«Grazie.»
Greta si sedette con la tipica cautela degli ubriachi nel guscio di plastica bianca di una sedia a tulipano di Saarinen.
«Hai perfettamente ragione a lamentarti» affermò Oscar. «Sei circondata da sfruttatori e imbecilli.»
«Non sono imbecilli, sono persone molto brillanti. È solo che… Ecco, io non faccio ricerche per conto delle industrie. La scienza non c’entra nulla con i soldi. La ricerca scientifica di base serve… capisci, si suppone che serva a…» fece un gesto di irritazione. «Cosa diavolo era?»
«Al bene pubblico?» suggerì Oscar in tono soave.
«Sì, esatto! Il bene pubblico! Immagino che per te si tratti di una convinzione molto ingenua. Ma io so soltanto una cosa: non penso a far lievitare il mio conto in banca mentre i contribuenti pagano le mie ricerche.»
Oscar cercò tra le mensole luccicanti di una credenza di Kuramata. «Un caffè ti aiuterebbe? Ne ho un po’ di solubile.»
L’espressione accigliata riapparve sul volto di Greta, facendole aggrottare le sopracciglia come se fossero tatuate. «Non è possibile fare vera ricerca scientifica e poi giocare agli uomini d’affari nei fine settimana. Se si lavora seriamente, non esistono fine settimana.»
«Questo è un fine settimana, Greta.»
«Oh.» Greta lo fissò con un misto di sorpresa e dispiacere provocati dall’alcool. «Be’, io non posso rimanere con te per l’intero fine settimana. Domani mattina, alle nove, c’è un seminario molto interessante. ‘Domini citoplasmatici’.»
«Immagino che sia un seminario a cui non puoi assolutamente mancare.»
«In tutti i casi, stasera sono qui. Beviamo qualcosa insieme.» Aprì la borsetta. «Oh, no, ho dimenticato il gin. È nella mia borsa da viaggio.» Ammiccò. «Oh, Dio, Oscar, ho dimenticato la mia borsa da viaggio! L’ho lasciata in albergo…»
«Hai dimenticato anche che io non bevo» le ricordò Oscar.
Greta si strinse la testa tra le mani.
«Non preoccuparti» la consolò Oscar. «Dimenticati del lavoro per un minuto. Sai che ho una krew; possiamo fornirti tutto quello di cui hai bisogno.»
Seduta al tavolo della cucina, Greta era in preda allo sconforto. «Lascia che ti mostri la casa» si offrì Oscar in tono allegro. «Vedrai, sarà divertente.»
La condusse in salotto, arredato con un tavolo da caffè ellittico di Piet Heim, sedie in acciaio e legno di betulla, e un divano gonfiabile di vinile.
«Vedo che ti piace l’arte moderna» commentò Greta.
«Quello è il mio Kandinskij del 1923, Composizione VIII.» Oscar sfiorò la cornice, raddrizzandola leggermente. «Non so proprio perché venga ancora chiamata ‘arte moderna’ quando ormai ha 120 anni.»
Greta osservò con attenzione la tela illuminata, rivolse un’occhiata meditabonda a Oscar, poi esaminò di nuovo il dipinto. «Invece io mi chiedo perché chiamano ‘arte’ questa roba. Si tratta soltanto di una tremenda confusione di figure geometriche e di macchie.»
«So che a te dà questa impressione, ma è perché tu non hai gusto.» Oscar represse un sospiro. «Kandinskij conosceva tutte le krew artistiche più importanti dei periodo: il gruppo Blaue Reiter, i surrealisti, i suprematisti, i futuristi… Kandinskij era famoso.»
«Ti è costato molto?» Era chiaro che Greta sperava che non fosse così.
«No, l’ho acquistato per pochi spiccioli a una svendita del Guggenheim. Attualmente tutte le opere concepite tra il 1914 e il 1989 — sai, il periodo comunista, il nucleo del ventesimo secolo — sono assolutamente fuori moda. Adesso Kandinskij è esattamente l’opposto dell’arte moderna, ma, sai, io lo trovo assolutamente rilevante. Vassilij Kandinskij mi dice davvero qualcosa. Sai… se Kandinskij fosse ancora vivo, penso davvero che avrebbe potuto capire la nostra situazione.»
