«Non sono nato in America. A essere precisi, non sono mai nato. Ma lavoro per il nostro governo perché credo nell’America. Si dà il caso che io creda che questa sia una società unica; noi abbiamo un ruolo unico al mondo.»
Oscar batté la mano sul tavolo da laboratorio. «Noi abbiamo inventato il futuro! Noi lo abbiamo costruito! E se gli altri lo progetteranno o lo lanceranno sul mercato meglio di noi, inventeremo qualcos’altro di ancora più sorprendente. Se saranno necessarie immaginazione e intraprendenza, ebbene, noi le avremo sempre. Se occorreranno coraggio o mancanza di scrupoli, non ci mancheranno di certo: noi non ci siamo limitati a costruire la bomba atomica, l’abbiamo usata! Non siamo una massa di santimoniosi, piagnucolosi ecocomunisti europei che cercano di rendere il mondo sicuro per le loro boutique! Non siamo un formicaio di ingegneri sociali, seguaci di Confucio, a cui piacerebbe vedere le masse raccogliere cotone per i prossimi due millenni! Siamo una nazione di meccanici cosmici che si danno da fare!»
«Eppure non abbiamo un soldo» commentò Greta.
«Perché dovrei preoccuparmi se voi pagliacci non riuscite a guadagnare un soldo? Io lavoro per il governo! Noi i soldi li stampiamo. Mettiamo subito in chiaro una cosa. Qui siete di fronte a una scelta difficile. Potete starvene seduti con le mani in mano come prime donne, gettando al vento tutto quello che avete costruito. Oppure potete smettere di avere paura, e di stare in ginocchio. Potete procedere con le vostre gambe, come una vera comunità, ed essere fieri di voi stessi. Potete prendere le redini del vostro futuro e fare in modo che questo posto diventi quello che potrebbe essere. Potete organizzarvi.»
Quattro
All’interno della Zona Calda del Collaboratorio Oscar era al sicuro da qualsiasi aggressione, ma il rischio che uno svitato qualsiasi gli piombasse addosso all’improvviso aveva reso impossibile la sua vita politica. Le voci si erano diffuse tra i ricercatori con la velocità di un incendio in un’astronave. Le persone lo evitavano; era diventato un problema, su di lui era stata scagliata una maledizione. Considerate le circostanze decisamente sfavorevoli, Oscar pensò che la tattica più saggia fosse quella di sparire dalla circolazione ed elaborò un piano per coprire la propria ritirata.
Ordinò di portare il pullman che aveva utilizzato durante la campagna elettorale nell’officina del Collaboratorio, dove venne ridipinto con i colori e i contrassegni di un veicolo adibito al trasporto di materiali pericolosi. Si trattava di un suggerimento di Fontenot, poiché lo scaltro ex federale era un maestro del travestimento. Fontenot aveva fatto notare che ben poche persone, comprese quelle che ponevano in atto i blocchi stradali, avrebbero volutamente interferito con la mole malaugurante di un pullman dipinto di un colore giallo vivido. I poliziotti del Collaboratorio furono più che lieti della prospettiva che ben presto Oscar avrebbe lasciato la loro giurisdizione e dunque fin troppo solleciti nel fornire la vernice e i contrassegni necessari.
Oscar partì prima dell’alba nel pullman ridipinto, uscendo da una delle porte stagne senza alcun annuncio pubblico o squillo di trombe. Fuggiva praticamente da solo. Aveva portato con sé soltanto una krew ridotta all’osso: Jimmy De Paulo, il suo autista, Donna Nunez, la sua stilista, Lana Ramachandran, la sua segretaria e, come zavorra, Moira Matarazzo.
Moira era stata il primo membro della krew di Oscar a gettare la spugna. Il suo mestiere era quello di portavoce, ossia un lavoro malauguratamente e interamente basato sulla comunicazione verbale e visuale. Moira non era mai riuscita ad apprezzare i piaceri trascendentali offerti dalla costruzione di interi alberghi con le sole mani. Era anche profondamente disgustata dal mondo ermeticamente sigillato del Collaboratorio, i cui peculiari abitanti trovavano irrilevanti i suoi interessi. Vista la situazione, Moira aveva deciso di licenziarsi e di tornare a casa, a Boston.
Oscar non aveva fatto alcun vero sforzo per convincere Moira a rimanere con la krew. Aveva riflettuto con attenzione sulla questione e aveva concluso che non poteva correre il rischio di farla rimanere. Moira si stava annoiando a morte e lui sapeva che non poteva più fidarsi di lei: le persone annoiate diventavano semplicemente troppo vulnerabili.
