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La donna minuta dalla carnagione color caffè invece no. Mi osservava a occhi spalancati, in un misto di sorpresa, preoccupazione e soprattutto paura. Prima che potessi reagire, Edward indicò loro di seguirlo nel pollaio e li accompagnò fuori.

Quando rientrò, era solo. Si avvicinò lesto al mio fianco e mi abbracciò.

«Cosa vuole quella?», sussurrai impaziente, al ricordo dell’espressione di panico della donna.

Edward scrollò le spalle, impassibile. «Kaure è una mezzosangue Ticuna. L’antica cultura india le ha insegnato il rispetto per le superstizioni, o l’attenzione ai dettagli, se vuoi. Sospetta che io sia ciò che sono, o perlomeno è vicina a capirlo». Tuttavia, non sembrava preoccupato. «Qui hanno alcune leggende, come quella del Lobishomen, un demone assetato di sangue che si nutre di belle donne». Mi lanciò un’occhiata maliziosa.

Soltanto belle donne? Be’, piuttosto lusinghiero.

«Sembrava terrorizzata», dissi.

«Lo è, ma soprattutto è preoccupata per te».

«Per me?».

«Ha paura perché sei qui con me, tutta sola». Soffocò una risata e guardò la parete coperta dai DVD. «Be’, perché non scegli qualcosa da vedere? È un ragionevole passatempo umano».

«Sì, sono sicura che un film basterà a convincerla che sei umano». Sorrisi e cinsi le sue spalle con forza, alzandomi sulla punta dei piedi. Lui si chinò per lasciarsi baciare, poi strinse la presa su di me e mi sollevò da terra per non piegarsi.

«Un film, un filmetto», mormorai, mentre le sue labbra mi scendevano sul collo e intrecciavo le mie dita ai suoi capelli color del bronzo.

Poi udii un singulto ed Edward mi lasciò andare di colpo. Kaure era immobile in anticamera, con le piume fra i capelli neri, un grosso sacco pieno di altre piume fra le braccia e l’espressione terrorizzata sul viso. Con gli occhi fuori dalle orbite mi vide arrossire e abbassare lo sguardo. Poi si ricompose e mormorò parole che, malgrado la lingua straniera, suonavano come delle scuse. Edward sorrise e le rispose benevolo. Lei puntò i suoi occhi scuri altrove e proseguì lungo il corridoio.

«Stava pensando ciò che penso stesse pensando, vero?», mormorai.

Edward rise della mia domanda ingarbugliata. «Sì».

«Ecco», dissi, allungando una mano e pescando un film a caso. «Metti su questo, così possiamo fingere di guardarlo».

Era un vecchio musical, con la copertina piena di volti sorridenti e vestiti vaporosi.

«Degno di una luna di miele», approvò Edward.

Mentre gli attori sullo schermo ballavano sulle note di un’allegra introduzione musicale, mi lasciai cadere sul divano, accoccolandomi fra le braccia di Edward.

«Adesso si può tornare nella stanza bianca?», domandai pigra.

«Non so... la testiera dell’altra camera è già straziata in modo irreparabile. Forse, se limitiamo la distruzione a una sola zona della casa, Esme potrebbe concederci di tornare, un giorno».

Feci un gran sorriso. «Perciò la distruzione non è finita?».

Rise della mia frase. «Forse è meglio che sia premeditata, piuttosto che io stia ad aspettare il tuo prossimo assalto».

«Sarebbe solo questione di tempo», commentai placida, ma nelle vene il sangue iniziò a correre.

«C’è qualcosa che non va nel tuo cuore?».

«No, no. È sano come un pesce». Feci una pausa. «Volevi andare a controllare subito il sito da demolire?».

«Forse è più educato se aspettiamo di restare soli. Tu potrai anche non accorgerti che faccio a pezzi i mobili, ma loro rischiano di spaventarsi».

A dirla tutta, mi ero già dimenticata delle persone nell’altra stanza. «Giusto. Peccato».

Gustavo e Kaure si muovevano per casa silenziosi, mentre attendevo impaziente che finissero e cercavo di seguire il "vissero felici e contenti" sullo schermo. Iniziavo a sentirmi assonnata, malgrado secondo Edward avessi già passato mezza giornata a dormire, quando una voce roca mi fece scattare. Edward si raddrizzò sul divano, con me accoccolata addosso, e rispose a Gustavo in perfetto portoghese. Il domestico annuì e si diresse tranquillo verso la porta.

«Hanno finito», disse Edward.

«Il che significa che adesso siamo soli?».

«Che ne dici di mangiare qualcosa prima?».

