Con la fine improvvisa e sorprendente della guerra, il folle moto di immigrazione verso Buna si ridusse fino a trasformarsi in un rivolo. Poi, cominciò il moto in direzione opposta. Le persone avevano visto abbastanza. I curiosi, i falsi nomadi e i modaioli più superficiali iniziarono a rendersi conto che una società del dopo effetto serra che fosse affascinante, non commerciale e animata da dissidenti intellettuali non faceva per tutti. Vivere lì significava svolgere un mucchio di lavoro. Il semplice fatto che non utilizzasse denaro non significava che non si dovesse lavorare: era vero esattamente il contrario. Quell’unione tra la scienza e una defezione economica di massa avrebbe richiesto una mole enorme di lavoro e un costante sforzo altruistico; molto di esso sarebbe stato necessariamente sprecato in esperimenti che sarebbero falliti, in strade che sarebbe stato meglio non imboccare e su nozioni affascinanti dal punto di vista intellettuale ma che, ben presto, si trasformavano in assurdi vicoli ciechi.
A Buna, oltre i continui festeggiamenti, doveva svolgersi una ricerca scientifica molto rigorosa: la ‘scienza’ come nuova ossessiva potenza, perché adesso era divenuta l’arte per l’arte, la scienza per la scienza. Era un’impresa destinata a una minuscola frazione demografica, totalmente divorata dalla curiosità intellettuale. Adesso tutta l’aria fritta di fervore intellettuale sarebbe uscita dalla cupola e la fredda aria della realtà l’avrebbe resa umida e spiacevole al tocco.
Lavorare nel comitato per la normalità non era stimolante quanto lo era stato in quelli precedenti. Il lavoro era sempre stato stancante, ma i membri non si erano mai annoiati.
Adesso Greta e Oscar stavano scoprendo di avere dei brevi momenti in cui potevano pensare a se stessi. Momenti in cui potevano parlare, e non per l’opinione pubblica. Momenti in cui gli affari di governo conducevano altrove gli altri membri del comitato. Momenti in cui rimanevano da soli.
Oscar si guardò intorno nella sala vuota. Sembrava la fotografia della sua anima: troppo illuminata, vuota, piena di rifiuti.
«È finita, Greta. La campagna è finita. Abbiamo vinto. Siamo al potere. Adesso dobbiamo consolidarci, dobbiamo imparare a governare. Non siamo più ribelli, perché non possiamo guidare marce o proclamare scioperi contro noi stessi. Non possiamo neppure ribellarci contro il presidente: ci sta benevolmente ignorando, applicando il più classico dei comportamenti passivi-aggressivi. Ci sta dando corda. Vuole vedere se ce la faremo, oppure se ci impiccheremo da soli. Adesso dobbiamo fare i conti con la realtà. Dobbiamo stabilizzare la situazione.»
«Stavo proprio aspettando che dicessi questo. Che finalmente era finita, che non ero più Giovanna d’Arco.»
«Io ti ho dipinto come Giovanna d’Arco perché è di questo tipo di immagine che un candidato ha bisogno quando conduce una crociata eroica. Tu non sei certo Giovanna d’Arco. Lei era un genio militare di quindici anni che sentiva voci nella testa. Tu non senti alcuna voce. I rumori che hai sentito durante tutto questo tempo non erano le voci degli angeli, ma una brillante campagna di pubbliche relazioni. Giovanna d’Arco fu condannata al rogo. Fu arrostita. Io non ho messo su questa faccenda affinché tu finissi bruciata. Io non voglio che tu finisca bruciata, Greta. Non ne vale la pena.»
«E allora cosa vuoi da me, Oscar? Tu vuoi una Giovanna d’Arco che, in qualche modo, se la cava, sopravvive. Una contadina schizoide che costruisce un grande castello e poi cosa diventa? Una duchessa francese? Una contadina in sontuose vesti di broccato?»
«E con un principe. Okay?»
«Ma perché il principe dovrebbe davvero avere bisogno di lei? Voglio dire, nel lungo periodo.»
«Be’, il candidato più ovvio sarebbe stato Gilles de Rais — ma è chiaro che quel tizio perse di vista il quadro generale. Non importa; le analogie storiche sono valide fino a un certo punto. Adesso sto parlando di te e di me. Siamo arrivati alla fine della strada. Adesso dobbiamo prendere una decisione. Dobbiamo piantare le tende.»
