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«Be’, si è trattato di un incidente molto brutto, ma almeno non ci sono state vittime. Adesso possiamo andare avanti. Domani è un altro giorno.» Oscar immerse il cucchiaio luccicante nella zuppa di pesce, la inghiottì con ostentazione. Come al solito, era superba.

«Un attimo» disse rivolto a Greta, che non aveva fatto alcuna mossa per mangiare. «C’è qualcosa che non va.» Si irrigidì leggermente sulla sedia. «Ma cosa è successo al suo chef, Alcott? Per caso ci ha rifilato della zuppa in scatola?»

Bambakias si accigliò. «Cosa?»

«Questa non è la sua zuppa speciale.»

«Ma certo che lo è. Deve esserlo per forza.»

«La provi» insistette Oscar.

Greta annuì; si trattò di un gesto tutt’altro che necessario: il senatore aveva allungato una mano dal letto e si era già impadronito del suo cucchiaio. Assaggiò la zuppa.

«Ha un retrogusto metallico» affermò Oscar, facendo una smorfia.

Bambakias ne inghiottì altre due cucchiaiate. «Assurdo!» ringhiò. «È deliziosa come sempre.»

I due mangiarono rapidamente, in un silenzio febbrile. «Andrò a trovarmi un’altra sedia» mormorò Greta. Si alzò e lasciò la stanza.

Bambakias si sedette nella sedia lasciata libera da Greta e masticò una mezza manciata di cracker al gusto di ostrica. La ragazza che lo aiutava a vestirsi tornò di nuovo e posò lì vicino il cappello e il mantello del senatore. Bambakias la ignorò, piegandosi sulla ciotola con uno sforzo penoso. Le mani erano scosse da un forte tremito; riusciva a stento a stringere il cucchiaio.

«Adesso avrei proprio voglia di un frullato» annunciò Oscar. «Sa, come quelli che bevevamo durante la campagna.»

«Una buona idea» commentò Bambakias in tono distratto. Sollevò il mento, fece un gesto con due dita e parlò rivolto apparentemente all’aria. «Vince, due frullati maxi come quelli della campagna elettorale.»

«Sosik le ha mostrato gli ultimi sondaggi, Al? Da questo episodio lei ha ricavato molto più di quel che pensa.»

«No, è qui che voi due vi sbagliate di grosso. Ho rovinato tutto. Ho provocato una grave crisi prima ancora di avere prestato giuramento. E adesso che sono uno sporco criminale come tutti gli altri, non avrò altra scelta — dovrò giocare come piace a loro. E quello del Senato è un gioco da imbecilli.»

«Perché dice questo?» replicò Oscar.

Bambakias deglutì faticosamente e sollevò un dito ossuto. «In questo paese esistono sedici partiti politici. È impossibile governare con una cultura politica tanto frammentaria. E i partiti sono soltanto l’interfaccia grafica del vero caos che c’è sotto. Il nostro sistema educativo è crollato. Il nostro sistema sanitario è caduto tanto in basso che esistono gruppi per la condivisione degli organi. Viviamo in uno stato di emergenza permanente.»

«Non mi sta dicendo nulla di nuovo» lo rimproverò in tono gentile Oscar. Si protese in avanti e fissò con espressione invidiosa la ciotola di zuppa di Bambakias. «Sta per finirla?»

Bambakias si piegò sulla ciotola con lo sguardo affamato di un lupo.

«Okay, non c’è problema.» Oscar alzò la voce per rivolgersi ai microfoni nascosti. «Vincent, sbrigati con quei frullati! Portaci dell’altra zuppa. E dei panini.»

«Non voglio nessun dannato panino» borbottò Bambakias. Gli lacrimavano gli occhi e aveva il volto arrossato. «Le nostre disparità di ricchezza sono folli» bofonchiò quasi affondando il volto nella zuppa. «Abbiamo una valuta non convertibile e un’economia a pezzi. Abbiamo subito tremendi disastri ecologici. Siamo pieni di sostanze tossiche inquinanti. Il tasso di natalità è in continua diminuzione, quello di mortalità in netto aumento. La situazione è grave, molto grave; non abbiamo più speranze, per noi è finita.»

«Vincent, portaci qualcosa di davvero nutriente. E in fretta. Portaci del teriyaki. Portaci del dim sum.»

«Ma cosa stai dicendo?» chiese Bambakias.

