Ciò non significava affermare che, in se stessa, la scienza fosse uguale alla politica. La conoscenza scientifica era profondamente diversa dall’ideologia politica. La scienza era un sistema intellettuale che produceva dati oggettivi sulla natura dell’universo. La scienza si basava su ipotesi falsificabili, risultati riproducibili e una rigorosa verifica sperimentale. In se stessa, la conoscenza scientifica non era un costrutto politico, non più di quanto lo fosse l’elemento 79 nella tavola periodica.
Ma le cose che la gente faceva con la scienza erano altrettanto politiche di quelle fatte con l’oro. Oscar aveva dedicato molte ore allo studio della comunità scientifica e alla sua struttura di potere stranamente ortogonale. Era convinto che il vero e proprio lavoro scientifico fosse noioso, buono soltanto per degli sgobboni, ma rimaneva sempre affascinato da un’organizzazione politica il cui funzionamento gli era sconosciuto.
Uno scienziato con al suo attivo numerose scoperte e il cui nome veniva citato spesso nelle pubblicazioni di altri colleghi possedeva potere politico. Aveva una reputazione accademica, un seguito, godeva di una notevole influenza. Poteva levare la propria voce nella comunità scientifica con la certezza di essere udito. Poteva stabilire i programmi di ricerca, scegliere i partecipanti alle conferenze, concedere promozioni e viaggi a spese del contribuente, fungere da consulente. Poteva essere sempre un passo davanti agli altri poiché riceveva gli studi prima della loro pubblicazione ufficiale. Uno scienziato in questa posizione non disponeva di un esercito, di un corpo di polizia o di fondi neri, però, in quel modo silenzioso ma mortale, tipico del mondo scientifico, era in grado di esercitare un controllo ferreo sulle risorse principali della comunità in cui viveva: poteva interrompere il flusso dei finanziamenti diretto verso gli esseri inferiori. Insomma, era un pezzo grosso.
In campo scientifico il denaro in se stesso ricopriva un’importanza secondaria. Gli scienziati che dimostravano troppo apertamente di essere alla caccia di fondi pubblici o che erano troppo servili nel tentativo di ricevere cospicue sovvenzioni acquistavano una sorta di macchia, come politici che avessero deciso di giocare in modo subdolo la carta della propria origine razziale.
Era chiaro che si trattava di un sistema funzionale. Certo, era molto vecchio e aveva molte idiosincrasie, ma queste ultime potevano essere sfruttate. E il Collaboratorio non aveva mai goduto delle attenzioni di una squadra d’élite di organizzatori di campagne politiche come quella di Oscar.
L’attuale direttore del laboratorio, il dottor Arno Felzian, era in una situazione disperata. Un tempo Felzian aveva intrapreso una carriera nella ricerca genetica con modesto successo, ma era riuscito a ottenere il suo importante incarico nel Collaboratorio soltanto scattando sull’attenti a ogni ordine del senatore Dougal. I regimi fantoccio possono prosperare fino a quando l’impero è saldo, ma una volta che gli oppressori stranieri se ne siano andati, presto i loro alleati locali vengono disprezzati in quanto collaborazionisti. Il senatore Dougal, ormai da molto tempo il protettore e il burattinaio ufficiale del Collaboratorio, era caduto in disgrazia. Adesso, abbandonato a se stesso, Felzian non sapeva più cosa fare. Era uno yes-man sulle spine, insicuro: non c’era più nessuno a cui dire sì.
Ovviamente il primo passo logico era quello di sbarazzarsi dell’attuale direttore. Ma anche questa mossa si sarebbe rivelata inutile senza un piano di successione efficace. Nel piccolo mondo del Collaboratorio, le dimissioni del direttore avrebbero creato un vuoto abbastanza potente da risucchiare qualsiasi cosa non fosse stata fissata saldamente al suolo. Chi avrebbe preso il posto del direttore? I membri anziani del comitato erano i candidati più ovvi per ricevere quella promozione, ma, come il loro direttore, erano dei burattini screditati da tutte le tangenti che avevano intascato. O meglio, sarebbe stato molto facile farli apparire in questo modo per chiunque avesse deciso di dedicare un po’ del suo tempo alla faccenda.
