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«Devi essere dal signor Weber alle tre», gli ricordai.

«Non ho granché da fare oggi, Bells, a parte passare a prendere il pastore. È difficile che mi dimentichi dell’unico impegno che ho».

Per il matrimonio, Charlie si era preso un’intera giornata di permesso e ora non sapeva come riempirla. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo furtivo sotto le scale, verso l’armadio che custodiva i suoi attrezzi da pesca.

«Non è l’unico. Devi anche vestirti e renderti presentabile».

Si gettò a capofitto nella sua tazza di cereali e a mezza voce borbottò la parola «pinguino».

Qualcuno bussò impaziente alla porta d’ingresso.

«Pensi di passartela male», dissi mentre mi alzavo da tavola con una smorfia. «Io starò tutto il giorno come una bambolina fra le mani di Alice».

Charlie annuì pensieroso e ammise che a lui toccava la prova meno ardua. Mi chinai a baciarlo sul capo mentre gli passavo accanto — lui arrossì e brontolò qualcosa -, pronta ad accogliere la mia migliore amica e futura sorella.

I capelli neri e corti di Alice non erano disordinati come al solito ma sistemati in un’acconciatura a onde che ne circondava il viso da folletto, che contrastava con la sua espressione indaffarata. Mi trascinò fuori casa con un «Ciao, Charlie» appena accennato indirizzato alle sue spalle.

Poi mi esaminò, mentre salivo sulla sua Porsche.

«Oh, accidenti, guarda che occhi!». Sibilò la sua disapprovazione. «Cos’hai fatto? Sei stata sveglia tutta la notte?».

«Quasi».

Mi guardò in cagnesco. «Non ho molto tempo per renderti strepitosa, Bella: avresti potuto trattare meglio la mia materia prima».

«Nessuno si aspetta che io sia strepitosa. Il vero rischio è che mi addormenti durante la cerimonia e non riesca a dire "sì" al momento giusto, facendo scappare Edward».

Rise. «Quando arriva il momento ti tirerò addosso il mio bouquet».

«Grazie».

«Avrai anche troppo tempo per dormire domani, in aereo».

Alzai un sopracciglio. Domani, riflettei. Secondo il programma, saremmo partiti subito dopo il ricevimento e se domani fossimo stati ancora in aereo... be’, di certo la nostra meta non era dietro l’angolo. Edward non aveva fatto trapelare nulla. Non ero particolarmente ansiosa di scoprire il mistero, ma era davvero strano ignorare dove avrei dormito la notte seguente. Magari... non proprio dormito.

Alice capì di aver detto troppo e si rabbuiò.

«È tutto pronto per la partenza», disse per distrarmi.

Funzionò. «Alice, avresti almeno potuto lasciarmi fare le valigie!».

«Ti avrei dato troppi indizi».

«E ti saresti negata un’occasione di fare shopping».

«Fra sole dieci ore ufficialmente sarai mia cognata... direi che è ora di superare questa avversione per i vestiti nuovi».

Restai a guardare dal finestrino, imbronciata e cupa, finché non fummo nei pressi della loro casa.

«È già tornato?», domandai.

«Non preoccuparti, arriverà prima che inizi la musica. Ma presto o tardi che sia, non devi vederlo. Rispettiamo la tradizione».

«La tradizione!», sbuffai.

«Anche se gli sposi non sono tradizionali».

«Lo sai anche tu che ha già sbirciato».

«Invece no, e questo è il motivo per cui sono stata l’unica a vederti con il vestito. Ho fatto molta attenzione a non pensarci mai, con lui nei paraggi».

«Be’, vedo che hai riciclato le decorazioni della festa per il diploma», dissi mentre imboccavamo la stradina alberata. Quei cinque chilometri erano di nuovo avvolti da migliaia di lucine intermittenti. Ma stavolta Alice aveva aggiunto fiocchi di raso bianco.

«Il risparmio è il miglior guadagno. Goditi queste, perché non vedrai le decorazioni all’interno fino all’ultimo». Entrò nel cavernoso garage sul lato settentrionale della casa; la grossa Jeep di Emmett non c’era ancora.

«E da quando la sposa non può vedere gli addobbi?», protestai.

«Da quando mi ha affidato i preparativi. Voglio che ti goda l’effetto d’insieme quando scenderai lo scalone».

