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La storia della madre di Tanya era, fra le altre, un ammonimento a non dimenticare, dopo il mio ingresso nel mondo degli immortali, una regola ben precisa. Una sola e unica legge, che si ramificava in migliaia di conseguenze diverse: mantenere il segreto.

Mantenere il segreto significava parecchie cose: vivere senza dare nell’occhio come i Cullen e traslocare prima che gli umani potessero sospettare che non invecchiavano. Oppure starne lontani a ogni costo — pasti esclusi — come avevano vissuto James e Victoria, e come tuttora vivevano Peter e Charlotte, gli amici di Jasper. Significava tenere sotto controllo tutti i nuovi vampiri che si creavano, proprio ciò che aveva fatto Jasper quando viveva con Maria. E ciò in cui Victoria non era riuscita con i suoi neonati.

E significava non creare certe altre cose, soprattutto, perché certe creature non erano controllabili.

«Non conosco il nome della madre di Tanya», aveva ammesso Carlisle, mostrando gli occhi dorati, quasi della stessa sfumatura dei capelli chiari, tristi al ricordo del dolore di Tanya. «Se possono, non parlano mai di lei e non pensano mai volontariamente a lei. La donna che creò Tanya, Kate e Irina, e che le ha amate, credo, visse molti anni prima della mia nascita, in un’epoca disgraziata per il nostro mondo, l’epoca dei bambini immortali. Cosa pensassero di fare gli antichi non l’ho mai capito. Crearono vampiri a partire da esseri umani che erano poco più che lattanti».

Dovetti ingoiare la bile che mi sentii risalire in gola mentre visualizzavo la scena.

«Erano bellissimi», aggiunse subito Carlisle, accorgendosi della mia reazione. «Gentili e incantevoli come non puoi immaginare. Non si poteva fare a meno di stare accanto a loro e di amarli, come fosse automatico. Tuttavia non imparavano nulla. Restavano bloccati al livello di apprendimento raggiunto prima di essere stati morsi. Adorabili bimbi di due anni con le fossette e lo sguardo innocente, ma capaci di distruggere mezzo villaggio per capriccio. Si nutrivano seguendo gli stimoli della fame e nessun ammonimento riusciva a trattenerli. Gli umani li videro, le storie iniziarono a circolare, la paura si diffuse come fuoco fra le sterpaglie... La madre di Tanya creò uno di quei bambini. Come per gli altri antichi, non so comprendere le sue ragioni». Fece una pausa per ritrovare un equilibrio. «Ovviamente, intervennero i Volturi».

Quel nome mi fece trasalire come sempre, ma era ovvio che la legione di vampiri italiani, autoproclamatasi stirpe reale, avesse un ruolo centrale nella storia. Non poteva esserci legge senza castigo, e non poteva esserci castigo senza qualcuno che lo infliggesse. Gli antichi Aro, Caius e Marcus comandavano le forze dei Volturi; mi ci ero imbattuta una volta sola, ma in quel breve incontro mi era parso che Aro, con la sua formidabile capacità di leggere le menti — con un solo contatto conosceva i pensieri di una vita intera -, fosse il vero capo.

«I Volturi studiarono i bambini immortali, sia a Volterra, dove risiedono, sia nel resto del mondo. Caius stabilì che i giovani erano incapaci di proteggere il nostro segreto. Dunque dovevano essere distrutti. Come ti ho detto, erano adorabili. Bene, i clan combatterono fino allo stremo pur di proteggerli. La carneficina non fu estesa come nelle guerre del nostro Sud, ma a suo modo si rivelò più devastante. Di clan antichissimi, vecchie tradizioni, amici... gran parte andò persa. Alla fine, la pratica fu totalmente sradicata. I bambini immortali divennero innominabili, un tabù.

Quando vivevo con i Volturi conobbi due bambini immortali e vidi con i miei occhi che aspetto avevano. Aro studiò i due piccoli per anni e anni, ben dopo la fine della catastrofe che avevano scatenato. Sapete quanto sia curiosa la sua indole: sperava di riuscire ad ammansirli. Ma, alla fine, la decisione fu unanime: ai bambini immortali non fu concesso di esistere».

Avevo già dimenticato la madre delle sorelle di Denali, quando la storia tornò a lei.

