«No?»
«No. Perciò credo che sia necessario un gesto dimostrativo.»
«Aha.»
«Così potrò manifestare la mia solidarietà verso le deplorevoli condizioni in cui versano i nostri soldati almeno da un punto di vista personale.»
«Sì?»
«Domani mattina terrò una conferenza stampa in rete qui a Cambridge. Lorena e io annunceremo uno sciopero della fame. Fino a quando il Congresso degli Stati Uniti non acconsentirà a nutrire i nostri uomini e le nostre donne in uniforme, anche mia moglie e io digiuneremo.»
«Uno sciopero della fame?» esclamò Oscar. «È una mossa decisamente radicale per un funzionario federale appena eletto.»
«Spero che non ti aspetti che io faccia altri scioperi della fame dopo avere prestato giuramento» ribatté Bambakias in tono ragionevole. Abbassò la voce. «Ascolta, io e Lorena pensiamo che la faccenda sia fattibile. Ne abbiamo parlato in ufficio, a Washington, e nel nostro quartiere generale di Cambridge. Lorena dice che, dopo sei mesi di cene elettorali, siamo ingrassati come maiali. Se questa mossa è in grado di sortire qualche effetto, è meglio agire subito.»
«Ma è» — Oscar scelse con cura le parole — «è davvero consona alla dignità della sua carica?»
«Senti, io non ho mai promesso dignità ai votanti. Ho promesso loro dei risultati. Washington ha perso il controllo della situazione e ogni tentativo che fanno per recuperarlo non fa che peggiorare le cose. Se non strappo l’iniziativa a quei figli di puttana dei comitati di emergenza, allora tanto vale che mi consideri uno di quei fermalibri tanto decorativi. E non è certo per questo che volevo questa carica.»
«Sì, signore» commentò Oscar. «Lo so.»
«In ogni caso, esiste un’alternativa… Se lo sciopero della fame non produce alcun risultato, allora possiamo organizzare un convoglio e condurre una missione di soccorso. Raggiungeremo la Louisiana e provvederemo noi stessi a rifornire la base aerea.»
«Sta parlando di qualcosa di analogo ai nostri raduni preliminari per la campagna elettorale.»
«Sì, ma questa volta agiremo a livello nazionale. Avvertì l’apparato di partito, spargi la voce in rete, organizza i nostri attivisti e radunali in Louisiana. A livello nazionale, Oscar. Squadre di costruzione rapida, volontari della protezione civile, organizzazioni di beneficenza di base, picchetti, marce, copertura giornalistica totale. Insomma, la solita roba.»
«Mi piace» replicò Oscar. «Mi piace un sacco. È un piano assolutamente visionario.»
«Sapevo che avresti apprezzato questo aspetto. Dunque ritieni che si tratti di una minaccia credibile, nel caso lo sciopero fallisca?»
«Oh, sì» rispose prontamente Oscar. «Sicuro. Loro sanno che lei può permettersi di farlo. Naturalmente una gigantesca marcia di protesta è credibile. E una protesta a favore dei militari… sembra un’idea magnifica. Ma io avrei qualche avvertimento da farle, se desidera ascoltarlo.»
«Naturalmente.»
«Iniziare uno sciopero della fame è una mossa molto pericolosa. Gesti tanto clamorosi sono come un bel pezzo di carne cruda: rischiano di attirare un mucchio di squali.»
«Capisco cosa intendi dire, ma non ho paura.»
«Mettiamola così, senatore. Sarebbe meglio se lei e sua moglie moriste davvero di fame.»
«D’accordo» rispose Bambakias. «Si può fare. Abbiamo fatto la fame per anni.»
Come la maggior parte degli organismi del governo americano contemporaneo, il Collaboratorio Nazionale di Buna era diretto da una commissione. La fonte dell’autorità locale era rappresentata da un consiglio di dieci persone, presieduto dal direttore del Collaboratorio, il dottor Arno Felzian. Gli altri membri del consiglio erano i capi delle nove divisioni amministrative del Collaboratorio.