«Alcott, lei mi ha messo davvero in imbarazzo. Ho promesso alla dottoressa Penninger che qui avrebbe trovato del cibo eccellente, ma ha appena mangiato il suo pranzo!»

Incredulo, Bambakias fissò i resti della zuppa. «Oh, mio Dio…»

«Alcott, lasci che me ne occupi io. Il minimo che lei possa fare è sedere qui con noi e assicurarsi che la sua ospite venga nutrita a dovere.»

«Dio, quanto mi dispiace!» gemette Bambakias. «Dio, mi sono sbagliato su tutto. Pensaci tu, Oscar! Pensaci tu.»

Arrivarono due frullati in calici di vetro con le basi coperte di brina. Li portò lo chef in persona, su un vassoio orlato di sughero. Rivolse a Oscar un’occhiata di confusa gratitudine e si affrettò a uscire dall’ufficio.

Il sottile pomo di Adamo di Bambakias andò su e giù metodicamente. «Lascia che ti dica qualcosa di davvero orribile» proseguì, pulendosi la bocca sulla manica della camicia. «Tutta questa faccenda è stato un tragico errore sin dal primo giorno. Il comitato di emergenza non aveva alcuna intenzione di chiudere la base aerea. Il loro software per la gestione e il bilancio era difettoso. Nessuno si è mai preoccupato di controllarlo, perché tutto quello che fanno quegli stupidi bastardi è un’emergenza ufficiale! E così, quando l’errore è stato scoperto, tutti hanno presunto che fosse stato commesso deliberatamente — perché era un modo molto scaltro e subdolo di rompere le uova nel paniere a Huey. Morivano dalla voglia di fare una cosa del genere, perché Huey è l’unico politico in America che sa quel che vuole e agisce per ottenerlo. Ma quando ho cercato il genio occulto che aveva tirato le fila di questa brillante cospirazione, non ho trovato nessuno.»

«Le hanno fatto credere questa assurdità? Spero che lei non ci sia cascato» replicò Oscar, scambiando silenziosamente il bicchiere vuoto di Bambakias con il proprio. «Quei bastardi dei comitati di emergenza sono dei veri geni dell’inganno.»

«Sì? Allora dimmi chi ha tentato di farti uccidere!» Bambakias ruttò. «Stesso problema, stessa controversia — avresti potuto essere ucciso, per colpa di questa faccenda! Ma di chi è la colpa? Di nessuno, ecco di chi! Dai la caccia al responsabile e poi scoprì che si tratta di un programma software a mezzo anno luce di distanza nella catena di comando.»

«Adesso lei non sta pensando come un uomo politico, Alcott.»

«La politica non funziona più! Noi non riusciamo a farla funzionare perché il sistema è così complesso che ormai il suo comportamento è praticamente casuale. Nessuna si fida più del sistema e così nessuno gioca più secondo le regole. Ci sono sedici partiti, cento idee brillanti e un milione di aggeggi che ronzano e lampeggiano, ma nessuno riesce a capire la situazione, a eseguire gli ordini e a fare ciò che è necessario in tempo e per bene. E così la nostra politica è diventata assurda. Il paese è piombato nel caos. Abbiamo rinunciato alla forma di governo repubblicana. Abbiamo abbandonato la democrazia. Io non sono un senatore! Sono un signore feudale. Posso soltanto costruire un culto della personalità.»

Cinque membri della krew di Bambakias arrivarono contemporaneamente. Rimasero sbalorditi osservando il senatore che mangiava. La stanza si trasformò immediatamente in un caos di tavoli da picnic in kevlar, di posate, di piatti di antipasti e bicchieri di aperitivo.

«So anch’io che siamo nel caos» insistette Oscar, alzando il tono di voce per farsi udire al di sopra del frastuono. «Tutti sanno che il sistema è fuori controllo. È una verità lapalissiana. Ma l’unica risposta al caos è l’organizzazione politica.»

«No, ormai è troppo tardi per questo. Adesso siamo troppo intelligenti per sopravvivere. Siamo così ben informati che abbiamo perso qualsiasi senso del significato. Conosciamo il prezzo di tutto, ma abbiamo dimenticato cosa sia il valore. Abbiamo messo tutti sotto sorveglianza, ma non conosciamo più il significato della vergogna.» Tutto il cibo trangugiato in fretta e furia stava facendo effetto su Bambakias. Aveva il volto paonazzo, respirava con difficoltà. E apparentemente aveva smesso di pensare, perché stava citando a memoria i suoi discorsi elettorali.