Greta portò una mano alla bocca.
Poi, senza preavviso, lo abbracciò e gli stampò un bacio umido sul labbro superiore. Oscar le cinse il busto snello con le braccia. Greta si sentì magnetica, ipnotica, assolutamente irresistibile.
Si abbandonò all’abbraccio di Oscar e rise.
Oscar la spinse verso il divano. Caddero su di esso con un lieve rimbalzo e un cigolio. Lui affondò il volto nel punto in cui il collo di Greta si univa alla spalla.
Greta fece scivolare la sua mano sottile sotto il colletto aperto della camicia di Oscar. Lui le sfiorò la mascella. Quelle meravigliose cavità sotto i lobi delle orecchie; l’assoluta unicità dei tendini del suo collo.
Le loro labbra si staccarono con un leggero rumore umidiccio. Greta si ritrasse di un centimetro. «Mi piace essere gelosa» affermò. «È una sensazione nuova per me.»
«Potrei spiegare tutto.»
«No, non spiegare nulla. Scommetto che i vestiti di Clare sono ancora nell’armadio della tua camera da letto.» Scoppiò in una risata. «Dai, fammeli vedere.»
Una volta saliti al piano superiore, Greta iniziò a ruotare a su se stessa, rischiando di colpire Oscar con la borsetta e barcollando leggermente. «Ehi, ma questa stanza è fantastica! Soltanto i tuoi armadi sono più grandi della stanza che ho nel dormitorio.»
Oscar si tolse la scarpe, poi si sfilò le calze, prima una, poi l’altra. Iniziò ad armeggiare con i polsini. Perché ci metteva sempre un’eternità a spogliarsi? Perché i vestiti non potevano semplicemente svanire, in modo che le persone potessero darci subito dentro? Nei film, i vestiti svanivano sempre.
«Queste pareti sono davvero foderate di pelle scamosciata bianca? Hai una carta da parati in pelle!»
Oscar si guardò intorno. «Hai bisogno di aiuto per svestirti?»
«No, non preoccuparti. Non c’è bisogno che mi strappi i vestiti.»
Sei infiniti minuti dopo, Oscar giaceva ansimando in un nido di lenzuola. Greta andò in bagno, i capelli in disordine e le scapole arrossate. Oscar la sentì aprire il rubinetto del bidet, poi ogni altro rubinetto nella stanza — quello della doccia, della vasca, quelli dei due lavandini, uno bianco e l’altro nero. Greta stava sperimentando tutto l’equipaggiamento del luogo. Oscar rimase a letto, respirando profondamente e sentendosi stranamente soddisfatto, come un bambino piccolo ma brillante che si era servito di un bastone per rubare una caramella da sotto la porta.
Greta uscì dal bagno dopo avere fatto la doccia, con i capelli neri che le scendevano dritti e gocciolanti, gli occhi luminosi come quelli di un furetto. Entrò nel letto e lo abbracciò, bagnata, con i piedi freddi, profumata di shampoo costoso. Lo tenne stretto e non disse nulla. Oscar si addormentò profondamente, come se fosse caduto in un pozzo.
Si svegliò più tardi, con la testa confusa e ronzante. Greta era in piedi davanti a una delle antine dell’armadio aperta, studiando il proprio corpo nello specchio a figura intera. Indossava soltanto le mutandine e un paio di calze di Oscar, che aveva infilato, alla rovescia, sui piedi piccoli e stretti.
Sollevò un vestito davanti a sé e ne studiò l’effetto. Oscar riconobbe improvvisamente il vestito. Aveva regalato a Clare quel prendisole perché in giallo aveva un’aria adorabile. Ancora stordito, si ricordò che Clare odiava quel vestito. Clare lo aveva sempre odiato. A Clare non piaceva neppure il giallo.
«Ma cos’è stato tutto quel rumore?» gracchiò.
«Qualche altro idiota si era messo a bussare freneticamente alla porta» rispose Greta. Fece cadere il vestito sul pavimento, su una pila di un’altra mezza dozzina di indumenti. «I poliziotti lo hanno arrestato.» Prese un abito da sera con i lustrini. «Torna a dormire.»
Oscar si girò nel letto, sprimacciò ben bene il cuscino, tentò di addormentarsi e non ci riuscì. Gli si schiarì la testa e la osservò attraverso gli occhi socchiusi. Erano le quattro e mezzo del mattino.
