Oscar fissò con orrore il filtro fissato al gomito. Adesso si era abituato. Erano dappertutto, erano così innocui. Stavano ripulendo il miasma lasciato dal gas biologico usato come cavallo di Troia da Huey. «Oh, Greta. Ma come hai potuto accettare un regalo da quella donna?»
«Ha detto che si trattava di un tuo regalo. Vedi, odora di rose.» Diede una pacca sulla scatoletta, poi sollevò lo sguardo con un’espressione dolorosa e stupita, mentre una terribile consapevolezza iniziava a sorgere nella sua mente. «Oh, tesoro, pensavo che lo sapessi. Pensavo che tu sapessi tutto.»
Il Collaboratorio era stato progettato per affrontare la contaminazione biologica. Fu necessario isolare l’intero edificio dell’amministrazione. Il gas emesso dal falso filtro dell’aria era stato progettato in maniera particolarmente ingegnosa: particelle grandi pochi micron e simili al polline. Le particelle risalivano lungo il tratto nasale come una presa indolore di cocaina, poi il loro contenuto filtrava oltre la barriera emato-encefalica del cervello e operava effetti misteriosi e ai limiti della stregoneria.
Oscar e Greta, dopo avere stancamente indossato delle tute di decontaminazione, furono trasportati, con i volti arrossati e l’andatura barcollante, nella clinica della Zona Calda. Lì vennero lavati e sottoposti a un esame minuzioso. La buona notizie fu immediata: non stavano morendo. La cattiva notizia ci mise un po’ più di tempo ad arrivare. La loro pressione sanguigna era alta, i volti erano congestionati, la loro andatura e la loro postura avevano risentito dell’avvelenamento, soffrivano di strane turbe del linguaggio. Gli esami eseguiti con la tomografia a emissione di positroni mostrarono due macchie rosse altamente anormali di elaborazione cognitiva, due zone calde itineranti quando il cervello avrebbe dovuto averne soltanto una. Il ritmo primario delle onde cerebrali era accompagnato da un chiaro ritmo secondario.
Oscar era stato avvelenato, gentilmente, lentamente, proprio mentre pronunciava il discorso più importante della sua vita. Quella terribile consapevolezza lo fece piombare in una rabbia quasi animale. La reazione rivelò un’altra qualità degna di nota del suo cervello avvelenato: poteva pensare a due cose contemporaneamente, ma questo lo affaticava a tal punto da fargli perdere il controllo sui propri impulsi.
Un’infermiera si offrì di somministrargli un sedativo. Oscar rispose in tono gentile di sentirsi un po’ iperattivo e accentuò quell’impressione urlando un diluvio di insulti personali e prendendo a calci una parete. Questo comportamento provocò l’immediata somministrazione del sedativo, con risultante doppia incoscienza.
A mezzogiorno, Oscar era di nuovo vigile, si sentiva simultaneamente stordito e pronto a scattare. Andò a trovare Greta, ospitata in una cella di decontaminazione separata. Greta aveva trascorso una nottata molto tranquilla. Adesso era seduta sul letto d’ospedale, le gambe piegate, le braccia in grembo, lo sguardo fisso nel vuoto. Non gli parlò, non lo vide neppure. Era completamente sveglia, ma profondamente immersa dentro di sé, in maniera assolutamente indescrivibile.
Un’infermiera tenne d’occhio Oscar mentre fissava Greta provando una sensazione dolceamara. Amaro, dolce; amaro/dolce: dolceamaro. Greta era in estasi, in perfetto silenzio, voracemente immersa in sé; Greta non era mai sembrata così simile a se stessa. Toccarla sarebbe stata un vero sacrilegio.
Accompagnato dall’infermiera, Oscar tornò nella sua cella. Si chiese quali effetti l’avvelenamento avesse avuto su Greta. Sembrava colpire ogni persona in maniera diversa. Forse c’erano tanti modi di pensare doppio quanti ce n’erano di pensare singolo.
Quando chiudeva gli occhi, Oscar riusciva a somatizzare quella sensazione. Era come se il suo cranio sovraffollato ospitasse un paio di vesciche, liquide e cedevoli, come se avesse una coppia yin-yang incorporata. Uno dei fuochi dell’attenzione era ‘in primo piano’, l’altro sullo ‘sfondo’, e quando quello in primo piano affiorava nella coscienza diretta, l’altro scivolava dietro di lui. E al loro interno avevano spazi pulsanti. Spazi che contenevano il nucleo nascente di altri flussi di coscienza. Come icone viventi, in attesa di un tocco mentale per essere visualizzate nella coscienza.
