Oscar lasciò che il suo silenzio si prolungasse per qualche attimo, poi scrollò le spalle. «Mi sto forse comportando in maniera irragionevole? Sto cercando di proporre l’azione meno impegnativa grazie alla quale potremo mantenere lo status quo. Forse questa commissione è insoddisfatta dello status quo?»
«No, certo che no. Be’… Alcuni lo sono. Altri no.»
Oscar mostrò uno scetticismo appropriato. «Spero che lei capisca che questo è il mio primo incarico con questa commissione. Oggi non voglio espormi.»
«No.»
«In queste situazioni non mi piace fare il mattatore. Preferisco il gioco di squadra.»
«Naturalmente.»
Oscar toccò gentilmente il braccio di Nakamura. «Spero che non stia pensando che mi piaccia il mio isolamento in questa commissione. Avrei potuto essere qui sulla Collina, al centro dell’azione, invece di essere bloccato in una cupola a tenuta stagna. Oggi farò il mio rapporto temporaneo, ma se torno in Texas senza un consenso della commissione e senza una linea d’azione coerente, la prenderò molto male. Mi dica, è un comportamento irragionevole da parte mia?»
«No. Non è irragionevole. Comprendo la tua situazione. Che lei ci creda oppure no, anch’io, un tempo, sono stato un giovane membro dello staff.»
«Signore, questo non sarà un bel rapporto, in particolare gli allegati sulla situazione finanziaria. Laggiù le cose potrebbero sfuggire di mano. Forse la linea d’azione più economica e facile per noi potrebbe essere quella di chiudere il laboratorio e lasciare che Green Huey raccolga i cocci.»
Nakamura fece una smorfia.
Oscar insistette. «Ma questa non può essere una mia decisione. E, certamente, non può essere una mia responsabilità. Se oggi trapela qualcosa del mio rapporto e succede qualcosa, io non voglio che questa commissione pensi che io, oppure il senatore Bambakias, abbiamo dei nostri piani. Io ho fatto uno sforzo onesto e obiettivo. Il mio lavoro è quello di esporre i fatti davanti alla commissione. Ma se succede qualcosa, io non voglio diventare il capro espiatorio di tutti.»
Oscar alzò una mano in un gesto di avvertimento. «Non sto certo insinuando che i miei colleghi possano comportarsi in maniera scorretta, sto soltanto sottolineando una verità lapalissiana: la cosa più facile è sempre scaricare tutte le colpe sul nuovo arrivato.»
«Sì, è vero» ammise Nakamura. «Ha letto molto bene la situazione. Ma, in realtà, lei non è il nuovo arrivato in questa commissione.»
«No?»
«No. Nella commissione scientifica ci sono tre nuovi senatori e tutti loro hanno portato membri delle loro krew. E gli altri due nuovi arrivati ancora non si sono fatti vedere di persona a una sola, dannata, consultazione. Si collegano da Arlington, dove sono occupati a leccare culi.»
Oscar si accigliò. «Questo non è un comportamento professionale.»
«Loro non sono dei professionisti. Non si può contare su di loro. Si può contare su di me, e si può contare su Mulnier. Be’, Mulnier non è più l’uomo che era dieci anni fa, ma se lei è corretto, si comporta bene e dà il cento per cento a questa commissione, bene, allora è coperto. E coperto, su questo ha la mia parola.»
«Questo è tutto ciò che chiedevo.» Oscar fece mezzo passo indietro. «Sono contento che siamo giunti a un’intesa.»
Nakamura diede uno sguardo al suo orologio. «E prima di iniziare, voglio farle sapere che il suo problema personale non salterà fuori qui dentro. Fino a quando presiederò questa commissione, quella questione non verrà mai sollevata.»
La casa in città di Bambakias era sulla New Jersey Avenue, a sud di Capitol Hill. Oscar arrivò nel momento esatto in cui una krew televisiva stava andando via. La New Jersey Avenue era una zona molto ben sorvegliata. In quel quartiere le sommosse erano rare e le infrastrutture urbane erano ancora in buono stato. La casa era una struttura storica, vecchia più di duecento anni. La casa era troppo piccola per i coniugi Bambakias e la loro numerosa krew, ma Lorena era un’arredatrice d’interni in un mondo affollato e si era data da fare con ciò che aveva a disposizione.
