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Oscar radunò la krew nell’albergo, per risollevare l’atmosfera e mettere in chiaro alcune faccende. Comunicò che avrebbe raddoppiato lo stipendio di ognuno. La krew avrebbe dovuto considerarla come un’indennità di rischio. Stavano inoltrandosi in un territorio sconosciuto, le probabilità erano tutte a loro sfavore.

Ma se avessero vinto, sarebbe stata la vittoria politica più importante a cui Oscar avesse mai assistito. Terminò il suo discorso con un gesto elegante.

Subito dopo arrivarono le dimissioni. Presero la liquidazione e lasciarono il suo servizio. Audrey Avizienis andò via; lei faceva ricerche sugli avversari politici, era troppo scettica e indurita per rimanere in circostanze tanto incerte. Anche Bob Argow lasciò il posto. Era un amministratore di sistema ed elencò le sue lamentele: assurdità che riguardavano la sicurezza dei computer da parte di Kevin Hamilton e orde di presunti dèi della rete dei Moderatori che creavano codice nel modo in cui facevano vestiti: a mano, e un punto alla volta. Anche Negi Estabrook preferì andare via. Era inutile cucinare per una krew tanto piccola, e poi la cucina dei prolet era sostanzialmente basata su verdure modificate geneticamente, era vero mangime per topi. Rebecca Pataki seguì il suo esempio. Si sentiva fuori posto, abbandonata, aveva nostalgia di Boston.

Questo lasciò Oscar con un nucleo duro composto da quattro persone. Fred Dillen, il custode, Corky Shoeki, l’assistente e il nuovo factotum, e la sua segretaria, Lana Ramachandran. E inoltre la sua consulente per l’immagine, Donna Nunez, che dichiarò che sarebbe rimasta perché, dal punto di vista dell’immagine, il Collaboratorio stava iniziando a diventare interessante. Molto bene, pensò cupamente Oscar. Si era ridotto a quattro persone, avrebbe dovuto iniziare semplicemente da capo. E poi, c’era ancora Kevin. E nel Collaboratorio c’erano un sacco di persone utili. E lui lavorava per il presidente.

Avrebbe chiesto aiuto al consiglio per la sicurezza nazionale.

Due giorno dopo, il consiglio gli mandò davvero un aiuto. Gli agenti segreti del presidente inviarono finalmente rinforzi militari al Collaboratorio. L’aiuto militare consisteva in un giovane tenente colonnello dell’aviazione del Colorado. Era lo stesso uomo che aveva fatto l’ultimo turno di notte quando Oscar era stato rapito, e quando Kevin aveva fatto la sua disperata chiamata telefonica, in effetti, era stato lui a ordinare di salvare Oscar facendo intervenire un reparto armato.

Il tenente colonnello era dritto come un tronco d’albero, con un’uniforme assolutamente impeccabile e occhi d’acciaio. Indossava un’uniforme con un berretto scarlatto. Con sé aveva portato tre veicoli. Il primo trasportava una squadrone di fanteria a dispiegamento rapido; i soldati indossavano un equipaggiamento da combattimento tanto pesante e complesso che sembrava avessero grosse difficoltà a camminare. Il secondo e il terzo veicolo ospitavano i giornalisti al seguito del tenente colonnello.

Il colonnello si godette uno splendido giro guidato del Collaboratorio, ufficialmente per controllarne la sicurezza, ma sostanzialmente per pavoneggiarsi davanti agli abitanti del luogo, ammutoliti davanti alla sua autorità. Oscar tentò di rendersi utile. Presentò il colonnello ai suoi esperti di sicurezza: Kevin e il colonnello Burningboy.

Durante la conferenza, Kevin parlò poco — sembrava piuttosto imbarazzato. Burningboy si mostrò più espansivo. Il colonnello dei Moderatori si lanciò in una descrizione dettagliata e inquietante della situazione tattica del Collaboratorio. Buna distava soltanto venti chilometri dal confine con la Louisiana. Le paludi nebbiose della valle del fiume Sabine pullulavano di Regolatori assetati di vendetta. Anche se l’attacco degli elicotteri armati contro i commando dei Regolatori non era mai diventato una notizia ufficiale, l’assalto li aveva fatti infuriare.