Greta chiuse gli occhi, fece alcuni respiri profondi. La sala era perfettamente silenziosa, tranne il lieve sibilo dei filtri dell’aria. Lo stress aveva fatto peggiorare le sue allergie; adesso si portava dietro i filtri dell’aria come se fossero borsette. «E così, alla fin fine, tutto questo riguarda me e te.»
«Sì, è così.»
«No. Lascia che ti dica qualcosa su te e me. Quando ti ho visto per la prima volta, ero assolutamente scettica. Non volevo alcun problema. Ma tu continuavi a provocarmi. E io pensavo: ma cosa sta facendo? È un funzionario politico. Io non ho nulla che gli serve. Io sto gettando via la mia vita in questo consiglio, tentando di ottenere un vero e proprio equipaggiamento. E non riuscivo a fare neppure questo. Ma poi mi è venuta in mente questa ipotesi assurda: a questo tizio io piaccio e basta. Pensa che io sia sexy. Vuole venire a letto con me. Era davvero così semplice.» Respirò a fondo. «E poi ho pensato: Greta, questa è davvero una pessima idea. Ma qual è la cosa peggiore che possa capitarmi? Mi troveranno a letto con questo tizio, mi faranno una bella ramanzina e mi sbatteranno fuori dal consiglio. Una prospettiva meravigliosa! Allora potrò tornare al mio laboratorio! E poi mi sono detta: guardalo! È giovane, è attraente, scrive dei bigliettini molto divertenti, manda degli enormi mazzi di fiori. E in lui c’è qualcosa di diverso.»
Greta lo guardò. Oscar non si stava perdendo neppure una parola. Aveva l’impressione di avere atteso per tutta la vita quel discorso.
«Io mi sono innamorata di te, Oscar. So che è vero perché tu sei l’unico uomo di cui sia mai stata gelosa; in precedenza non mi ero mai concessa questo lusso emotivo. Io ti amo e, con mia grande meraviglia, scopro che sei il mio esemplare preferito. Io ti amo davvero per quello che sei, dentro e fuori. E abbiamo avuto una bella storia, in cui mi sono buttata senza alcun timore, perché, alla fin fine, la tua qualità migliore è che sei temporaneo. Non sei il mio destino. Non sei il mio principe. Nella mia vita sei soltanto un visitatore, un commesso viaggiatore.»
Oscar annuì. «Adesso sì che stai ragionando in maniera perfetta.»
«Davvero?»
«Tutto quello che hai detto è assolutamente vero. Io sono sempre stato temporaneo. Io posso dare consigli, posso dirigere campagne elettorali, posso andare e venire. Posso avere brevi relazioni, ma non riesco a fare durare nulla! Il mio padre adottivo mi scelse in base a un impulso. Papà ha avuto quattro mogli e non so quante fidanzate: ogni donna nella mia infanzia mi è passata accanto come un rapido. Ho una febbre permanente. Devo reinventare me stesso ogni mattina. Ho fondato un’azienda, ma l’ho venduta. Ho costruito una casa, ma è vuota. Ho costruito un albergo, ma non posso gestirlo. Qui ho formato una coalizione, un’intera nuova società, una città per ospitarla, un faro con altoparlanti e bandiere, ma non riuscirò a rimanere. Io sono il suo padre fondatore, il suo principe, ma non appartengo a questo posto. Non riesco mai a rimanere da nessuna parte.»
«Oh, santo cielo.»
«Ti sto dicendo delle cose ragionevoli?»
«Oscar, ma mi spieghi come faccio a rimanere io? Non posso andare avanti così, sono assolutamente esausta. Ho fatto quel che dovevo, non posso dire che tu mi abbia usato. Ma qualcosa mi ha usata. È stata la storia, e sta continuando a farlo. E il nostro rapporto si è usurato.»
«Greta, noi dovremmo fare la cosa più giusta: dichiarare tutto pubblicamente. Prendiamo una decisione. Io voglio che tu mi sposi.»
Greta si prese la testa tra le mani.
«Senti, non fare così. Ascoltami. Possiamo farlo funzionare. È fattibile. In effetti, è una mossa geniale.»
«Oscar, tu non mi ami.»
«Ti amo per quanto posso amare qualcun altro.»
Greta lo fissò con espressione stupita. «Che modo brillante per evadere la mia domanda.»
«Tu non troverai mai un altro uomo che sia così attento ai tuoi interessi. Se trovi un altro uomo che vuoi sposare, lasciami per lui! Non ho paura che possa accadere. Non succederà mai.»