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Ah, sentire la sua voce... Era come se non fosse mai partita.

Caius strinse forte gli occhi mentre Alice menzionava il rapporto che intercorreva fra i due nuovi arrivati. I testimoni dei Volturi sibilarono fra sé. Il mondo dei vampiri stava cambiando e tutti lo sentivano.

«Parla, Huilen», le ordinò Aro. «Dacci la testimonianza per la quale sei stata condotta fin qui».

La donna minuta guardò Alice, nervosa. Alice le fece un cenno d’incoraggiamento e Kachiri posò la lunga mano sulla spalla della piccola vampira.

«Mi chiamo Huilen», annunciò la donna in un inglese chiaro, ma con un accento strano. Mentre continuava, era evidente che si era preparata a raccontare questa storia, che si era esercitata. Scorreva alla perfezione, come una favola per bambini. «Un secolo e mezzo fa abitavo con il mio popolo, i Mapuche. Mia sorella si chiamava Pire. I nostri genitori le avevano dato il nome della neve sulle montagne, perché aveva la pelle chiara. Ed era bellissima, fin troppo bella. Un giorno venne da me a confidarmi il segreto dell’angelo che l’aveva scoperta nei boschi e l’andava a trovare di notte. Io la misi in guardia». Huilen scosse la testa, addolorata. «Come se non fossero bastati i lividi che aveva sulla pelle, per metterla in guardia. Sapevo che si trattava del Lobishomen delle nostre leggende, ma lei non voleva ascoltarmi. Era sotto l’effetto di un incantesimo.

Quando fu sicura che il figlio del suo angelo scuro le stava crescendo dentro, me lo disse. Non cercai di scoraggiarla dal suo progetto di fuga: sapevo che persino nostro padre e nostra madre avrebbero convenuto che quel bambino doveva essere ucciso e Pire insieme a lui. L’accompagnai nelle zone più remote della foresta. Lei cercò il suo angelo demonio, ma non trovò nulla. Mi presi cura di lei e cacciai per lei quando le forze le vennero meno. Si cibava di animali crudi, beveva il loro sangue. Non avevo più bisogno di conferme su quello che lei portava nel ventre. Speravo di salvarle la vita prima di uccidere il mostro. Ma lei amava il bambino che le cresceva dentro. Lo chiamò Nahuel, come il giaguaro, quando diventò forte e le spezzò le ossa; e nonostante questo continuava ad amarlo.

Non riuscii a salvarla. Il bambino uscì dal grembo facendo a pezzi il corpo della madre e lei morì presto, mentre mi supplicava senza sosta di prendermi cura del suo Nahuel. Fu il suo ultimo desiderio, e accettai di esaudirlo. Però lui mi morse quando cercai di sollevarlo dal corpo di sua madre. Andai a nascondermi nella giungla a morire. Non mi allontanai di molto perché il dolore era troppo. Ma lui mi trovò: il neonato si era fatto strada a fatica nel sottobosco fino ad arrivare da me e mi aspettò. Quando il dolore finì, trovai il piccolo accoccolato vicino a me che dormiva.

Mi sono presa cura di lui finché non è stato in grado di cacciare da solo. Cacciavamo nei villaggi della nostra foresta, restando in disparte. Non ci siamo mai allontanati tanto dalla nostra casa, ma Nahuel voleva vedere la bambina che c’è qui».

Chinò il capo quando finì di parlare e arretrò in modo da nascondersi in parte dietro Kachiri.

Aro aveva le labbra increspate. Fissò il giovanotto dalla pelle scura.

«Nahuel, hai centocinquanta anni?», gli chiese.

«Sì, decennio più, decennio meno», rispose con una voce calda, limpida e bella. L’accento si notava a malapena. «Noi non li contiamo».

«E a quanti anni hai raggiunto la maturità?».

«Circa sette anni dopo la mia nascita avevo completato la crescita».

«E da allora non sei cambiato?».

Nahuel alzò le spalle: «Non che io sappia».

Sentii il brivido che fece tremare il corpo di Jacob. Io invece preferivo non pormi ancora quel problema. Avrei aspettato che il pericolo fosse passato, in modo da potermi concentrare.

«E di cosa ti nutri?», lo incalzò Aro, interessato suo malgrado.

«Di sangue, soprattutto, ma anche di cibo umano. Posso sopravvivere con entrambi».

«Sei stato capace di creare un’immortale?». Mentre Aro indicava Huilen, improvvisamente la sua voce si fece molto partecipe. Tornai a concentrarmi sullo scudo: forse stava cercando un nuovo pretesto.

