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«Non penserei mai una cosa del genere, Albert.»

«Sono personalmente dispiaciuto del fatto che lei debba subire questo genere di vessazioni. È un onore aiutarla, davvero.»

Oscar annuì. «Apprezzo i suoi sentimenti. È bello da parte vostra ospitarmi. Cercherò di non intralciare il vostro lavoro in laboratorio.»

Il dottor Gazzaniga lo condusse lungo un corridoio, oltrepassando sette ricercatori che, vestiti con indumenti sterili, stavano studiando le loro piastrine. «Spero che lei non abbia l’impressione che il laboratorio di Greta sia una zona a rischio biologico. Non facciamo nulla di pericoloso qui. Indossiamo questi abiti sterili solo per proteggere le nostre colture da eventuali contaminazioni.»

«Capisco.»

Gazzaniga scrollò le spalle sotto il suo camice da laboratorio assolutamente privo di peluzzi. «Tutta questa faccenda della tecnologia genetica — le torri giganti, le catacombe, le camere stagne, l’enorme cupola a chiusura ermetica — immagino che, in passato, abbia avuto una forte valenza politica, ma, fondamentalmente, è sempre stata un’idea ingenua e ora semplicemente antiquata. Fatta eccezione per poche applicazioni militari classificate, il Collaboratorio si è sbarazzato dei virus capaci di riprodursi molto tempo fa. Non c’è niente che cresca all’interno della Zona Calda che possa farle del male. L’ingegneria genetica è un campo molto stabile adesso, ormai ha cinquant’anni. Noi usiamo soltanto virus che vivono in condizioni di calore estremo, germi nativi di ambienti vulcanici. Molto efficienti, con un metabolismo rapido, eccellenti trasformatori industriali e naturalmente molto sicuri. Al di sotto dei 90° il loro metabolismo semplicemente smette di funzionare. Si nutrono di zolfo e di idrogeno, sostanze di cui il sangue umano è privo. Inoltre, i nostri esemplari appartengono a ceppi indeboliti. Perciò, anche se qualcuno facesse letteralmente il bagno in quei virus… be’, potrebbe scottarsi, ma non rischierebbe mai di contrarre infezioni o di andare soggetto a una mutazione genetica non controllata.»

«Sembra molto rassicurante.»

«Greta è una professionista ed è particolarmente meticolosa per quello che riguarda le procedure di laboratorio. No, è molto di più: il laboratorio è il luogo in cui lei brilla davvero. È molto ferrata nella matematica neurocomputazionale, non mi fraintenda, ma Greta è uno degli scienziati migliori dell’intero Collaboratorio per quanto riguarda le ricerche pratiche. È in grado di fare cose con le sonde STM che non saprebbe fare nessun altro al mondo. E se riuscissimo a farle mettere le mani su qualche decente centrifuga tissotropica al posto di questo rottame dell’Età della Pietra, otterremmo risultati grandiosi.»

Gazzaniga era un fiume in piena. Ormai tremava visibilmente per l’emozione. «In termini di saggi pubblicabili per uomo/ora, questo è il laboratorio più produttivo di Buna. Abbiamo il talento e la krew di Greta non è seconda a nessuno. Se soltanto potessimo fruire delle risorse appropriate… be’, è difficile dire cosa saremmo capaci di realizzare qui. La neuroscienza sta davvero cominciando a prendere piede, come la genetica quarant’anni fa, o l’informatica ottant’anni fa. Il cielo è l’unico limite, dico sul serio.»

«Cosa state facendo qui esattamente?»

«Ecco, in parole povere…»

«Lasci stare, Albert, mi parli semplicemente del vostro lavoro.»

«Sostanzialmente stiamo soltanto mettendo a frutto i risultati del premio Nobel di Greta. Il suo lavoro riguardava i gradienti neurochimici gliali che provocano la modulazione dell’attenzione. Questo è lo sviluppo maggiore negli ultimi anni a livello neurocognitivo, per cui adesso abbiamo numerosi campi da esplorare. Karen sta lavorando sulla modulazione fasica e la frequenza di picco. Yung-Nien è il nostro mago della cognizione, si occupa della risonanza stocastica e elabora modelli della velocità di risposta. E Sergey, laggiù, studia il meccanismo di ricezione degli impulsi nervosi; adesso sta lavorando sull’assorbimento dei neurotrasmettitori. Il resto è in sostanza uno staff di supporto di giovani dottorandi, ma, quando si lavora con Greta Penninger, non si mai. Questo è un laboratorio di fama mondiale. È un magnete. Ha tutto quello che ci vuole per esserlo. Quando Greta avrà cinquanta o sessanta anni, anche i suoi collaboratori più giovani dirigeranno laboratori neurali.»