L’itinerario di Oscar era stato tracciato per permettergli di raggiungere i suoi obiettivi politici, evitando, nello stesso tempo, la persecuzione e le aggressioni da parte di pazzi armati. Il pullman avrebbe descritto un arco; Oscar avrebbe viaggiato in incognito attraverso la Louisiana, si sarebbe fermato a Washington, DC e poi sarebbe tornato a casa, a Boston, in tempo per Natale; nel frattempo si sarebbe tenuto costantemente in contatto via rete con la propria krew a Buna.
La prima fermata prevista da Oscar fu a Holly Beach, Louisiana. Holly Beach era una cittadina di case malconce, montate su palafitte, lungo la Gulf Coast, una regione devastata dagli uragani, ma che aveva l’ardire di definirsi ‘Riviera Cajun’. Fontenot si era occupato dei preparativi per la visita di Oscar, passando al setaccio la piccola città e affittando una casa sulla spiaggia con un’identità di copertura. Secondo Fontenot, che li stava aspettando lì per unirsi a loro, quella improbabile località turistica era il luogo perfetto per un incontro clandestino. Holly Beach era tanto povera e primitiva che non disponeva di alcun collegamento via rete; sopravviveva utilizzando telefoni cellulari, antenne satellitari e generatori a metano. A metà dicembre — adesso era il 19 il villaggio costiero era quasi deserto. A Holly Beach le probabilità di essere spiati da paparazzi o aggrediti da maniaci omicidi erano molto basse.
Era lì che Oscar aveva organizzato un incontro riservato con la dottoressa Greta Penninger.
Dopo quell’idillio marino, Oscar si sarebbe diretto a tutta velocità a Washington: ormai era in ritardo per il suo faccia a faccia con gli altri membri della commissione scientifica del Senato. Dopo avere fatto le necessarie riverenze ai pezzi grossi, Oscar avrebbe viaggiato con il pullman verso Cambridge, dove avrebbe finalmente consegnato il veicolo al quartiere generale del Partito democratico federale in Massachusetts. Bambakias aveva deciso di donarlo al partito. Il senatore, da sempre uno dei finanziatori più importanti del partito, avrebbe potuto finalmente sbarazzarsi del suo investimento.
Una volta tornato a Boston, Oscar avrebbe riallacciato i suoi legami con il senatore. Avrebbe anche avuto una gradita possibilità di tornare a casa e di mettere un po’ d’ordine nei suoi affari domestici. Oscar era molto preoccupato per la sua casa. Clare se n’era andata in Europa e non era giusto, e neppure sicuro, che la casa rimanesse vuota. Oscar pensava che Moira avrebbe potuto tenerla d’occhio mentre cercava un altro lavoro a Boston. Era tutt’altro che soddisfatto della faccenda della casa e della questione di Moira, erano due dei problemi irrisolti più importanti che doveva affrontare. La soluzione migliore gli era sembrata quella di unirli.
Il tempo passò velocemente durante la prima parte del viaggio, mentre il pullman si dirigeva verso la Louisiana sud-occidentale. Oscar disse a Jimmy di alzare il volume della musica e mentre Moira leggeva, con aria mesta, un romanzo rosa sdraiata sulla sua cuccetta, Oscar, Lana e Donna iniziarono a discutere sulle numerose potenzialità di Greta Penninger.
Oscar non fu particolarmente discreto su quell’argomento: sarebbe stato decisamente assurdo. Era inutile tentare di nascondere le sue storie sentimentali alla krew. Ovviamente avevano saputo di Clare fin dall’inizio; forse non erano particolarmente contenti dell’avvento di Greta, ma non avrebbero certo protestato.
E la loro discussione aveva anche un motivo politico. Greta Penninger era un candidato, per quanto sfavorito, alla carica di direttore del Collaboratorio. Molto stranamente, gli scienziati del Collaboratorio sembravano ignorare la nuda verità: il loro direttore rischiava il posto. Gli scienziati non si rendevano pienamente conto della situazione: si riferivano alla loro struttura di potere parlando di ‘decisione collegiale’, o magari di ‘processo di successione’; usavano qualsiasi eufemismo, tranne la parola ‘politica’. Eppure si trattava decisamente di politica. Il Collaboratorio ribolliva di un tipo di attività politica che non osava pronunciare il proprio nome ad alta voce.