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«Sarò felice di aiutarla.»

«Allora siamo d’accordo.» Hamilton si alzò con una smorfia di stoica sopportazione.

«Mi permetta di accompagnarla alla porta, signore.»

Quando Hamilton fu andato via con la sua andatura zoppicante, Oscar trasferì immediatamente il contenuto del suo portatile nel sistema casalingo e iniziò a lavorare subito. Inviò un messaggio a Audrey Avizienis e Bob Argow in Texas, chiedendo loro di eseguire subito una ricerca sul suo vicino. Non che non si fidasse di Kevin Hamilton — Oscar era fiero del suo atteggiamento assolutamente privo di pregiudizi nei confronti degli anglo — ma una notizia del genere sembrava troppo bella per essere vera.

Alle 11:15, Oscar e Greta presero un taxi per recarsi nel quartiere generale di Bambakias a Cambridge. «Vuoi sapere una cosa?» chiese Greta. «Questo vestito non è così stretto come sembra. Anzi, è molto comodo.»

«Donna è una vera professionista.»

«E mi va anche a pennello. Ma come è possibile?»

«Oh, qualsiasi scanner di sorveglianza intelligente può calcolare le misure di una persona. In un primo momento, si trattava di un applicazione per lo spionaggio militare, ma è dovuto passare soltanto un po’ di tempo prima che iniziasse a venire utilizzato nel mondo dell’alta moda.»

Passarono il Longfellow Bridge, che attraversava il fiume Charles. La neve del giorno prima si era quasi trasformata in fanghiglia sulle pareti inclinate delle dighe erette contro l’effetto serra. Greta osservò dal finestrino del taxi i lontani edifici dello Science Park. Le due estetiste assunte da Donna le avevano sfoltito le sopracciglia. Adesso le sopracciglia sottili e arcuate conferivano al volto affilato di Greta un’espressione di incredibile potenza intellettuale. I capelli avevano acquistato una vera forma, una sorta di lucentezza che intimidiva. Greta irradiava competenza. Aveva davvero l’aspetto di una persona importante.

«Qui a Boston le cose sono diverse» commentò Greta. «Perché?»

«Politica» rispose Oscar. «Boston è governata da persone ultraricche. E i ricchi di Boston pensano bene — questa è la differenza. Hanno orgoglio civico. Sono dei veri patrizi.»

«E tu vuoi che l’intero paese diventi così? Strade pulite e sorveglianza totale?»

«Io voglio soltanto che il mio paese funzioni. Io voglio un sistema che funzioni. Ecco tutto.»

«Anche se è elitario e avvolto nel cellofan?»

«Tu non puoi proprio criticare, Greta. Tu vivi nella comunità chiusa suprema. È perfino a tenuta stagna.»

Gli uffici di Alcott Bambakias erano situati in un edificio di cinque piani nelle vicinanze di Inman Square. Un tempo quell’edificio era stato una fabbrica di dolciumi, poi era diventato un club portoghese; attualmente apparteneva alla società di costruzione e design internazionale di Bambakias.

Uscirono dal taxi ed entrarono nell’edificio. Oscar appese il cappello e il cappotto a un attaccapanni che somigliava allo scolabottiglie di Duchamp. Attesero l’autorizzazione a entrare nella reception al pianoterra, che sfoggiava sei modellini in scala di eleganti grattacieli cinesi. La Cina era l’ultima nazione ancora in grado di costruire svettanti grattacieli e Bambakias era uno dei pochi architetti americani in grado di disegnare grattacieli in stile cinese. Bambakias aveva avuto molto successo in quel mercato. Godeva di una reputazione altrettanto solida anche in Europa, molto prima di diventare famoso, sia pure a fatica, in America. Aveva costruito eleganti stadi in Italia, robusti complessi di dighe in Germania, un habitat per un gruppo di ecologisti svizzeri fanatici della sopravvivenza… Aveva perfino ricevuto alcune commissioni da parte degli olandesi, prima che scoppiasse la seconda guerra fredda.

Leon Sosik arrivò per accompagnarli dal senatore. Sosik era un uomo corpulento sulla sessantina, con le spalle di un pugile, bretelle rosse e una cravatta di seta. Sosik indossava raramente un cappello, poiché sfoggiava orgogliosamente un folto manto di capelli — un caso di calvizie curata con successo. Squadrò Oscar dall’alto in basso. «Come vanno i tuoi trucchi, Oscar?»

