierato, e Charles affilò lo sguardo.

«Questa è la nostra testimonianza», disse Makenna. «Ora ce ne andiamo».

Lei e Charles arretrarono lenti, senza girarsi prima di sparire alla vista fra gli alberi. Un altro sconosciuto cominciò a ritirarsi per quella stessa via, poi altri tre gli corsero dietro.

Studiai i trentasette vampiri rimasti. Alcuni sembravano troppo confusi per prendere una decisione. Ma la maggioranza appariva fin troppo consapevole della direzione presa da questa sfida. Immaginai che stessero rinunciando al vantaggio iniziale per capire con precisione chi li avrebbe poi inseguiti.

Ero sicura che anche Aro lo avesse compreso. Distolse lo sguardo e tornò dal suo corpo di guardia a passi lunghi e misurati. Si fermò davanti a loro e li arringò con voce limpida.

«Siamo in minoranza, carissimi», disse. «Non possiamo aspettarci alcun aiuto dall’esterno. Dobbiamo lasciare la questione irrisolta per salvarci la vita?».

«No, Signore», sussurrarono all’unisono.

«La protezione del nostro mondo può valere la probabile perdita di alcuni di noi?».

«Sì», mormorarono. «Non abbiamo paura».

Aro sorrise e si girò verso i suoi compagni nerovestiti.

«Fratelli», disse cupo, «ci sono molti fattori da valutare».

«Consultiamoci», disse ansioso Caius.

«Consultiamoci», ripeté Marcus, in tono indifferente.

Aro ci voltò di nuovo le spalle, rivolgendosi verso gli altri anziani. Si presero per mano e formarono un triangolo avvolto di nero.

Non appena l’attenzione di Aro fu catturata da quel muto consulto, altri due loro testimoni si dileguarono in silenzio nella foresta. Per il loro bene sperai che fossero molto veloci.

Quindi il momento era giunto. Con cura, mi sciolsi dall’abbraccio di Renesmee.

«Ti ricordi quello che ti ho detto?», le chiesi.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma annui. «Ti voglio tanto bene», sussurrò.

Ora Edward ci guardava, gli occhi color topazio spalancati. Jacob ci fissava con la coda dell’occhio grande e scuro.

«Anch’io ti voglio tanto bene», dissi, poi toccai il suo medaglione. «Più della mia stessa vita». La baciai sulla fronte.

Jacob gemette, a disagio.

Mi alzai in punta di piedi e gli sussurrai all’orecchio: «Aspetta che siano completamente distratti, poi scappa con lei. Allontanati da questo posto più che puoi. Quando ti sei allontanato il più possibile a piedi, lei ha il necessario per farvi salire su un aereo».

I volti di Edward e Jacob erano maschere d’orrore pressoché identiche, tranne il fatto che una apparteneva a un animale.

Renesmee si sporse verso Edward e lui la strinse fra le braccia. Si abbracciarono forte.

«È questo che mi tenevi nascosto?», mi sussurrò sopra la testa di nostra figlia.

«Non a te, ad Aro», mormorai.

«Per via di Alice?».

Annuii.

Sul suo viso si dipinse una dolorosa smorfia di comprensione. Forse la stessa che era apparsa sul mio volto quando finalmente avevo collegato tutti gli indizi forniti da Alice?

Jacob ringhiava piano, un suono stridulo e basso, ma regolare e ininterrotto come se stesse facendo le fusa. Aveva il pelo del collo ritto e i denti scoperti.

Edward baciò Renesmee sulla fronte e sulle guance, poi la sollevò per issarla sulla schiena di Jacob. Lei salì con agilità, tenendosi alla sua pelliccia, e trovò posto facilmente nell’incavo fra quelle enormi scapole.

Jacob si girò verso di me, gli occhi espressivi pieni di tormento, con quel ruggito tonante che gli straziava ancora il petto.

«Sei l’unico cui potremmo affidarla», gli mormorai. «Se tu non l’amassi tanto, non potrei mai sopportare questo momento. So che sei in grado di proteggerla, Jacob».

Gemette di nuovo e chinò la testa per darmi dei colpetti sulla spalla.

«Lo so», sussurrai. «Anch’io ti voglio tanto bene, Jake. Sarai sempre il mio testimone di nozze».

Sulla pelliccia rossastra sotto l’occhio gli scorreva una lacrima grande quanto una palla da baseball.

Edward posò il capo sulla stessa spalla dove aveva collocato Renesmee. «Addio, Jacob, fratello mio... figlio mio».

Agli altri non sfuggì quella scena d’addio. Avevano gli occhi fissi sul triangolo nero silenzioso, ma capivo che ci stavano ascoltando.

«Allora non c’è speranza?», chiese Carlisle in un sussurro. Nella sua voce non c’erano tracce di paura. Solo risolutezza e rassegnazione.

«Certo che c’è», gli risposi. E potrebbe essere vero, mi dissi. «Io conosco solo il destino che spetta a me».

Edward mi prese la mano. Sapeva che anche lui era compreso in quel destino. Parlando del mio destino, era ovvio che intendessi entrambi. Eravamo le due metà di un intero.

Esme, dietro di me, respirava a fatica. Ci passò davanti, sfiorandoci il viso in una carezza, per andare a mettersi a fianco di Carlisle e stringergli la mano.

Di colpo fummo circondati di mormorii di addio e dichiarazioni di affetto.

«Se sopravviviamo a tutto questo», sussurrò Garrett a Kate, «ti seguirò ovunque, donna».

«Adesso si è deciso a dirmelo», borbottò lei.

Rosalie ed Emmett si diedero un bacio rapido ma appassionato.