Clotile rimise in ordine la casa e sparecchiò i piatti davanti a Kevin e Oscar con gesti bruschi. «Odio essere qui tra i piedi mentre la tua donna di servizio è occupata» commentò Oscar in tono mite. «Forse possiamo fare una passeggiata e discutere il motivo del nostro viaggio.»
«Questa è una buona idea» replicò Fontenot. «Ma certo. Venite fuori, ragazzi.»
Oscar e Kevin seguirono Fontenot oltre la porta cigolante e lungo gli scalini di legno storti. «Qui sono davvero delle brave persone» insistette Fontenot, voltandosi a guardare con cautela oltre la spalla. «Sono persone così genuine.»
«Sono felice che tu vada tanto d’accordo con i tuoi vicini.»
Fontenot annuì con solennità. «Io vado a messa. Laggiù, la gente del posto ha costruito una chiesetta. E poi ho iniziato a leggere la Bibbia… In precedenza, non avevo mai avuto tempo, ma adesso voglio fare solo le cose che contano. Quelle vere.»
Oscar non fece alcun commento. Lui non era religioso, ma era sempre stato molto impressionato dalla longevità del cristianesimo. «Raccontaci di questa enclave haitiana, Jules.»
«E perché? All’inferno, è inutile. Andremo lì direttamente. Prenderemo il mio huwy.»
L’hovercraft di Fontenot era parcheggiato accanto alla casa. Il veicolo anfibio, con la sua sagoma circolare, doveva essere stato un acquisto ambizioso; era equipaggiato con gonne di plastica indistruttibile e un potente motore ad alcol. Puzzava di frattaglie di pesce e la prua, tozza e luccicante, era copiosamente cosparsa di squame. Una volta sgombrata l’attrezzatura da pesca, poteva ospitare benissimo tre persone, anche se Kevin dovette stringersi un po’.
L’hovercraft sovraccarico iniziò a solcare l’acqua del bayou, strisciando sul fondo oppure andando a sbattere contro un ostacolo. A volte attraversava distese ninfee con un bizzarro gorgoglio.
«Un huwy è ideale per pescare nei bayou» affermò Fontenot. «Nel Teche è necessaria una barca che non peschi molto, con tutti i tronchi affioranti e le vecchie auto fracassate che ci sono, senza contare il resto. I miei buoni vicini si fanno beffe del mio ingombrante e costoso huwy, però io posso andare voglio.»
«A quanto ho capito, questi haitiani sono gente molto religiosa.»
«Oh, sì» confermò Fontenot annuendo. «Nella loro patria d’origine, avevano un ministro religioso, sai uno di quelli che vogliono replicare la solita solfa di Mosé che libera gli ebrei. E così, ovviamente, il regime lo ha fatto uccidere e poi ha fatto delle cose terribili ai suoi seguaci che hanno fatto davvero imbufalire Amnesty International. Ma… dopo tutto… questo a chi importa? Sono haitiani!»
Fontenot sollevò entrambe le mani dal timone dell’hovercraft. «Ditemi, a chi può fregare qualcosa di Haiti? Le isole di tutto il modo stanno affondando. Sì, stanno finendo a mollo, hanno tutte questo grosso problema del livello dell’oceano in continuo aumento. Ma Huey… be’, la prende sul personale quando un capo carismatico viene ucciso. Huey è molto sensibile alla diaspora francese. Ha tentato di fare intervenire il Dipartimento di stato, ma loro devono affrontare già troppe emergenze. E così, un bel giorno, Huey ha mandato una grande flotta di navi per la pesca ai gamberi fino a Haiti e li ha fatti evacuare tutti.»
«E come ha fatto con i loro visti?»
