Oscar nutriva forti dubbi su alcune delle politiche dei democratici federali, ma era convinto che i programmi del suo partito fossero buoni. Per prima cosa, era necessario mettere sotto controllo e smantellare i comitati di emergenza. Non avevano alcuna legittimità costituzionale, non avevano il mandato diretto degli elettori, violavano il principio fondamentale della separazione dei poteri, era impossibile controllare con efficacia il loro bilancio e, cosa peggiore di tutte, si erano trasformati rapidamente in centri di corruzione. Ormai era chiaro che neppure i comitati di emergenza riuscivano a governare la nazione con efficacia. Talvolta erano molto popolari, grazie all’assidua attenzione che riservavano a determinati gruppi di pressione, ma più durava l’emergenza, più i comitati somigliavano a un colpo di stato al rallentatore, a un’aperta usurpazione degli organismi direttivi della repubblica.
Una volta resi innocui i comitati e revocato lo stato di emergenza, sarebbe giunto il momento di riformare i rapporti tra gli stati e il governo federale. Il decentramento dei poteri si era semplicemente spinto troppo oltre. Una politica scelta per la sua flessibilità e perché consentiva di dare una risposta immediata ed efficace ai problemi si era trasformata in un terribile caos. Sarebbe stato necessario convocare una convenzione costituzionale e abolire l’approccio irrimediabilmente datato che legava la rappresentanza dei cittadini a una base territoriale. Avrebbe dovuto essere creato un nuovo quarto ramo del governo, costituito di reti non geografiche.
Una volta portate a termine queste grandi riforme, il palcoscenico sarebbe finalmente stato pronto per risolvere i veri problemi della nazione. Ma questo compito doveva essere portato a termine senza malizia, senza cattiveria e senza attacchi repellenti scagliati da istrioni di partito. Oscar credeva che sarebbe stato possibile. La situazione appariva grave… molto grave… A un osservatore esterno sarebbe potuta sembrare addirittura disperata.
Però la politica americana possedeva ancora molte riserve di creatività, se fosse stato possibile unire il paese e indirizzarlo nella giusta direzione. Sì, la nazione aveva dichiarato bancarotta, ma altri paesi avevano visto le loro valute annichilite e le loro maggiori industrie diventare obsolete. Si trattava di una condizione umiliante, ma soltanto temporanea, era possibile sopravviverle. Esaminata a mente fredda, la tremenda sconfitta subita dall’America nella guerra economica era ben poca cosa se paragonata, per esempio, ai bombardamenti a tappeto e alle invasioni armate del ventesimo secolo.
Il popolo americano avrebbe dovuto accettare la dura realtà che il software non aveva più alcun valore economico. Non era giusto, non era corretto, ma era un fatto compiuto. Oscar era costretto ad ammirare, sotto molti punti di vista, l’astuzia dei cinesi, che avevano reso disponibili sulle reti, gratis, tutte le proprietà intellettuali in lingua inglese. I cinesi non avevano avuto neppure bisogno di superare i loro confini per tagliare le gambe dell’economia americana.
Sotto alcuni punti di vista, quello scontro brutale tra gli Stati Uniti e la Cina poteva essere considerato come una benedizione. A parere di Oscar, l’America non era adatta per ricoprire il ruolo, lungo e stancante, di Ultima Superpotenza, di Gendarme del Mondo. In quanto patriota americano, Oscar era più che disposto a vedere, una volta tanto, i soldati di altre nazioni che tornavano a casa nelle bare. Il carattere nazionale americano non era adatto ai compiti della polizia globale; non lo era mai stato. Gli svizzeri e gli svedesi, puliti, meticolosi… ecco, loro sì che erano dei tipi perfetti per fare i poliziotti. L’America era molto più adatta a ricoprire il ruolo della stella cinematografica di fama mondiale, del giocatore di football professionista e alcolizzato, del comico schizzato e bipolare del mondo. L’America poteva essere tutto… tranne una triste e noiosa nazione di centurioni preoccupati della pace mondiale.
