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Umana e appassionatamente innamorata.

Volevo godermi l’esperienza completa prima di cedere il mio corpo caldo, fragile, zeppo di feromoni, in cambio di qualcosa di bellissimo, forte e sconosciuto. Volevo una vera luna di miele con Edward. E malgrado il pericolo a cui temeva di espormi, lui aveva accettato di provare.

Mi accorsi appena di Alice e della carezza della seta sulla pelle. Per il momento non m’interessava che la città intera parlasse di me. Non pensavo allo spettacolo del quale, di lì a poco, sarei stata protagonista. Non mi preoccupavo di inciampare nello strascico, di scoppiare a ridere nel momento sbagliato, di essere troppo giovane, degli sguardi di tutti i presenti fissi su di me e nemmeno del posto vuoto lasciato dal mio migliore amico.

Stavo con Edward nel mio rifugio felice.

2

Lunga notte

«Già mi manchi».

«Non sono obbligato ad andarmene. Posso restare».

«Mmm».

Per qualche istante tacemmo e rimasero soltanto il battito del mio cuore, il ritmo spezzato dei nostri respiri agitati e il mormorio delle labbra che si muovevano in sincrono.

A volte era così facile dimenticare che baciavo un vampiro. Non perché il suo aspetto fosse comune o umano — nemmeno per un secondo riuscivo a dimenticare che fra le braccia stringevo qualcuno che era più un angelo che un uomo — ma perché Edward trasformava in una cosa da nulla il fatto che le sue labbra fossero sulle mie, sul mio viso e sul mio collo. Diceva che il mio sangue ormai non era più una tentazione, che il timore di perdermi aveva neutralizzato ogni brama. Eppure sapevo che l’odore del mio sangue lo faceva ancora soffrire, gli bruciava ancora la gola come se respirasse fuoco.

Socchiusi gli occhi e vidi i suoi fissi sul mio viso. Era assurdo quando mi guardava così. Come fossi il premio anziché la vincitrice, sfacciatamente fortunata.

I nostri sguardi s’incrociarono per un istante; i suoi occhi dorati erano così profondi che immaginai di potermi immergere nella sua anima. Certo, lui era un vampiro, ma trovavo incredibile che mettesse in dubbio di possederne una. La sua era l’anima più bella, più della sua mente brillante, del suo viso incomparabile o del suo corpo magnifico.

Anche lui mi guardò come se riuscisse a vedere la mia anima e questa visione gli piacesse.

Tuttavia, non poteva vedere nella mia mente come invece gli accadeva con chiunque altro. Chissà perché? Forse una strana anomalia del cervello mi rendeva immune ai poteri straordinari e spaventosi di certi immortali. (Soltanto la mia mente era immune: il corpo poteva essere vittima di vampiri con facoltà diverse da quelle di Edward). Qualunque fosse il difetto che proteggeva i miei pensieri segreti, ne ero comunque grata. Troppo imbarazzante pensare a cosa sarebbe stato altrimenti.

Avvicinai di nuovo il suo volto al mio.

«Resto qui», mormorò un istante dopo.

«No, no. È il tuo addio al celibato. Devi andarci».

Mentre parlavo, le dita della mia mano destra s’intrecciarono ai suoi capelli color bronzo e la sinistra strinse con più forza la base della sua schiena. Le sue mani fredde mi accarezzarono il volto.

«Gli addii al celibato sono fatti per quelli che rimpiangono i propri giorni da scapoli. Io non potrei essere più impaziente di lasciarmeli alle spalle. Quindi la cosa non ha senso».

«Giusto». Respirai sulla pelle del suo collo, fredda come l’inverno.

Somigliava molto al mio rifugio felice. Charlie dormiva ignaro nella sua stanza e praticamente era come se fossimo soli. Stavamo rannicchiati sul mio lettino, intrecciati quanto ci permetteva il plaid pesante che mi avvolgeva come un bozzolo. La coperta era un fastidio necessario, se non volevo rovinare l’atmosfera mettendomi a battere i denti. E se avessi acceso il riscaldamento in pieno agosto, Charlie se ne sarebbe accorto...