Da professionista di campagne elettorali, Oscar aveva stabilito di non contraddire mai la persona che dormiva con il candidato. La sposa del candidato era per necessità una protagonista della campagna. Lorena era una protagonista nata, ma di solito era gestibile, almeno fino a quando le sue istruzioni venivano eseguite con attenzione leale e senza battere ciglio e fin quando sapeva di avere buone carte. Tutti quelli che conoscevano il problema di Oscar presumevano sempre di avere un asso vincente contro di lui. Era tutto vero e così non aveva mai messo Lorena in una situazione in cui lei avrebbe sentito il bisogno di calare una carta vincente.
Lo sciopero della fame aveva reso luminosi gli occhi di Lorena e la sua pelle olivastra era così sottile e liscia da sembrare quasi laminata. Lorena non era un’aristocratica — in fin dei conti, era la figlia del direttore di una catena di negozi specializzati in alimentazione naturale — ma la magrezza e l’esperto trucco televisivo le donavano l’aristocratico splendore di un ritratto di Gainsborough.
Debole per il digiuno, era adagiata su un divano foderato di seta gialla.
«È bello che tu abbia trovato il tempo per farmi visita, Oscar» lo salutò Lorena, muovendosi languidamente. «Tu e io abbiamo raramente la possibilità di parlare veramente.»
«Questo posto sembra meraviglioso» si complimentò Oscar. «Sono ansioso di vederlo quando l’avrai terminato.»
«Oh, è solo il mio lavoro» si schermì Lorena. «Mi piacerebbe dire che è eccitante, ma è stato solo un altro dannato lavoro di arredamento. Sento veramente la mancanza della campagna.»
«Davvero? È molto bello sentirtelo dire.»
«Era così eccitante stare con la gente. Almeno allora mangiavamo bene. Ora… be’, ora dovremo pensare a come intrattenere gli ospiti. Noi saremo il signor senatore e signora e vivremo in questa vecchia discarica per sei lunghi anni e progettiamo di fare strada nell’alta società.» Fissò la sua stanza da disegno, soffermandosi con uno sguardo assorto da meccanico sulle pareti color pesca dipinte di recente. «Io preferisco lo stile contemporaneo trascendentale, ma sto realizzando questo posto in stile federale. Molto Hepplewhite… noce nera… scrittoio, scaffali per i libri e sedie con schienale… C’era del buon materiale in quel periodo, se ti tieni lontano da tutto quel cattivo gusto neoclassico.»
«Un’ottima scelta.»
«Ho bisogno di creare un’atmosfera seria, ma accogliente. Molto misurata, molto repubblica americana, ma non kitsch o coloniale. Molto Boston, capisci? — ma non troppo. Non tutto ‘identità politica’, non tutto Paul Revere. Con un insieme come questo, bisogna rinunciare a qualcosa, si devono fare dei sacrifici. Non si può avere tutto. L’eleganza è misura.»
«Sì, naturalmente.»
«Sto per restituire il mio binturong.»
«Oh, no, non Stickley il binturong.»
«Lo so che hai avuto un sacco di fastidi per farmi avere Stickley ed è veramente un piacevole argomento di conversazione. Ma qui a Washington non ho proprio spazio per esporre un animale raro. Un terrarium aperto, ecco, sarebbe stata una scelta ideale e io ho delle idee interessanti per il progetto. Ma un clone di animale proprio non va. Cozza con l’arredamento. È una distrazione.»
«Bene, penso che nessuno abbia mai restituito un animale al Collaboratorio. Sarebbe un bel gesto.»
«Un piccolo clone avrei potuto anche tenerlo. Che so, un pipistrello o una talpa oppure un… Non che non mi piaccia Stickley. Si comporta bene. Ma, sai, c’è qualcosa di strano in lui.»
«E quell’impianto neurale che innestano in tutti gli animali del Collaboratorio» spiegò Oscar. «Riguarda l’aggressività, il cibo e la defecazione. Se si controllano questi tre fattori, si può vivere in pace con gli animali selvaggi. Fortunatamente, la struttura neurale profonda è simile in gran parte dei mammiferi.»