Il dilemma mi lasciò senza parole. Ero davvero molto affamata.

Con un sorriso mi prese per mano e mi guidò in cucina. Conosceva le mie espressioni così a fondo che non gli era indispensabile leggermi nel pensiero.

«La situazione mi sta scappando di mano», dissi quando finalmente mi sentii sazia.

«Ti va di nuotare con i delfini questo pomeriggio... per bruciare calorie?», mi domandò.

«Magari dopo. Avevo un’altra idea per bruciare calorie».

«Sarebbe?».

«Be’, è rimasto un bel pezzo di testiera...».

Ma non completai la frase. Mi aveva già presa fra le braccia e le sue labbra misero a tacere le mie, mentre mi portava a velocità disumana nella stanza blu.

7

Inaspettato

La fila di sagome nere avanzava verso di me in una coltre di nebbia. Vedevo i loro occhi scuri color rubino scintillare di desiderio, bramosi di uccidere. Le labbra tese mostravano i denti affilati e umidi: alcuni ringhiavano, altri sorridevano.

Udii piagnucolare il bambino alle mie spalle, ma non riuscii a voltarmi per guardarlo. Avrei voluto disperatamente assicurarmi che fosse al riparo, ma in quel momento non potevo permettermi un calo di concentrazione.

Le sagome incombevano sempre più vicine, i neri mantelli si agitavano appena. Vidi quelle mani bianche e ossute stringersi come artigli. Iniziarono a sparpagliarsi per assalirci da ogni direzione. Eravamo circondati. Stavamo per morire.

E poi, come il lampo di luce di un flash, la scena cambiò. O meglio, tutto era uguale — i Volturi ci venivano incontro, pronti a uccidere — ma il mio atteggiamento era diverso. D’un tratto ero impaziente. Volevo che attaccassero. Il panico si trasformò in sete di sangue, mentre mi rannicchiavo in avanti, il sorriso sulle labbra e un ruggito fra i denti scoperti.

Di soprassalto, uscii stravolta dal sogno.

La stanza era nera. E calda in modo soffocante. Il sudore m’incollava i capelli alle tempie e m’inzuppava il collo.

Frugai fra le lenzuola calde e le trovai vuote.

«Edward?».

In quel momento le mie dita incontrarono qualcosa di liscio, piatto e rigido. Un foglio di carta piegato a metà. Presi il biglietto e tastai la parete in cerca dell’interruttore.

Il destinatario del biglietto era la signora Cullen.

Spero che non ti svegli e che non ti accorga della mia assenza, ma, se dovessi, sappi che tornerò presto. Sono soltanto andato sul continente a cacciare. Torna a dormire e quando ti sveglierai ci sarò. Ti amo.

Sospirai. Eravamo sull’isola da due settimane, logico che prima o poi dovesse andarsene, ma avevo smesso di pensare al tempo. Sembrava che vivessimo fuori dal tempo, alla deriva in una condizione perfetta.

Mi asciugai il sudore dalla fronte. Mi sentivo assolutamente sveglia, malgrado l’orologio sulla cassettiera dicesse che era l’una passata. Sapevo di non potermi riaddormentare, calda e appiccicosa com’ero. Senza dimenticare che, se avessi spento la luce e chiuso gli occhi, avrei di sicuro rivisto le sagome nere che incombevano nella mia mente.

Mi alzai e vagai senza meta nella casa buia, accendendo le luci. Senza Edward appariva troppo grande e vuota. Diversa.

Finii in cucina e decisi che forse il cibo era la consolazione migliore.

Frugai nel frigorifero in cerca degli ingredienti per preparare del pollo fritto. Lo sfrigolare e lo scoppiettare del pollo nel tegame fu un rumore piacevole, familiare; finché riempì il silenzio, mi sentii meno nervosa.

Aveva un profumo così buono che iniziai a mangiarlo direttamente dalla padella, bruciandomi la lingua. Al quinto o sesto boccone era abbastanza freddo perché ne gustassi il sapore. Cominciavo a masticare in modo più normale. C’era qualcosa di strano nel gusto? Controllai la carne: era bianca, ma forse non l’avevo cotta abbastanza. Diedi un altro morso per provare; masticai due volte. Oh, decisamente cattivo. Saltai in piedi per sputarlo nel lavandino. All’improvviso, la puzza di pollo e olio divenne rivoltante. Presi la padella e la scrollai nella spazzatura, poi aprii le finestre per far uscire l’odore. Fuori si era alzata una brezza quasi fresca. Una sensazione piacevole sulla pelle.