Kevin entrò nella cella. Oscar lo sentì zoppicare, fu pienamente cosciente della sua presenza; ci volle uno strano momento per comprendere che avrebbe dovuto fare la fatica di aprire gli occhi e di guardare.
«Grazie a Dio sei qui!» sbottò.
«Ecco quello che mi piace di te» replicò Kevin, ammiccando. «Il tuo entusiasmo.»
Con uno sforzo, Oscar non rispose nulla. Se si impegnava a fondo, riusciva a controllare l’impulso di gridare ad alta voce i propri sentimenti. Tutto quello che doveva fare era premere la lingua contro il palato, stringere i denti e respirare ritmicamente attraverso il naso.
«Non hai un’aria tanto malconcia» commentò Kevin in tono meditabondo. «Sei un po’ rosso e hai il collo rigido come quello di una giraffa sotto anfetamina, ma non sembri pazzo.»
«Io non sono pazzo. Sono soltanto diverso.»
«Uh-uhu.» Kevin prese una sedia di metallo disinfettata e concesse un po’ di sollievo ai suoi piedi doloranti. «Ecco, ehm, scusami per quel problema di sicurezza.»
«Sono cose che capitano.»
«Sì. Vedi, il vero problema erano tutte le persone di Boston che facevano parte della krew di Bambakias. La moglie del senatore poi… Si è data un mucchio da fare per convincerti che avrei dovuto chiudere un occhio sulla faccenda della portavoce. Sai, il fatto che tu e quella pupa eravate stati insieme e tutto il resto. Grandioso, ho pensato, meglio seppellire tutto; ma poi, entra questa Moira Matarazzo che era l’ex portavoce del senatore… Vedi, a un certo punto ho perso il filo. Ecco tutto. Non sono stato capace di gestire la faccenda. Tutti questi tizi di Boston che facevano parte della krew di Bambakias, e gli ex membri e i membri degli ex membri; senti, nessuno riuscirebbe a stare dietro a queste stronzate. Al diavolo, non so neppure se io faccio ancora parte della tua krew!»
«Ho capito il quadro, Kevin. È un effetto collaterale di quello che è, sostanzialmente, un processo di socializzazione basato sull’influenza, policefalo, segmentato, basato sulle reti, distribuibile, semilegale e semifeudale.»
Kevin attese educatamente che le labbra di Oscar cessassero di muoversi. «Per quel che vale, ho ricostruito i movimenti di Moira. Nella cupola, nell’edificio dell’amministrazione, fuori della cupola… Sono praticamente sicuro che non ha lasciato nessuna di quelle bombe a tempo per il resto di noi.»
«Huey.»
Kevin rise. «Ma certo che è stato lui!»
«Ma è così inutile e meschino da parte sua farci adesso una cosa simile. Dopo la fine della guerra, dopo che ormai si è dimesso dalla sua carica. Proprio quando io ero pronto a lasciare perdere tutto.»
«E così volevi davvero lasciarci.»
«Cosa?»
«Ho sentito tutto. Ho dimenticato di dirti che ho ascoltato i nastri dell’incidente dell’avvelenamento. Quella romantica discussione che tu e la dottoressa Penninger stavate avendo mentre venivate avvelenati.»
«Hai messo sotto sorveglianza quella sala?»
«Ehi, amico, io non sono cerebroleso. Ma certo che l’ho messa sotto sorveglianza! Non che abbia il tempo di ascoltare tutte le conversazioni in ogni stanza che sorveglio… Ma quando viene sferrato un attacco di guerra biologica in una di esse, puoi scommetterci che mando indietro i nastri e li ascolto! Io sono molto attento, Oscar. Io imparo in fretta. Sono un ottimo poliziotto, davvero.»
«Non ho mai detto che non eri un buon poliziotto, incompetente chiacchierone.»
«Cavolo, ci siamo di nuovo… Sai che parli con due voci diverse quando dici cose contraddittorie come questa? Devo eseguire un analisi sulla pronuncia, scommetto che potrei mandare in tilt un bel po’ di programmi di analisi.» Kevin si rilassò contro lo schienale delle sedia e poggiò un piede sul letto di Oscar, che pensò che Kevin stava prendendo quegli sviluppi con molta calma. Ma Kevin aveva già assistito a quel fenomeno tra gli haitiani. Aveva avuto il tempo per abituarsi all’idea.