Oscar girò sui tacchi nella sabbia marrone della spiaggia e iniziò a tornare sui propri passi. Gli piaceva essere isolato da tutto e da tutti, come in quel momento; aveva lasciato il portatile nel pullman della krew, si era tolto perfino tutti i telefoni dalle maniche e dalle tasche. Pensò che avrebbe dovuto farlo più spesso.
Era importante per un operatore politico professionista fare un passo indietro di tanto in tanto, prendersi il tempo necessario per riordinare i propri pensieri, le proprie intuizioni. Oscar si concedeva di rado quei brevi momenti vitali: aveva intuito che avrebbe avuto molto tempo per sviluppare la sua filosofia personale, se mai fosse finito dietro le sbarre. Ma adesso si era concesso un po’ di tempo per riflettere, in quel mondo dimenticato di sabbia, vento, onde e di fredda luce del sole, e sentiva che gli stava facendo un gran bene.
All’interno di Oscar si stava accumulando una forte pressione. Negli ultimi trenta giorni aveva imparato molto, digerendo un’enorme mole di dati sconosciuti per pensare più velocemente, ma non era ancora riuscito a inquadrarli in maniera coerente. La sua testa, strapiena di dati, era diventata una massa di blocchi di informazioni scollegate tra loro. Era teso, distratto, stava diventando leggermente irritabile.
Forse era colpa di quel lungo periodo di astinenza.
Greta avrebbe dovuto arrivare prima di mezzogiorno. Negi aveva preparato per lei un pranzetto appetitoso a base di pesce. Ma Greta era in ritardo. La krew fece onore al pasto nel pullman, stappando alcune bottiglie di vino e salvando le apparenze; scherzarono perfino sul fatto che Greta non fosse arrivata. Ma quando Oscar li lasciò, il suo umore era diventato molto più cupo.
Si recò nella casa sulla spiaggia ad aspettare Greta, però le stanze che in precedenza gli erano sembrate sudice ma affascinanti adesso gli si rivelarono semplicemente sordide. Ma perché si stava coprendo di ridicolo, facendo tanti sforzi per imitare un nido d’amore? I veri nidi d’amore erano luoghi pieni di significato per gli amanti, colmi com’erano di oggetti che suscitavano autentiche risonanze emotive; piccole cose, magari stupidi souvenir: una piuma, una conchiglia, una giarrettiera, foto incorniciate, un anello. Non quelle tende e quelle lenzuola a nolo, quel set di spazzolini antisettici fatalmente nuovi.
Si sedette sul letto di ottone cigolante, si guardò intorno nella stanza e improvvisamente il mondo sembrò crollargli addosso. Si era preparato a essere affascinante e spiritoso, era stato ansioso di iniziare, ma lei non era venuta. Aveva prestato ascolto alla voce della ragione. Era troppo intelligente per venire. E adesso lui era da solo in quella orrenda catapecchia, a cuocere nel suo brodo.
Trascorse lentamente un’ora e Oscar si sentì felice che Greta non fosse venuta. Ovviamente era felice per se stesso, perché era stata una vera stupidaggine immaginare di iniziare una relazione con quella donna, ma era anche felice per lei. Non si sentiva ferito dal suo rifiuto, ma adesso aveva una visione più realistica di se stesso: era un predatore, un freddo seduttore. Lui era una creatura di lucenti superfici chitinose che tesseva tremolanti ragnatele. Rimanendo a casa, Greta aveva dimostrato di essere una falena molto saggia.
Adesso gli era molto chiaro ciò che doveva fare. Sarebbe tornato a Washington, avrebbe fatto il suo rapporto alla commissione e sarebbe rimasto lì, dedicandosi al suo vero lavoro. Nessuno si sarebbe aspettato un grosso successo dal suo primo incarico conferitogli dal Senato e invece aveva materiale più che sufficiente per levare una devastante denuncia sul funzionamento interno del Collaboratorio. Se questo non fosse stato inevitabile, avrebbe potuto evidenziare gli aspetti positivi del Collaboratorio: il profondo effetto delle ricadute biotecnologiche sull’economia della regione, per esempio. Avrebbe potuto vantare il fascino futuristico della prossima grande scoperta federale: la neuroscienza industriale ad alta tecnologia. Avrebbe detto ai senatori qualsiasi cosa avessero voluto udire.