Greta scosse la testa con aria stordita. «’Arte moderna’… Ma come hanno fatto a non farsi beccare? A me dà l’impressione di un tremendo bluff.» Improvvisamente starnutì. «Mi dispiace. Sai, le mie allergie.»
«Vieni con me.»
La condusse nel suo centro mediatico. Era particolarmente fiero di quella stanza. Era una sala da guerra politica moderna, arredata nello stile di un determinato periodo storico. Sedie in alluminio erano impilate una sull’altra accanto a una parete, c’erano unità di memorizzazione modulari, una miriade di schermi piatti, scaffalature danesi, un portavivande pieno di ampolle, cestini dei rifiuti in plastica chiara Kartell, eleganti lampade italiane… Niente fronzoli, niente decorazioni. Tutto era essenziale, molto efficiente, elegante.
«Mi piace!» esclamò Greta. «Potrei lavorare in un posto come questo.»
«Sono lieto di sentirtelo dire. Spero che ne avrai la possibilità.»
Greta sorrise. «Perché no? Mi piace qui. Questo posto somiglia molto a te.»
Oscar rimase profondamente toccato da quelle parole. «Sei molto dolce, ma devo essere onesto… Non sono stato io a disegnare gli interni. Voglio dire, ovviamente quel quadro di Kandinskij l’ho scelto io, ma dopo avere venduto la mia società appena avviata, ho comprato questa casa e ho contattato un arredatore professionista… Allora ci tenevo molto a questa casa. Abbiamo lavorato su questo posto per mesi. Giovanna è stata molto brava, abbiamo girato per tutti i mercatini d’antiquariato…»
«Giovanna» ripeté Greta. «Che bel nome. Deve essere stata una donna molto raffinata.»
«Lo era, ma non ha funzionato.»
Greta improvvisamente fissò con attenzione petulante i faretti e la pila di sedie luccicanti. «E poi c’è stata quell’altra donna… la giornalista. A lei questa stanza deve essere piaciuta moltissimo.»
«Clare viveva qui! Questa era casa sua.»
«Adesso è in Olanda, vero?»
«Sì, è andata via. Anche quella storia non ha funzionato.»
«E come mai le tue storie non funzionano mai, Oscar?»
«Non lo so» ammise lui, poi infilò le mani in tasca. «È una buona domanda, vero?»
«Be’,» replicò Greta «forse lo è, e forse non avrei dovuto fartela.»
«No, Greta, mi piace quando sei ubriaca e decisa a litigare.»
Oscar incrociò le braccia. «Adesso permettimi di parlarti con franchezza, va bene? Vedi, io sono il prodotto di circostanze inusuali. Sono cresciuto in un ambiente molto particolare: la casa di sogno di Logan Valparaiso. Una classica villa hollywoodiana. Campi da tennis. Palme. Monogrammi dappertutto, pelle di zebra e maniglie d’oro. Un grande campo da gioco per gli amici di Logan, tutti questi milionari maquiladora e re della droga dell’America latina. Mio padre aveva il gusto peggiore del mondo. Io volevo che questo posto fosse diverso.»
«E che cos’ha di diverso?»
«Nulla» replicò Oscar in tono amaro. «Volevo che la mia casa fosse genuina. Ma questo posto non è mai stato reale. Perché non ho famiglia. Qui dentro non ha mai vissuto nessuno che mi amasse abbastanza da voler restare. In effetti, anch’io vi ho vissuto di rado. Sono sempre in giro. Dunque questo posto è una finzione, un guscio vuoto. Ho fatto del mio meglio, ma è stata soltanto una fantasia malvagia, è stato un fallimento completo.» Scrollò le spalle. «Dunque, benvenuta a casa.»
Greta sembrava molto colpita. «Senti, io non ho detto nulla del genere.»
«Be’, ma era quello che stavi pensando.»
Greta scosse la testa. «Tu non sai a cosa penso.»
«Sono d’accordo, ma so cosa provi.»
«Non sai neppure questo.»
«Oh, sì che lo so, ma certo che lo so. Lo so dal modo in cui parli, in cui muovi le mani. Me ne accorgo dal modo in cui osservi le cose.» Sorrise. «Perché sono un politico.»