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«Un po’ di ghiaccio? Abbiamo anche del ghiaccio.»

«Va bene così.»

«Senti, Greta, non puoi bere gin liscio. È la strada che conduce alla rovina.»

«La vodka mi fa venire il mal di testa e la tequila ha un sapore schifoso.» Greta poggiò il suo labbro superiore sporgente sull’orlo del bicchiere e bevve un lungo sorso meditabondo. Poi rabbrividì. «Mmm! Tu non bevi, vero?»

«No. E tu dovresti andarci piano. Il gin puro uccide neuroni a bizzeffe.»

«Io uccido neuroni per lavoro, Oscar. Adesso giochiamo.»

Fecero una terza partita. Il liquore aveva sciolto qualcosa dentro la testa di Greta e adesso giocava con accanimento. Oscar si batté come se ne andasse della sua vita, ma evitò a stento di perdere.

«Un vantaggio di nove pietre è troppo per te» commentò infine. «Dovremmo ridurle a sei.»

«Stai per vincere di nuovo, vero?»

«Forse di venti punti.»

«Quindici. Ma non dobbiamo finire questa partita adesso.»

«No.» Oscar reggeva una pietruzza bianca tra la punta delle dita. «Non dobbiamo finirla.»

Allungò una mano oltre la scacchiera, con grande delicatezza. Con le due dita le sfiorò il mento. Greta sollevò lo sguardo, sorpresa, e Oscar le carezzò la linea della mascella. Poi si sporse lentamente in avanti, fino a quando le loro labbra non si incontrarono.

Fu un bacio timido, appena accennato, lieve come il tocco di una piuma. Poi Oscar fece scivolare la mano sulla nuca di Greta e la baciò sul serio. Il sapore acre del gin gli scottò la lingua.

«Andiamo a letto» propose.

«Questa non è una buona idea.»

«Lo so, ma facciamolo lo stesso.»

Si alzarono, attraversarono la stanza e si sdraiarono sul letto di ottone quadrato.

Fu il peggior sesso che Oscar avesse mai fatto. Si trattò di un coito esitante, incerto, analitico. Sesso privo di ogni componente calda, animale. Ogni stilla di piacere semplice e liberatorio provocato dall’atto era stata eliminata in anticipo, mentre i rimorsi e i rimpianti post-coito incombevano accanto al letto, come un paio di guardoni sbavanti. Più che terminare, l’atto venne fatto cessare di comune accordo.

«Questo letto è davvero un rottame» commentò Greta in tono neutro. «Cigola in modo incredibile.»

«Avrei dovuto comprarne uno nuovo.»

«Non puoi comprare un letto nuovo soltanto per una notte.»

«In quanto a questo, non posso farci nulla; domani parto per Washington.»

Greta si sollevò sulle lenzuola scintillanti. Le sue spalle, bianche come porcellana, erano solcate da una sottile rete di venuzze azzurre. «E cosa dirai a quelli di Washington?»

«Tu cosa vuoi che dica?»

«Di’ loro la verità.»

«Tu mi dici sempre che vuoi la verità, Greta. Ma sai cosa significa ottenerla?»

«È ovvio che io voglia la verità. Io voglio sempre la verità, a qualsiasi costo.»

«Benissimo, allora ti darò un po’ di verità.» Oscar intrecciò le mani dietro la testa, respirò a fondo e fissò il soffitto. «Il tuo laboratorio è stato costruito da un politico profondamente corrotto. Il Texas perse il programma spaziale quando venne interrotto e non sono mai riusciti a sfruttare a fondo le tecnologie digitali. E così hanno tentato di darsi alla biotecnologia. Ma il Texas orientale è il posto meno adatto del mondo per costruirvi un laboratorio di genetica. Avrebbero potuto costruirlo a Stanford, a Raleigh oppure sull’autostrada 128. Ma Dougal li convinse a costruirlo nel bel mezzo del nulla, tra folte foreste di pini. Usò il tipo peggiore di tattiche luddiste per suscitare il panico. Convinse il Congresso a sovvenzionare una gigantesca cupola a tenuta stagna per evitare qualsiasi rischio biologico e dotata di ogni dispositivo di sicurezza immaginabile, in modo da potere riempire le tasche di un folto gruppo di appaltatori militari che non avevano più oche da spennare e avevano un bisogno disperato dei contratti federali. E i locali lo hanno amato per questo. Lo hanno votato più e più volte, anche se non avevano la minima idea di cosa fosse la biotecnologia o di cosa significasse la parola. Gli abitanti del Texas orientale erano semplicemente troppo arretrati per costruire un’industria genetica di base, anche con la pioggia dei fondi governativi. E così tutte le industrie si trasferirono oltre il confine di stato e finirono nelle mani del miglior amico e discepolo di Dougal, un demagogo senza scrupoli della zona cajun. Green Huey è un populista del tipo peggiore. È davvero convinto che l’ingegneria genetica appartenga di diritto a un mucchio di semianalfabeti che vivono nelle paludi.»

