«E anch’io non so fare le mosse giuste, dunque sono trascurabile.»
«Non prendertela. Nessuno dei tuoi ha mai contato qualcosa. Era il senatore Dougal a muovere tutti i fili. Ma adesso non c’è più e così sul tabellone non è rimasto nulla. Questa è la realtà politica.»
«Capisco.»
«Sai, puoi votare, sei un cittadino, hai un voto. Questo è molto importante.»
«Giusto.»
Scoppiarono entrambi a ridere.
Finirono il consommé, poi il cameriere servì la portata principale.
«Ha un odore fantastico» commentò Oscar. «C’è il bavaglino? E quell’affare per rompere le chele… magari un martelletto?» Osservò con maggiore attenzione il piatto. «Aspetta un attimo. Ma che cos’ha la mia aragosta?»
«È un’ecrevisse.»
«Ma cos’è esattamente?»
«Un grosso gambero, un crostaceo. Un’aragosta d’acqua dolce.»
«Ma cos’hanno queste chele? E poi la coda è tutta sbagliata.»
«È di allevamento. Allo stato brado, le aragoste di questa specie sono lunghe soltanto dieci centimetri. E stata manipolata geneticamente. Si tratta di una specialità locale.»
Oscar fissò il crostaceo bollito sul suo letto di riso giallo. Per cena gli era stato servito un mutante genetico gigante. Aveva l’impressione che le sue dimensioni fossero profondamente sbagliate. Non sapeva cosa pensare. Ovviamente aveva mangiato un bel po’ di coltivazioni transgeniche: pannocchie lunghe quanto il suo braccio, zucchine giganti, gustosi brocco-cavolfiori screziati, mele senza semi, anzi, ogni tipo di frutta senza semi… Ma adesso, davanti a lui, c’era un animale geneticamente alterato, bollito vivo e servito tutto intero. Aveva un aspetto bizzarro, completamente irreale. Sembrava un palloncino a forma di aragosta.
«Ha un odore delizioso» commentò.
Il telefono di Greta squillò.
«Senti, ma non possiamo mangiare in pace?» chiese Oscar.
Greta inghiottì una forchettata di insalata di pollo condita con molto aceto. «Spegnerò il mio telefono» rispose.
Oscar punzecchiò a titolo di prova una delle molte zampe dell’aragosta. L’arto bollito si spezzò come un ramoscello, rivelando un cuneo di carne bianca.
«Non essere timido» lo esortò Greta. «Qui siamo in Louisiana, ok? Mettiti in bocca la testa e succhia la polpa.»
Il gruppo smise improvvisamente di suonare, interrompendosi a metà di un quartetto. Oscar sollevò lo sguardo. L’ingresso del locale brulicava di poliziotti.
Erano poliziotti statali della Louisiana, uomini con cappelli dalla tesa piatta, auricolari e pistole stordenti nelle fondine. Stavano entrando lentamente nel ristorante. Oscar cercò frettolosamente con lo sguardo Fontenot e vide che l’ex agente segreto digitava con discrezione un numero sul suo telefono con un’espressione irritata.
«Scusami» disse Oscar. «Posso prendere in prestito il tuo telefono per un minuto?» Riattivò il telefono di Greta e iniziò la procedura sorprendentemente complessa per reinserire la sua presenza nella rete della Louisiana. I poliziotti si erano sparsi nella folla, adesso silenziosa, e avevano bloccato tutte le uscite. C’erano poliziotti nel bar, un poliziotto accanto al maître, poliziotti che svanivano silenziosamente in cucina, un paio di poliziotti che salivano al piano superiore. Poliziotti con computer portatili, poliziotti con telecamere. Tre di loro stavano parlando in tono sommesso con il direttore.
Poi si udì il frastuono tambureggiante di un elicottero che stava atterrando all’esterno del ristorante. Quando i rotori vennero spenti, tutti scoprirono di essersi improvvisamente messi a urlare. L’improvviso silenzio che seguì fu davvero impressionante.
Due guardie del corpo grandi come montagne e vestite in abiti civili entrarono nel ristorante, seguite subito dopo da un uomo basso e con il viso paonazzo in pantofole e un pigiama rosso.