«Non si è mai preoccupato della faccenda. Vedete, dovete calarvi nel modo di pensare di Huey. Lui fa sempre due, tre, quattro cose contemporaneamente. Li ha nascosti in un rifugio, in una miniera di sale. La Louisiana possiede queste enormi miniere di sale sotterranee. Depositi di minerali sotterranei alti due volte il monte Everest; sono stati scavati per centinaia di anni. Laggiù ci sono grandi cripte, caverne grandi come interi quartieri, con soffitti alti centinaia di metri. Adesso nessuno estrae più sale. Il sale è più a buon mercato dell’aria, grazie agli impianti di distillazione dell’acqua salata. E così non c’è più mercato per il sale della Louisiana. Un’altra grande industria defunta, come quella del petrolio. Lo estraevamo e lo vendevamo, ma non ci è rimasto nulla, tranne gigantesche caverne nelle viscere della crosta terrestre. E di quale utilità possono essere adesso? Be’, servono soltanto a una cosa. Vedete, lì sotto è impossibile spiare. Non esiste alcun satellite che possa tenere d’occhio quelle gigantesche caverne sotterranee. Huey ha tenuto nascosta quella setta haitiana in una di quelle gigantesche caverne per un paio d’anni. Stava lavorando su di loro in segreto, insieme a tutti gli altri suoi progetti d’avanguardia. Come il pesce gatto gigante e il lievito da usare come combustibile e i celocanti…»
Kevin intervenne. «I ‘celocanti’?»
«Sono pesci fossili che vivono in Madagascar, figliolo. Sono più vecchi dei dinosauri. E hanno corredi genetici da pesci di un altro pianeta. Sono molto primitivi e incredibilmente resistenti. Prendere residui di un lontano passato e manipolarli la settimana dopo… Questa è la ricetta di Huey per il futuro-gumbo che ha in mente.»
Oscar si pulì la schiuma dalla sua tuta impermeabile. «E così ha fatto questa strana cosa agli haitiani come una sorta di progetto pilota.»
«Sì. E sai una cosa? Huey ha ragione.»
«Davvero?»
«Sì. Huey si sbaglia di grosso sulle piccole cose, ma ha tanta ragione sul quadro generale che il resto di noi non conta. Vedi, la Louisiana è davvero il futuro. Qualche giorno, molto presto, il mondo intero sarà come la Louisiana. Poiché il livello degli oceani continua a salire e ormai la Louisiana è un’unica, gigantesca palude. Il mondo del futuro sarà una grande e torrida area paludosa, causata dall’effetto serra. Piena di abitanti semianalfabeti e ibridi, che non parlano inglese e che non si sono dimenticati di fare figli. Inoltre, andranno pazzi per la biotecnologia. Ecco come sarà il mondo del futuro — non soltanto l’America, bada bene, ma il mondo intero. Caldo, umido, vecchio, corrotto, mezzo dimenticato, quasi marcio. I leader sono corrotti, tutti prendono tangenti. La situazione è grave, molto grave, anche peggiore di quanto sembri.»
E poi, improvvisamente, Fontenot sogghignò. «Ma volete sapere una cosa? In quel mondo ci si può vivere benissimo! Si pesca che è una bellezza! Il cibo è fantastico! Le donne sono magnifiche e la musica è davvero forte!»
Lottarono due ore per raggiungere l’accampamento dei profughi. L’hovercraft si aprì a forza la strada attraverso i giunchi, strisciò su mucchi di erba e banchi di fango nero e colloso. Il rifugio degli haitiani era stato astutamente costruito su un’isola raggiungibile soltanto mediante un mezzo aereo… oppure un’imbarcazione anfibia molto decisa.
Raggiunsero la terra ferma, lasciarono il loro hovercraft e camminarono attraverso erbacce che arrivavano alle ginocchia.
Oscar aveva immaginato il peggio: riflettori, torri di guardia, filo spinato e cani rabbiosi. Ma il villaggio degli emigrati haitiani non era un campo di concentramento. In effetti, somigliava di più a un ashram, a un piccolo ritiro religioso. Era un tranquillo villaggio rurale di case costruite con assi di legno dipinte con una mano di vernice bianca.
Il villaggio era abitato da sei o settecento persone; molti di esse erano bambini. Non disponeva di elettricità, acqua corrente, antenne paraboliche, strade, auto, telefoni o di velivoli di qualsiasi tipo. Era silenzioso tranne il cinguettio degli uccelli, il tonfo occasionale di una sega o di un’ascia e il lontano suono lamentoso degli inni.
Nessuno si affrettava, ma tutti sembravano avere qualcosa da fare. Quelle persone erano impegnate a svolgere i compiti di un’agricoltura preindustriale. Vivevano letteralmente della terra — non divorando il terreno e trasformandolo in vasche biotecnologiche, ma coltivandolo con attrezzi manuali. Erano attività bizzarre, davano quasi l’impressione di essere state tirate fuori da un museo.. Oscar aveva letto alcune descrizioni di quelle attività nei libri, le aveva viste nei documentari, ma non le aveva mai osservate dal vivo. C’era un fabbro, donne che filavano.