«Io voglio capirti, Greta. Io posso farlo, sai. Io penso di capirti almeno un po’. Tu sei una donna molto brillante, molto più brillante della maggior parte delle altre persone, ma hai intuito, sei sensibile. Hai fatto grandi cose nella tua vita, hai ottenuto grandi risultati, ma non c’è nessuno dalla tua parte. So che questa è la verità. Ed è molto triste. Io potrei essere dalla tua parte, se tu me lo permettessi.» Abbassò la voce. «Non posso farti nessuna delle solite promesse, perché noi non siamo gente normale. Ma noi due potremmo essere grandi amici. Potremmo perfino diventare amanti. Perché no? Le probabilità sono a nostro sfavore, ma questo non significa che non vi sia alcuna speranza.»
La casa era molto silenziosa. Avrebbe dovuto pensare a mettere un po’ di musica.
«Io penso che tu abbia bisogno di qualcuno. Tu hai bisogno di qualcuno che abbia a cuore i tuoi interessi, qualcuno che diventi il tuo campione. Gli altri non ti apprezzano per quello che sei. Le persone ti stanno usando per i loro fini meschini. Tu sei coraggiosa, svolgi il tuo lavoro con dedizione, ma devi uscire dal tuo guscio, non puoi isolarti ed essere educata con tutti, non puoi accontentare quegli idioti, non sono degni neppure di toccarti l’orlo della scarpa… della gonna… al diavolo, del camice da laboratorio.» Fece una pausa, poi un respiro tremante. «Senti, dimmi soltanto quello di cui hai bisogno.»
«Mi sbagliavo su di te» replicò Greta. «Pensavo che mi saresti saltato subito addosso.»
«No, ovviamente non farò nulla del genere.» Oscar le rivolse un sorriso incoraggiante.
«Smettila di sorridere. Tu pensi che io sia completamente innocente. Be’, io non sono innocente. Stammi a sentire: ho un corpo, ho degli ormoni, ho un sistema nervoso. Sono una persona dotata di appetiti sessuali. Vedi, ero seduta sotto i maledetti riflettori di quelle telecamere, ero annoiata a morte, inquieta, sull’orlo della pazzia, poi sei spuntato fuori tu. Sei arrivato e hai iniziato a farmi delle avance.»
Greta si alzò. «Ti dirò di cosa ho bisogno, se vuoi proprio saperlo. Ho bisogno di un uomo che sia freddo e disponibile, di un uomo che non mi crei molti problemi. Deve desiderarmi soltanto per il mio corpo, è ovvio. Ma tu non sei il tipo di uomo che voglio. No davvero.»
Vi fu un silenzio assordante.
«Avrei dovuto trovare un modo per dirti tutto questo, prima che tu venissi quaggiù e ti dessi tanta pena per me. Sono stata quasi sul punto di non venire, ma…» Si appoggiò stancamente allo schienale della sedia. «Be’, era più onesto venire qui e dirti tutto in faccia, tutto e subito.»
Oscar si schiarì la gola. «Conosci il gioco del go? Wei-chi, in cinese.»
«Ne ho sentito parlare.»
Oscar si alzò e prese il suo set da viaggio. «È stato il senatore Bambakias a insegnarmi a giocare a go. È la metafora fondamentale su cui si basa la sua krew, è il modo in cui pensiamo. E se vuoi avere a che fare con i politici moderni e combinare qualcosa, allora devi imparare subito questo gioco.»
«Tu sei davvero un uomo strano.»
Oscar aprì la valigia e prese il tabellone con le linee bianche e le coppette che contenevano pietruzze bianche e nere. «Siediti sul tappeto qui con me, Greta. Giocheremo subito, in stile orientale.»
Greta si sedette a gambe incrociate accanto al termosifone a petrolio. «Io non gioco mai d’azzardo.»
«Il go non è un gioco d’azzardo. Adesso dammi il giubbotto. Bene. E non si tratta neppure di scacchi. Questo non è uno scontro diretto, meccanico, in stile occidentale. Ormai scontri del genere non avvengono più. Il go si basa sulle reti e sui territori. Tu giochi per la rete — disponi le pietre nei punti in cui le linee si incrociano. Puoi catturare le pietre se le circondi da ogni lato, ma mangiarle è soltanto un effetto collaterale. Non è necessario mangiarle, non è questo lo scopo del gioco. Tu vuoi il vuoto, tu vuoi gli spazi vuoti nella rete.»