Oscar e i consiglieri della sua krew erano d’accordo che esisteva una linea di frattura fondamentale nell’attuale struttura di potere: Greta Penninger. Lei faceva già parte del comitato, il che le conferiva legittimità e una certa di base di potere. E disponeva anche di un serbatoio di voti non ancora sfruttato: gli scienziati veri e propri che lavoravano nel Collaboratorio. Questi ultimi erano i ricercatori oppressi da molto tempo, "che facevano del proprio meglio per produrre autentici risultati di laboratorio mentre ignoravano cordialmente il mondo esterno. Gli scienziati si erano chiamati fuori dalla mischia per anni, mentre la corruzione dei dirigenti divorava lentamente il loro morale, il loro onore e il loro stipendio. Ma se esisteva la speranza di avviare una vera riforma all’interno del Collaboratorio, sarebbe venuta proprio da loro.
Oscar era ottimista. Lui apparteneva al Partito democratico federale, un partito riformista con un programma altrettanto riformista e credeva fermamente che la riforma avrebbe potuto funzionare. Come categoria politica, gli scienziati non erano mai stati sfruttati: trasudavano potenziale politico grezzo. Erano un gruppo molto strano, ma all’interno del Collaboratorio erano molto più numerosi di quanto Oscar avrebbe mai immaginato; erano un vero e proprio esercito. Era come se la scienza avesse risucchiato chiunque sul pianeta fosse troppo brillante per dedicarsi a un mestiere pratico. Per Oscar la loro dedizione disinteressata al lavoro costituiva una fonte di inesauribile meraviglia.
Ma Oscar si era ripreso rapidamente dalla meraviglia e dallo stupore iniziali. Dopo un mese di attento studio, si era reso conto che la situazione era perfettamente razionale: al mondo non c’era denaro sufficiente a pagare persone normali per farle lavorare come facevano gli scienziati. Senza quella piccola nicchia demografica, animata da un idealismo folle ed euforizzante, l’intera impresa scientifica sarebbe crollata già da molti secoli.
Oscar si era aspettato che gli scienziati federali si comportassero più o meno come tutti gli altri burocrati. Invece aveva scoperto un mondo perduto, un’Isola di Pasqua ad alta tecnologia, dove una razza di garbati marginali creava enormi statue intellettuali apparentemente inutili.
Greta Penninger faceva parte di quelle persone, del proletariato del Collaboratorio: un quoziente di intelligenza altissimo e la testa tra le nuvole. Sfortunatamente, vestiva e parlava anche come loro. Però Greta era un soggetto molto promettente. In quella donna non c’era nulla di sbagliato che non potesse essere corretto con un cambiamento totale del suo aspetto: Greta avrebbe dovuto avere dei vestiti adeguati, delle migliori capacità retoriche, uno scopo, un agenda, alcuni trucchi dialettici e delle persone che la consigliassero abilmente da dietro le quinte.
Di questo ne era convinta tutta la krew di Oscar. Mentre discutevano sulla loro situazione, Oscar, Lana e Donna giocavano a poker. Il poker era un gioco perfetto per Oscar; era raro che non perdesse e ai suoi avversari non sembrava mai venire in mente che, poiché era abbastanza ricco, poteva permettersi tranquillamente di perdere un po’ di soldi. Oscar giocava in modo volutamente aggressivo, poi osava troppo, perdeva rovinosamente e fingeva un profondo dispiacere. Gli altri, deliziati, incassavano le loro vincite e sembravano tanto convinti della sua commovente mancanza di intelligenza e di astuzia che erano disposti a perdonargli qualsiasi cosa.
«Però c’è un problema» affermò Donna, mescolando abilmente il mazzo.