La minaccia su Buna era seria e incombente. I Regolatori avevano sciami di aerei robot che sorvegliavano il laboratorio ventiquattr’ore su ventiquattro. Huey aveva rinunciato ai suoi piani di impadronirsi con le buone del laboratorio. Adesso voleva che venisse abbandonato, che cadesse in rovina, che venisse distrutto. I Regolatori erano più che disposti a mettere in atto i piani di Huey. L’idea che il Collaboratorio ospitasse i Moderatori li faceva infuriare terribilmente.

Quella conferenza affascinò il tenente colonnello. Disgustato dal suo lavoro di scrivania e imbarazzato dall’insabbiamento dei suo glorioso attacco, quell’uomo bruciava visibilmente dal desiderio di combattere. Era venuto pienamente preparato. La sua squadra di ninja della foresta, tutti rigorosamente volontari, indossava interi arsenali di equipaggiamento professionale: corazze antiproiettile, fucili da cecchino con il silenziatore, sensori di odori umani, stivali con suole a prova di mina, elmetti dotati di dispositivi per la visione notturna, perfino speciali razioni liofilizzate e autoriscaldanti per missioni di pattuglia a largo raggio.

Il tenente colonnello, dopo aver ascoltato la gente del luogo, annunciò che era giunto il momento di eseguire una ricognizione in forze delle paludi. Non avrebbe trascurato la sua krew dei media; i loro elicotteri avrebbero funto da ripetitore e da appoggio aereo improvvisato.

Oscar si era fatto un’idea abbastanza precisa del colonnello mediante le sue conoscenze nel consiglio per la sicurezza nazionale. Dopo avere finalmente conosciuto quell’uomo di persona, si rese immediatamente conto che quel tizio costituiva un tremendo pericolo per se stesso e per chiunque lo circondasse. Era giovane, zelante e stupido come un mulo; era una creatura atavica, uscita dritta dritta dai recessi inzuppati di sangue del ventesimo secolo.

Tuttavia Oscar fece del proprio meglio.

«Signor colonnello, quei boschi allagati nella valle del fiume Sabine sono più infidi di quel che crede. Qui non stiamo soltanto parlando di paludi — ma di aree disastrate permanenti. Il Sabine è straripato numerose volte da quando lo schema delle piogge è mutato, e un mucchio di terra coltivata è ritornata allo stato naturale. Lì fuori non c’è la foresta primitiva. Si tratta di ecoambienti deserti, tossici e privi di interesse economico, dove il legname decente è ormai stato tagliato da molto tempo e ci sono piante e arbusti velenosi alti la metà di un albero. Sarebbe un errore sottovalutare quei Regolatori quando si trovano nel loro territorio d’origine. Questi nomadi cajun non sono soltanto cacciatori e pescatori che vivono nelle paludi; sono anche molto esperti nella sorveglianza audio dagli alberi.»

Ovviamente, fu tutto inutile. Il tenente colonnello, i suoi uomini e i suoi impressionabili corrispondenti di guerra partirono di pattuglia all’alba del mattino seguente. Neppure uno di loro fu mai visto tornare a Buna.

Tre giorni dopo quella silenziosa sconfitta, Burningboy annunciò la propria partenza. Adesso era di nuovo il ‘generale’ Burningboy e, poiché era riuscito a riconquistare la sua reputazione, sentiva che era il momento di andarsene.

Kevin organizzò una festa d’addio per il generale, sul terreno della stazione di polizia. Greta e Oscar parteciparono vestiti di tutto punto e, per la prima volta, come una coppia agli occhi dell’opinione pubblica. Ovviamente erano stati rapiti tutti e due nello stesso momento, e salvati nello stesso momento, e così la loro apparizione era perfettamente ragionevole. Servì anche a sollevare il morale degli altri.

Ma, cosa molto triste, Greta e Oscar ebbero ben poco da dirsi o da fare insieme alla festa d’addio in onore di Burningboy. Erano entrambi preoccupati dalle esigenze del potere. E poi, la festa di Kevin aveva un splendido buffet di cibo genuino. Dopo giorni e giorni di razioni biotecnologiche dei nomadi, gli scienziati e i prolet lo assaltarono come un branco di orsetti lavoratori affamati.

A Oscar dispiaceva vedere andare via Burningboy. Gli sembrava una cosa assolutamente non necessaria. Burningboy, che aveva bevuto parecchio, prese da parte Oscar e gli spiegò i suoi motivi fin nei minimi dettagli. Aveva tutto a che fare con la struttura sociale dei nomadi.