«Sì, ma nessuna delle altre sa farlo».

Un mormorio scioccato percorse tutti e tre i gruppi.

Aro alzò bruscamente le sopracciglia: «Le altre?».

«Le mie sorelle», rispose di nuovo Nahuel stringendosi nelle spalle.

Aro lo fissò per un attimo con occhi di brace prima di ricomporsi.

«Immagino che tu ci voglia raccontare il resto della tua storia, visto che a quanto pare non è finita».

Nahuel si accigliò.

«Qualche anno dopo la morte di mia madre, mio padre è venuto a cercarmi». Il suo bel viso si alterò leggermente. «È stato felice di trovarmi». Il tono di Nahuel suggeriva che la simpatia non fosse reciproca. «Aveva due figlie, ma nessun altro figlio maschio. Si aspettava che mi unissi a lui, come avevano fatto le mie sorelle. Si sorprese di non trovarmi solo. Le mie sorelle non sono velenose, ma non so se dipenda dal sesso o dal caso, chi può dirlo? Comunque io avevo già formato una famiglia con Huilen e cambiare non m’interessava», distorse quest’ultima parola. «Ogni tanto lo vedo. Ho una sorella nuova: ha raggiunto la maturità circa dieci anni fa».

«Tuo padre come si chiama?», chiese Caius a denti stretti.

«Joham», rispose Nahuel. «Si considera uno scienziato. È convinto di poter creare una nuova razza eletta». Non si sforzò di nascondere il disgusto.

Caius mi guardò. «Tua figlia è velenosa?», chiese bruscamente.

«No», risposi. Udita la domanda di Caius, Nahuel alzò di scatto la testa e gli occhi color tek sondarono il mio viso.

Caius guardò Aro in attesa di una conferma, ma quest’ultimo era troppo assorto nei propri pensieri. Increspò le labbra e fissò Carlisle, poi Edward, e infine il suo sguardo si fermò su di me.

Caius ringhiò. «Prendiamoci cura dell’anomalia che c’è qui e poi proseguiamo verso sud», incalzò suo fratello Aro.

Aro mi guardò negli occhi per un momento lungo e gravido di tensione. Non avevo la minima idea di cosa stesse cercando, o di cosa avesse trovato, ma, dopo avermi valutata per quell’attimo, qualcosa nella sua espressione cambiò, l’atteggiamento della bocca e dello sguardo variarono leggermente, e capii che aveva preso una decisione.

«Fratello», disse piano a Caius. «Pare proprio che non ci sia pericolo. Questo sviluppo è davvero insolito, ma non vedo alcuna minaccia. Sembra che questi mezzi vampiri siano quasi uguali a noi».

«Questo è il tuo voto?», chiese perentorio Caius.

«Sì».

Caius si accigliò. «E quel Joham? Quell’immortale così appassionato di sperimentazioni?».

«Forse è il caso che andiamo a parlare con lui», convenne Aro.

«Fermate pure Joham se volete», disse Nahuel con tono neutro. «Ma lasciate stare le mie sorelle. Loro sono innocenti».

Aro annuì, con espressione solenne. Poi si girò verso il suo corpo di guardia, con un sorriso cordiale.

«Miei cari», gridò. «Oggi non si combatte».

Il corpo di guardia annuì all’unisono e abbandonò la posizione di difesa. La foschia si disperse rapidamente, ma io continuai a mantenere attivo il mio scudo. Poteva darsi che fosse soltanto l’ennesimo trucco.

Analizzai le loro espressioni mentre Aro tornò a rivolgersi a noi. Aveva il solito viso benevolo, ma, al contrario di prima, avvertivo uno strano vuoto dietro la facciata, come se avesse smesso di tramare. Caius, chiaramente, era furioso, ma ora la sua era una rabbia interiore: si era rassegnato. Marcus aveva l’aria... annoiata: non avrei saputo come descriverla altrimenti. Il corpo di guardia era tornato a essere impassibile e disciplinato: al suo interno non c’erano individui, solo un intero. Si misero in formazione, pronti a partire. I testimoni dei Volturi restavano cauti: uno dopo l’altro se ne andarono, sparpagliandosi nei boschi. Mano a mano che diminuivano di numero, quelli che restavano si affrettavano. Presto non ne rimase più nessuno.

Aro tese le mani verso di noi, quasi per scusarsi. Dietro di lui la maggior parte del corpo di guardia, insieme a Caius, Marcus e alle mogli mute e misteriose, stava già allontanandosi rapidamente, sempre in formazione precisa. Solo i tre che sembravano costituire la sua guardia personale si erano trattenuti con lui.