Oscar le rivolse un’occhiata. Greta lo stava ascoltando con attenzione.

«E così Huey deliberatamente — e ci è voluto un bizzarro tipo di genialità, lo ammetto — deliberatamente, dicevo, ha ridotto le scoperte migliori del tuo laboratorio in facile ricette che qualsiasi ragazzino di dodici anni potrebbe usare. Ha preso un mucchio di raffinerie di petrolio in Louisiana, ormai chiuse, e le ha trasformate in giganteschi calderoni ribollenti di vudú genetico. Huey ha dichiarato tutta la Louisiana una zona franca per la produzione di gumbo genetico non autorizzato. E vuoi sapere una cosa? Gli abitanti della Louisiana sono diventati molto bravi in questo lavoro. Loro nella manipolazione genetica ci sguazzano, come topi muschiati nell’acqua. Hanno un vero talento istintivo per questo tipo di industria. La amano! E amano Huey per avergliela data. Huey ha regalato loro un nuovo futuro e loro lo hanno trasformato in un re. Adesso il potere lo ha reso pazzo, praticamente governa lo stato a colpi di decreti. Nessuno osa opporsi a lui.»

Greta era diventata molto pallida.

«I texani non si sono mai liberati di Dougal. Il Texas non farebbe mai una cosa del genere. A loro non importa quanto abbia rubato, è il loro protettore, il loro alcalde, il padrino, ha rubato tutto per il Texas, dunque è un uomo a posto. No, quel dannato tizio si è rimbecillito a furia di sbronzarsi. Ha continuato a bere fino a quando non si è fatto scoppiare il fegato e non è più riuscito a partecipare alle sedute del Senato. E così adesso Dougal è finalmente fuori gioco. E sai cosa significa questo per te?»

«Cosa?» chiese Greta in tono inespressivo.

«Significa che la tua festa è quasi finita. Far funzionare quel gigantesco cetriolo costa una fortuna, molto più di quanto quel posto valga per chiunque, e il paese è in bancarotta. Se oggi qualcuno vuole intraprendere ricerche genetiche, può farlo in modo molto economico e in edifici molto più semplici, magari situati nel collegio elettorale di qualcun altro.»

«Ma ci sono gli animali» ribatté Greta. «Le apparecchiature genetiche.»

«Questa è la parte davvero tragica. Non puoi salvare una specie in pericolo clonando animali. Lo ammetto, meglio questo che la prospettiva di vederli sterminati completamente, persi per sempre. Ma adesso sono delle semplici curiosità, dei graziosi animaletti diventati oggetti da collezione per gli ultraricchi. Una specie vivente non è soltanto un codice genetico, ma l’intera varietà genetica in una popolazione numerosa che vive allo stato brado, oltre ai loro comportamenti appresi, alle loro prede e ai loro predatori, il tutto immerso in un ambiente naturale. Ma non esistono più ambienti naturali. Perché il clima è mutato.»

Si mise a sedere e le molle del letto lanciarono un sonoro cigolio di protesta. «Adesso il clima è instabile. Non è possibile proteggere interi ecoambienti sotto cupole sigillate. Soltanto due tipi di piante prosperano nel mondo attuale: colture transgeniche e piante parassite che si adattano in fretta. E così adesso il nostro mondo è invaso da bambú e kudzu, e ormai non ha più nulla a che vedere con la digitale minacciata e la sua preziosa nicchia ecologica su qualche montagna dimenticata. Da un punto di vista politico odiamo ammettere tutto questo con noi stessi, perché significa ammettere la piena portata dei crimini orribili che abbiamo commesso contro la natura, ma si tratta di una realtà ecologica. Questa è la verità che mi hai chiesto di dirti. Questa è la realtà. Pagare montagne di soldi per conservare i frammenti del guscio di Humpty Dumpty è un gesto ipocrita.»