«Non è chiaro cosa avvenne alla madre di Tanya», disse Carlisle. «Tanya, Kate e Irina restarono totalmente all’oscuro di tutto fino al giorno in cui i Volturi, fatte prigioniere lei e la sua creatura proibita, andarono a cercarle. Aver ignorato l’accaduto salvò la vita a Tanya e alle sue sorelle. Aro le toccò e vide la loro assoluta innocenza, perciò non vennero punite assieme alla madre. Nessuna di loro aveva mai visto il bambino né sospettato della sua esistenza, fino al giorno in cui venne arso fra le braccia della madre. Immagino che lei avesse mantenuto il segreto proprio per proteggerle dal suo ineluttabile destino. Ma perché lo aveva creato, allora? Chi era questo bimbo e perché era così importante da averla convinta a oltrepassare il più proibito dei confini? Tanya e le altre non ottennero mai risposta a queste domande. Ma non potevano dubitare della colpevolezza della madre e non penso l’abbiano mai davvero perdonata.

Malgrado Aro fosse certo dell’innocenza di Tanya, Kate e Irina, Caius voleva mandarle al rogo. Con l’accusa di complicità. Per loro fortuna, quel giorno Aro era in vena di dimostrarsi clemente. Tanya e le sorelle ottennero il perdono, ma da allora sentono una ferita incurabile nel cuore e hanno un profondo rispetto per la legge».

Non so bene quando, ma il ricordo si trasformò in sogno. Con la memoria ascoltavo e vedevo Carlisle, eppure di punto in bianco eccomi di fronte a una radura grigia e deserta, mentre un greve odore di incenso bruciato impregnava l’aria. Non ero sola.

La calca di sagome al centro dello spiazzo, avvolte in mantelli color cenere, avrebbe dovuto spaventarmi. Non potevano essere che i Volturi, mentre io, in barba a ciò che avevano decretato il giorno del nostro ultimo incontro, ero ancora umana. Ma sapevo, come spesso mi accadeva nei sogni, di essere invisibile ai loro occhi.

Disseminati intorno a me c’erano tumuli fumanti. Riconobbi l’aroma dolce nell’aria e non li esaminai troppo da vicino. Non mi andava di guardare i volti dei vampiri appena giustiziati, quasi temessi di riconoscere qualcuno nelle pire ancora roventi.

I soldati dei Volturi si disposero in cerchio attorno a qualcosa o a qualcuno, e sentii il bisbiglio delle loro voci alzarsi in fermento. Mi avvicinai alle figure avvolte nei mantelli, spinta dal sogno a osservare cosa o chi stessero esaminando con quell’intensità. Strisciai con cautela fra due mantelli alti e sibilanti, finché non scoprii l’oggetto della discussione, posto in alto su un montarozzo da cui li dominava.

Era bellissimo, adorabile, proprio come lo aveva descritto Carlisle. Ancora piccolo, il bambino aveva al massimo due anni. Riccioli castano chiaro ne incorniciavano il viso da cherubino, le guance tonde e le labbra piene. E tremava a occhi chiusi, come fosse troppo spaventato per vedere la morte che, un secondo dopo l’altro, gli si avvicinava.

M’invase il bisogno urgente di salvare il bimbo incantevole e terrorizzato, tanto che ignorai persino la presenza e la minaccia devastante dei Volturi. Sgattaiolai fra loro senza preoccuparmi che percepissero la mia presenza. Passata oltre, scattai verso il bambino.

Poi mi fermai vacillando quando riuscii a vedere bene il cumulo sul quale era seduto. Non era fatto di terra e roccia ma di corpi umani, rinsecchiti e inerti. Troppo tardi per non vederne i volti. Li conoscevo tutti: Angela, Ben, Jessica, Mike... Ed esattamente ai piedi dell’adorabile infante c’erano i cadaveri di mio padre e mia madre.

Il bambino aprì gli occhi, luminosi e rossi come il sangue.

3

Il grande giorno

Di colpo sgranai gli occhi.

Scossa e ansante, restai un bel po’ sotto le coperte calde, nel tentativo di liberarmi dal sogno. Mentre attendevo che il cuore rallentasse il battito, il cielo fuori divenne grigio e poi rosa pallido.

Quando tornai alla realtà della mia stanza, familiare e disordinata, ce l’avevo un po’ con me stessa. Che razza di sogno, proprio la notte prima del matrimonio! Così imparavo a tormentarmi con storie inquietanti nel cuore della notte.

Impaziente di scrollare via l’incubo, mi vestii e corsi in cucina molto prima del necessario. Innanzitutto rassettai le stanze già in ordine e quando Charlie si alzò gli preparai i pancake. Ero troppo nervosa per mangiare qualcosa, perciò restai al mio posto saltellando sulla sedia.