«Non hai sonno?» le chiese.
Greta colse l’occhiata di Oscar dallo specchio, sorpresa di vederlo ancora sveglio. Spense la luce dell’armadio, attraversò la stanza in silenzio, nell’oscurità, entrò a letto.
«Cosa hai fatto per tutto questo tempo?» mormorò lui.
«Ho esplorato la tua casa.»
«E hai fatto qualche grande scoperta?»
«Sì, ho scoperto cosa significa essere la ragazza di un uomo ricco.» Sospirò. «Non mi meraviglia che le persone si mettano in fila per fare questo lavoro.»
Oscar rise. «E che ne dici della mia situazione? Sono l’uomo-oggetto di una vincitrice del premio Nobel.»
«Ti ho osservato mentre dormivi» rivelò Greta in tono pensoso. «Avevi un’aria così dolce.»
«E come mai?»
«Quando dormi, non hai un programma di lavoro.»
«Be’, adesso ce l’ho.» Poggiò una mano sul fianco ossuto di Greta e lo strinse. «Ho un programma che mi occupa al cento per cento. Cambierò la tua vita. Ti trasformerò. Ti darò il potere.»
Greta si rigirò tra le lenzuola. «E come accadrà questo bizzarro miracolo da nulla?»
«Domani ti farò conoscere il mio caro amico, il senatore Bambakias.»
Yosh Pelicanos, il maggiordomo e factotum di Oscar, fece arrivare una consegna a domicilio alle otto del mattino. Yosh non era uomo da lasciarsi scoraggiare dal piccolo fatto di trovarsi a centinaia di miglia di distanza. Aveva una tastiera e un elenco delle necessità di Oscar e così la mano elettronica dell’economia di rete consegnò quattro scatole di articoli molto costosi sulla soglia della sua casa.
Oscar montò il nuovo filtro dell’aria nell’angolo colazione, risolvendo il problema delle allergie di Greta. Le allergie erano molto diffuse tra i ricercatori del Collaboratorio; l’aria filtrata era così pura che non riusciva a sollecitare a sufficienza i sistemi immunitari delle persone, che di conseguenza diventavano iper-attivi.
Poi Oscar si legò un grembiule sul pigiama e si mise al lavoro in cucina, con risultati eccellenti. Oscar e Greta divorarono il salmone affumicato, i panini e i pasticcini, innaffiando il tutto con succo di frutta e caffè. Quando ebbero placato la fame, piluccarono i toast triangolari di pane di segala e il caviale di ciclottero.
Oscar fissò con amore Greta dal lato opposto del massiccio centrotavola. Le cose stavano andando così bene! Lui credeva fermamente nelle colazioni Le colazioni del giorno dopo erano molto più intime e colme di emozioni di qualsiasi cenetta romantica. Aveva fatto colazioni terribili: colazioni tese, piene di vergogna, di timori inespressi o di cortesia stiracchiata fino al limite massimo; ma la colazione con Greta era un segnale di successo. Avvolta in un accappatoio di spugna di un bianco immacolato e seduta comodamente sulla sedia di Saarinen, somigliava a un cigno in piena muta.
Greta spalmò del caviale nero sul toast, poi si leccò la punta del dito. «Finirò per perdere quella conferenza sul citoplasma.»
«Non preoccuparti. Ti ho comprato i nastri dell’intera conferenza. Te li spediranno per l’ora di pranzo. Potrai saltare le parti più noiose in sala media.»
«Nessuno va alle conferenze per guardare dei nastri. Le cose più importanti succedono nei corridoi o durante le presentazioni. Devo tornare lì. Devo conferire con i miei colleghi.»
«No, Greta, oggi hai una cosa più importante da fare: devi venire a Cambridge con me a parlare con un senatore degli Stati Uniti. Donna arriverà da un momento all’altro; è andata a fare compere e ti darà una bella sistemata.»
«Chi è Donna?»
«Donna Nunez fa parte della mia krew. È una consulente per l’immagine.»
«Pensavo che avessi lasciato la tua krew in Texas, nel laboratorio.»
«No, ho portato Donna con me. E poi sono in contatto costante con la mia krew. Non sono stati abbandonati, laggiù sono molto impegnati: stanno preparando il terreno. E per quanto riguarda Donna, ha dedicato molto tempo a questo progetto. Sarai in buone mani.»