Prima che entrassimo in cucina mi coprì gli occhi con la mano. Il profumo mi assalì immediatamente.

«Troppo?». La voce di Alice si fece subito preoccupata. «Sei il primo essere umano a entrare, spero di averci azzeccato».

«Ma è meraviglioso!», la rassicurai. Quasi inebriava, ma era tutt’altro che nauseante e l’equilibrio fra aromi diversi era sottile e impeccabile. «Fiori d’arancio... lillà... e qualcos’altro. Giusto?».

«Brava, Bella. Ti sono sfuggite soltanto la fresia e le rose».

Non mi scoprì gli occhi finché non entrammo nel suo immenso bagno. Osservai il lungo bancone, sepolto sotto un armamentario da salone di bellezza, e iniziai ad avvertire i postumi della notte insonne.

«È davvero necessario? Accanto a lui sembrerò comunque insignificante».

Mi spinse su una sediolina rosa. «Nessuno oserà dire che sei "insignificante" dopo che avrò finito».

«Per forza, avranno paura che tu li dissangui», brontolai. Mi lasciai andare sulla sedia e chiusi gli occhi, nella speranza di schiacciare un sonnellino. Scivolai nel dormiveglia riemergendone di tanto in tanto, mentre Alice usava maschere per levigare e far risplendere tutta la superficie del mio corpo.

Dopo pranzo Rosalie passò silenziosa davanti alla porta del bagno, vestita di un abito da sera argenteo e scintillante, i capelli d’oro raccolti in una corona morbida sulla testa. Era così bella da farmi venir voglia di piangere. Che senso aveva mettermi elegante se c’era lei nei paraggi?

«Sono tornati», disse Rosalie e il mio infantile attacco di angoscia sparì all’istante. Edward era qui, a casa.

«Non farlo entrare!».

«Oggi non ti si avvicinerà», la rassicurò Rosalie. «Non gli va di rischiare la vita. Esme li ha mandati a finire i preparativi sul retro. Serve aiuto? Posso farle i capelli».

Restai attonita a bocca aperta. Rosalie non era mai stata una mia ammiratrice. Oltretutto, tanto per rendere ancora più tesi i nostri rapporti, si sentiva offesa nell’intimo dalla scelta che stavo per fare. Nonostante la sua incredibile bellezza, l’amore della sua famiglia e l’anima gemella che aveva trovato in Emmett, avrebbe ceduto tutto pur di tornare umana. Invece, io stavo per gettar via senza pietà tutto ciò che lei desiderava dalla vita, neanche fosse spazzatura. La cosa non aveva affatto contribuito a ingraziarmela.

«Certo», rispose Alice tranquilla. «Puoi iniziare a intrecciarli. Voglio una cosa complicata. Il velo va qui, al di sotto». Iniziò ad armeggiare fra i miei capelli, che sollevava e annodava per mostrare in dettaglio la sua idea. Terminata la spiegazione, le mani di Rosalie rimpiazzarono le sue e modellarono la mia chioma, sfiorandola leggere come piume. Alice tornò a occuparsi del mio viso.

Dopo averla elogiata per la sua opera, Alice spedì Rosalie a recuperare il mio abito e a rintracciare Jasper, che aveva il compito di passare a prendere mia madre e suo marito Phil in albergo.

Al piano terra sentivo il rumore lontano della porta d’ingresso che si apriva e chiudeva di continuo. Le voci iniziarono a fluttuare fino alla nostra stanza.

Alice mi fece alzare in piedi, per infilarmi il vestito senza toccare i capelli e il trucco. Mentre chiudeva la lunga fila di bottoni perlati sulla schiena, le gambe mi tremavano così forte da produrre increspature sul raso.

«Respira a fondo, Bella», disse Alice. «E cerca di rallentare il battito del cuore. Non vorrai sciogliere il tuo nuovo viso con il sudore?».

Le rivolsi l’espressione più sarcastica che potevo. «Ci starò attenta».

«Ora devo vestirmi. Riesci a tener duro per due minuti?».

«Ehm... forse».

Alzò gli occhi al cielo e sfrecciò fuori.

Mi concentrai sul respiro, contandone ogni movimento mentre fissavo i riflessi prodotti dalla luce del bagno sul tessuto splendente della gonna. Avevo paura di guardarmi allo specchio: temevo che la mia immagine in abito da sposa mi spedisse a rotta di collo verso un attacco di panico in grande stile.