Se non altro, è vero che io dovevo infagottarmi, ma la camicia di Edward era rimasta per terra. Non ero mai riuscita a superare lo shock della perfezione del suo corpo: bianco, freddo e levigato come il marmo. Feci scorrere la mano sul suo petto roccioso e seguii la linea piatta del ventre, incredula. Un leggero tremore lo percorse e la sua bocca ritrovò la mia. Con cautela avvicinai la punta della lingua alle sue labbra lisce come il vetro e lui sospirò. Il suo respiro dolce inondò, freddo e delizioso, il mio viso.

Fece per allontanarsi: il gesto automatico di quando decideva che eravamo andati troppo in là; una reazione spontanea proprio nel momento in cui più avrebbe desiderato continuare. Per gran parte della sua vita Edward si era impegnato a negarsi ogni gratificazione fisica. Sapevo che il tentativo di cambiare abitudini costituiva per lui uno sforzo tremendo.

«Aspetta», dissi stringendogli le spalle e abbracciandolo ancora più forte. Liberai una gamba con la quale avvolsi i suoi fianchi. «È tutta questione di esercizio».

Ridacchiò. «Be’, mi pare che di esercizio ne abbiamo fatto abbastanza ormai, no? Hai dormito qualche ora nell’ultimo mese?».

«Ma questa è la prova generale», puntualizzai, «e non abbiamo ancora ripassato tutte le scene. Vale la pena di correre il rischio».

Mi aspettavo un’altra risata ma Edward non rispose e il suo corpo s’immobilizzò sotto un’improvvisa tensione. Il liquido oro dei suoi occhi sembrò solidificarsi.

Ripensai alle mie parole, a come poteva averle interpretate.

«Bella», sussurrò.

«Non ricominciare», dissi. «Un accordo è un accordo».

«Non so. È troppo difficile concentrarmi quando stai con me così. Non... non riesco a pensare. Potrei non controllarmi. Ti farai male».

«Andrà tutto liscio».

«Bella».

«Sssh!». Premetti le mie labbra sulle sue per bloccare l’attacco di panico che rischiava di travolgerlo. Sapevo cosa intendeva. Non era disposto a ritirarsi dall’accordo. Non dopo aver insistito perché prima lo sposassi.

Per un istante mi restituì il bacio, ma capii che non era più rapito come poco prima. Era preoccupato, come sempre. Chissà come sarebbe stato diverso quando non si fosse più preoccupato per me. Come avrebbe impiegato tutto quel tempo libero? Avrebbe dovuto trovarsi un nuovo hobby.

«Come vanno le gambe?», domandò.

Certa di non doverlo prendere alla lettera, risposi: «Non tremano più».

«Davvero? Niente ripensamenti? Non è tardi per cambiare idea».

«Stai cercando di mollarmi?».

Ridacchiò. «Tanto per essere certo. Non voglio che tu faccia niente di cui non sei sicura».

«Di te sono sicura. Al resto posso sopravvivere».

Esitò, forse l’avevo detta grossa.

«Davvero?», domandò a bassa voce. «Non parlo del matrimonio: a quello sono convinto che sopravviverai, malgrado i tuoi scrupoli. Ma dopo, come farai con Renée, con Charlie?».

«Mi mancheranno». Anzi, peggio ancora: sarei mancata io a loro, ma non volevo gettare benzina sul fuoco.

«Angela, Ben, Jessica e Mike».

«Anche i miei amici mi mancheranno». Sorrisi nel buio. «Soprattutto Mike. Oh, Mike! Come farò senza di lui?».

Si lasciò sfuggire un brontolio.

Risi ma tornai subito seria. «Edward, ne abbiamo parlato e riparlato. So che sarà difficile, ma è ciò che voglio. Voglio te e ti voglio per sempre. Una vita sola non mi basta, punto».

«Per sempre sospesa nei tuoi diciott’anni», sussurrò.

«Il sogno di ogni donna», scherzai.

«Senza cambiare né crescere mai».

«Che vuol dire?».

Rispose lentamente. «Ricordi quando abbiamo detto a Charlie che ci saremmo sposati? Lui ha creduto che tu fossi incinta».

«E gli è venuta la tentazione di spararti», conclusi con una risata. «Ammettilo: per un istante ci ha pensato sul serio».

Non mi rispose.

«Che c’è, Edward?».

«Be’, ecco... mi dispiace che non sia come pensava Charlie».

Sbuffai.

«Sempre che potesse andare così. Che noi avessimo quel genere di possibilità. Detesto l’idea che sia fra le cose di cui ti priverò».