«E a cosa sta lavorando la dottoressa Penninger?»

«Be’, questo può chiederlo direttamente a lei!» Greta era arrivata. Gazzaniga si allontanò per delicatezza.

Oscar si scusò per avere interrotto il suo lavoro.

«No, non si preoccupi» replicò Greta in tono tranquillo. «Mi sto organizzando per poterle dedicare un po’ di tempo. Penso ne valga la pena.»

«Lei è proprio una persona di larghe vedute.»

«Sì» replicò lei semplicemente.

Oscar diede una rapida occhiata al laboratorio. «È strano incontrarci in un posto così… So bene che questo posto le si adatta perfettamente; su di me ha una risonanza personale talmente forte… Possiamo parlare in privato qui?»

«Il mio laboratorio non è tenuto sotto controllo. Qui ogni superficie viene sterilizzata due volte alla settimana. Niente di grande quanto una microspia potrebbe sopravvivere in questo posto.» La dottoressa notò la reazione scettica di Oscar e cambiò strategia. Premette l’interruttore di un omogeneizzatore; nella sala si diffuse un confortante frastuono.

Oscar si sentì molto meglio. Erano ancora pienamente visibili, ma almeno il rumore avrebbe eluso lo spionaggio audio. «Sa qual è la mia definizione di politica, Greta?»

Lei gli rivolse un’occhiata indagatrice. «Io so soltanto che la parola ‘politica’ vuol dire un sacco di problemi per gli scienziati.»

«La politica è l’arte di conciliare le aspirazioni umane.»

La dottoressa si fermò un attimo a riflettere su questa affermazione. «Okay. E allora?»

«Greta, ho bisogno che lei sia sincera con me. Ho bisogno di una persona ragionevole che possa testimoniare nella prossima udienza del Senato. I soliti portavoce della vecchia gestione non lo faranno più. Ho bisogno di qualcuno che abbia una conoscenza concreta di quello che sta succedendo in questa struttura.»

«Perché lo chiede a me? Perché non lo chiede a Cyril Morello o a Warren Titche? Loro sì che hanno molto tempo da dedicare all’attivismo politico.»

Oscar conosceva bene Morello e Titche. Erano due dei leader politici della comunità del Collaboratorio, sebbene ne fossero ancora del tutto inconsapevoli. Cyril Morello era l’assistente capo della divisione Servizi umani, un uomo che, grazie alle sue battaglie, che spesso andavano a scapito della sua carriera, si era conquistato la fiducia degli scienziati del Collaboratorio. Warren Titche era il radicale polemico e linguacciuto per eccellenza del laboratorio, un fanatico con le toppe ai gomiti che si batteva per avere le rastrelliere per parcheggiare le biciclette e per migliorare i menù della tavola calda come se un fallimento dovesse provocare l’olocausto nucleare.

«Quello che le sto chiedendo non è un elenco di lamentele. Ne ho già uno considerevole. Quello che mi serve è, ecco, come dire… Un’interpretazione. Il quadro generale. Il Messaggio. Vede, il nuovo Congresso ha nominato ben tre senatori neoeletti nella commissione scientifica. Mancano, però, della profonda esperienza del loro predecessore, il senatore Dougal del Texas, che è rimasto in carica per un periodo estremamente lungo. Ormai a Washington il gioco è completamente cambiato.»

Greta rivolse un’occhiata furtiva al suo orologio. «Davvero crede che questo potrà essere d’aiuto?»

«Andiamo al sodo. Lasci che le faccia una domanda molto semplice. Supponiamo che lei abbia potere assoluto sulla politica scientifica federale e che, perciò, possa ottenere tutto ciò che vuole. Mi dia la versione più ottimistica. Cosa vuole?»