L’uomo dal viso paonazzo attraversò rapidamente la sala del ristorante, con le pantofole ricoperte di pelo che scivolavano sulle piastrelle senza produrre il minimo rumore, «SALVE A TUTTI!» gridò con voce tonante come una grancassa. «Sono io!» Agitò entrambe le braccia e il pigiama si aprì, rivelando un ventre peloso. «Mi dispiace per il disturbo! Si tratta di una visita ufficiale! Rilassatevi! È tutto sotto controllo.»
«Salve, governatore!» gridò qualcuno. «Ehi, Huey!» gridò un altro avventore, come se avesse voluto gridare quella frase per tutta la vita. Improvvisamente tutti stavano sogghignando, si scambiavano occhiate felici, tiravano indietro le loro sedie con espressioni deliziate. Erano stati fortunati: la vita e il colore erano entrati nelle loro grigie e squallide esistenze.
«Chiedete cosa hanno di speciale i ragazzi!» urlò il governatore. «Stasera vi tratteremo da re! Offro io! Va bene? Boozoo, occupatene tu! E subito.»
«Sì, signore» rispose Boozoo, una delle guardie del corpo.
«Portatemi un CAFFÈ!» tuonò Huey. Era basso, ma aveva le spalle di un difensore di football. «Portatemi un caffè doppio! È tardi, dunque metteteci dentro qualcosa di forte. Portatemi una demi tasse. Al diavolo, portatemi un’intera dannata tasse. Qualcuno vuole portarmene due di tasse? Devo aspettare tutta la notte? Dannazione, qui dentro c’è un odorino! Vi state divertendo, gente?»
Tutti si affrettarono a urlare di sì con entusiasmo.
«Adesso fate come se io non ci fossi» gridò Huey riabbottonandosi distrattamente il pigiama. «Non sono riuscito ad avere un pasto decente a Baton Rouge e ho dovuto volare fin quaggiù per riprendermi. Questa sera ho un appuntamento molto importante.» Proseguì con andatura sicura nella sala del ristorante, avvicinandosi al tavolo di Oscar come una nave da guerra. Poi si fermò, incombendo improvvisamente davanti a loro con le mani che si agitavano nervosamente, la fronte madida di sudore.
«Clifton, portami una sedia.»
«Sì, signore» rispose l’altra guardia del corpo. Clifton sollevò una sedia da un tavolo vicino come se stesse prendendo uno stuzzicadenti e la posizionò abilmente sotto il posteriore del suo capo.
Improvvisamente Oscar, Greta e Huey si ritrovarono seduti faccia a faccia. Osservata da vicino la testa del governatore era simile alla luna piena; era gonfia, luccicante e leggermente butterata. «Salve, Etienne» lo salutò Greta.
«Salve, petite!» Con grande irritazione di Oscar, i due iniziarono a parlare in un francese rapido e dialettale.
Oscar cercò di incrociare gli occhi di Fontenot, ma l’altro, mantenendo lo sguardo fisso avanti a sé, gli impartì una lezione di buon senso. Oscar distolse immediatamente lo sguardo.
Un cameriere arrivò di corsa con il bricco del caffè, un bicchiere, della panna e un goccio di bourbon. «Sto morendo di fame» annunciò Huey in un tono di voce più «sommesso. «Che bel gamberone che hai lì, figliolo.»
Oscar annuì.
«Questi gamberoni mi fanno impazzire» affermò Huey. «Fammene assaggiare un po’.» Si rimboccò le maniche del pigiama, allungò le mani e strappò la coda dal carapace con un forte scricchiolio di cartilagine e carne, poi la piegò, facendone fuoriuscire un pezzo di carne bianca e fumante. «C’est bon, figliolo!» Si infilò la coda in bocca, diede un morso. «Cavolo, è davvero BUONO! Altro che le aragoste di Boston! Portatemi un menù. Il mio amico yankee, il Piazzista di Sapone, deve ordinarsi qualcosa. E dite al cuoco di darsi da fare.»