«I trucchi vanno benissimo. Permettimi di presentarti la dottoressa Greta Penninger. Dottoressa-Penninger, questo è Leon Sosik, il capo dello staff del senatore.»

«Abbiamo sentito molto parlare di lei, dottoressa» affermò Sosik, stringendo gentilmente le dita di Greta, smaltate e limate da poco. «Avrei preferito conoscerla in circostanze migliori.»

«Come sta il senatore?» chiese Oscar.

«Al è stato meglio» rispose Sosik. «Ha preso male tutta questa faccenda, molto male.»

«Sì, ma sta mangiando, vero?»

«Non tanto che qualcuno se ne accorga.»

Oscar si allarmò. «Senti, hai annunciato che stava mangiando. Adesso lo sciopero della fame è finito. Alcott dovrebbe stare divorando carne di cavallo cruda. E allora perché diavolo non sta mangiando?»

«Dice che gli fa male lo stomaco. Dice… Be’, dice un mucchio di cose. Devo avvertirti di non prendere come oro colato tutto quello che Al dice in questo momento.» Sosik si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Ma forse tu riuscirai a farlo ragionare. Sua moglie sostiene che in questo sei bravissimo.» Sosik infilò distrattamente una mano nella tasca dei pantaloni. «Dottoressa Penninger, le dispiace se controllo che non abbia microspie su di sé? Di solito è il nostro addetto alla sicurezza a occuparsene, ma è ancora a Washington.»

«Non c’è problema» rispose Greta.

Sosik mosse la mano nell’aria intorno a Greta come un vescovo stanco che spruzzasse acqua benedetta. Lo scanner non rilevò nulla di particolare.

«Controlla anche me» intervenne Oscar. «Insisto.»

«È una cosa infernale» commentò Sosik, eseguendo il rituale. «Abbiamo tenuto Al sotto controllo per settimane. Il suo sistema nervoso è sotto controllo, oltre al suo flusso sanguigno, il suo stomaco, il suo colon. Ha fatto esami MRI e PET pubblici, ha bevuto succo di mela con dentro traccianti radioattivi — l’interno della sua carcassa è diventato un maledetto circo pubblico. E quando finalmente lo stacchiamo dai sensori, lui decide di andare fuori di testa.»

«Lo sciopero della fame ha ottenuto una copertura stampa eccezionale, Leon. Questo te lo concedo.»

Sosik mise a posto lo scanner. «Certo, ma cos’è questa storia di quello stronzo giù in Louisiana? Come diavolo ha fatto questa faccenda a finire nella nostra agenda politica? Al è un architetto! Avremmo dovuto limitarci alle questioni che riguardano i lavori pubblici e le cose sarebbero andate benone.»

«Sei stato tu a lasciarti convincere a portare avanti questa faccenda» gli ricordò Oscar.

«Sapevo che si trattava di un’idea assurda! È solo che… Be’, per Al aveva senso. Al è il tipo di uomo che può fare questo tipo di cose.»

Sosik li fece entrare in un ascensore di vetro e plastica. Bambakias aveva eliminato il quinto piano dell’edificio, creando al suo posto un cavernoso hangar in stile contemporaneo con tubi dell’acqua esposti, condotti d’aria e cavi d’ascensore, tutti dipinti con grande gusto in sfumature arancioni, turchesi, pesca e blu di Prussia.

All’interno di quegli uffici vivevano trentacinque persone: la krew professionale di Bambakias. Era sia una residenza comune, sia un centro di design. Sosik li condusse oltre sedie d’ufficio ergonomiche, teche da esposizione in kevlar e pile di mattoni di costruzione che vibravano. All’esterno faceva freddo e spruzzi di vapore tiepido riscaldavano le membrane a bolla sotto i loro piedi.

Un ufficio d’angolo era stato attrezzato come una combinazione tra una sala media e un centro medico. Adesso le apparecchiature mediche erano state spente e disposte in fila lungo la parete, ma gli schermi video erano accesi e silenziosi; sintonizzati su varie trasmissioni, ammiccavano metodicamente.