Leggi improntate alla trasparenza stabilivano che le riunioni settimanali del consiglio avessero luogo pubblicamente. L’accezione legale moderna del termine ‘pubblico’ implicava la presenza di telecamere, le cui riprese erano disponibili a un determinato indirizzo di rete. Però, almeno a Buna, la vecchia tradizione delle riunioni pubbliche era ancora viva. Gli scienziati che lavoravano nel Collaboratorio spesso assistevano in carne e ossa alle riunioni del consiglio direttivo, specie quando si aspettavano di vedere qualche membro del personale fatto a pezzi in pubblico.
Oscar aveva deciso di assistere di persona a tutte le riunioni settimanali del consiglio del Collaboratorio. Non aveva alcuna intenzione, però, di presentarsi formalmente o prendere parte agli affari della commissione. Si limitava a partecipare in modo che la sua presenza venisse notata. Per esserne sicuro, portò con sé il suo amministratore di sistema, Bob Argow, e la sua ricercatrice sull’opposizione, Audrey Avizienis.
La sala in cui il consiglio teneva le sue riunioni pubbliche era situata al secondo piano del centro media del Collaboratorio, dall’altro lato di una passerella priva di tettoia che partiva dall’edificio centrale dell’amministrazione. La sala, progettata nel 2030 per le riunioni pubbliche, era una sorta di piccolo anfiteatro dotata di un’acustica decente e di telecamere ben piazzate.
Ma il governo locale del Collaboratorio aveva avuto una storia piuttosto travagliata. Il centro media era stato saccheggiato e parzialmente bruciato all’epoca dei violenti scontri interni divampati nel laboratorio nel 2031. La sala, che aveva subito notevoli danni, era caduta in disuso durante le successive cacce alle streghe federali e gli scandali provocati dalla guerra economica. Le sue condizioni erano leggermente migliorate nel 2037, quando il Collaboratorio era riuscito a risanare le sue finanze perennemente in crisi. Gli appaltatori che avevano eseguito le riparazioni avevano tappezzato le pareti per nascondere le tracce dell’incendio e avevano cercato di abbellire la sala; adesso era diventata una sorta di giungla in miniatura di piante ornamentali.
Il palco del consiglio era perfettamente funzionale, con schermi acustici, illuminazione dall’alto, un tavolo e alcune sedie del tipo standard fornito dal governo federale. Le telecamere automatiche erano pronte a registrare. I membri del consiglio stavano seguendo l’ordine del giorno punto per punto. La questione attualmente discussa era la riparazione dell’impianto idraulico in una delle caffetterie del Collaboratorio. Stava parlando il capo della divisione Contratti e procure; stava leggendo, con aria dolente, un elenco di spese di riparazione da un foglio di lavoro.
«Non riesco a credere che la situazione sia così grave» borbottò Argow.
Oscar regolò rapidamente lo schermo del suo portatile. «Bob, c’è qualcosa che devo farti vedere.»
«È tanto terribile da sembrare assurda.» Argow lo ignorò. «Prima di venire qui, non mi ero mai davvero reso conto dei danni che abbiamo provocato. Mi riferisco alla razza umana, ovviamente. Abbiamo procurato danni irreparabili al nostro pianeta. Se ci pensi sul serio, tutto questo è assolutamente spaventoso. Ti rendi conto di quante specie sono state sterminate negli ultimi cinquant’anni? È una vera catastrofe, di dimensioni epiche.»
Audrey si sporse sulla spalla di Oscar. «Avevi promesso che avresti smesso di bere, Bob.»
«Sono sobrio come un giudice, piccola strega! Mentre tu te ne stavi seduta nel dormitorio con il naso incollato allo schermo, io mi sono fatto un giro per i giardini. Ho visto le giraffe, le marmotte dal pelo dorato. Tutte annientate in un olocausto! Abbiamo avvelenato l’oceano, abbiamo bruciato e raso al suolo le giungle e abbiamo mandato a puttane persino il clima. Il tutto in nome della vita moderna, giusto? E qual è stato il risultato? Otto miliardi di psicotici drogati di media.»
«Be’, di certo tu non sei tra quelli che potrebbero fare la predica» lo rimbeccò Audrey.