«Io voglio il potenziale.»
«Esatto.»
«Quando il gioco finisce, il giocatore con il potenziale maggiore vince.»
«Ma allora hai già giocato a go!»
«No, ma lo scopo del gioco è ovvio.»
«Tu prendi le nere» annunciò Oscar. Poggiò un gruppo di pietruzze nere sul tabellone. «Adesso, prima di iniziare, ti illustrerò il gioco. Si dispongono le pietruzze in questo modo, una alla volta. I gruppi di pietre attingono forza dai loro legami, dalla rete che formano. E i gruppi devono avere occhi, occhi vuoti all’interno della rete. Questo è il punto cruciale.» Dispose una barriera formata da una catena di pietre bianche intorno al gruppo nero. «Un singolo occhio non è abbastanza, perché potrei accecarlo con una sola mossa e catturare il tuo intero gruppo. Potrei circondare l’intero gruppo, attaccare al centro, accecare il tuo occhio e potrei togliere l’intero gruppo, così. Ma con due occhi — così, vedi? — il gruppo diventa un elemento permanente. Vive per sempre.»
«Anche se tu mi hai circondato da tutti i lati.»
«Esatto.»
Greta chinò la testa e osservò la scacchiera. «Posso capire perché ai tuoi amici piaccia tanto questo gioco.»
«Sì, è un gioco molto architettonico… Va bene, faremo una partita di allenamento.» Tolse le pietrazze dalla scacchiera. «Tu sei la principiante, dunque ti concedo il vantaggio di nove pietre libere in questi nove punti cruciali.»
«Sono un bel po’.»
«Non preoccuparti, ti batterò lo stesso.» Oscar poggiò la prima pietrazza bianca reggendola con due dita.
Giocarono per un po’. «Atari» ripeteva lui.
«Puoi smetterla di dire questa parola adesso. Vedo da sola che il mio grappo è in scacco.»
«Si tratta di un atto di cortesia tradizionale.»
Ripresero a giocare. Oscar stava iniziando a sudare. Si alzò e andò ad abbassare i termosifoni.
Si sedette di nuovo. Ora tutti e due erano profondamente rilassati, immersi com’erano nel gioco. «Stai per battermi» annunciò Greta. «Tu conosci tutti quegli sporchi trucchetti negli angoli.»
«Sì, è vero.»
Lei sollevò lo sguardo e incontrò quello di Oscar. «Ma io posso imparare quei tacchetti e allora avrai molte difficoltà a battermi.»
«Mi piacciono le difficoltà. È bello affrontarle.»
La batté di trenta punti. «Impari in fretta. Proviamo a giocare sul serio.»
«Non togliere ancora le pietre» lo bloccò Greta. Studiò la propria sconfitta con profondo apprezzamento. «Questi schemi sono così eleganti.»
«Sì. E sono sempre diversi. Ogni partita ha la propria fisionomia.»
«Queste pietre somigliano molto a dei neuroni.»
Oscar le rivolse un sorriso.
Iniziarono una seconda partita. Oscar prendeva molto sul serio il go. Giocava a poker per motivi di pubbliche relazioni, ma non perdeva mai di proposito una partita di go. Era troppo bravo. Era un giocatore dotato, brillante, paziente e profondamente astuto, ma il modo di giocare di Greta era addirittura stupefacente. Commetteva degli errori da principiante, ma non li ripeteva mai e la sua comprensione del gioco era incredibilmente profonda.
La batté di diciannove punti, ma soltanto perché era un giocatore assolutamente privo di scrupoli.
«Questo è davvero un gioco molto bello» commentò Greta. «È così contemporaneo.»
«Ha tremila anni.»
«Davvero?» Greta si alzò e si stiracchiò, facendo scrocchiare sonoramente le ginocchia. «Adesso ci vuole proprio un drink.»
«Fa’ pure.»
Greta trovò il borsone di tela e ne estrasse una bottiglia quadrata di gin olandese.
Oscar andò in cucina e tolse due bicchieri da bistrò dal loro involucro di plastica. «Vuoi un po’ di succo d’arancia con quella roba?»
«No, grazie.»
Oscar si versò un succo d’arancia e le portò un bicchiere vuoto. Oscar la fissò, provando un vago stupore, mentre Greta versava lentamente tre dita di gin liscio con l’attenzione di un chimico.