Oscar continuò a camminare in silenzio.
«Sto esagerando? Oppure ci troviamo di fronte a una vera e propria tendenza della nostra società?»
«Io la definirei piuttosto un’ondata» rispose Oscar in tono pensoso. «Questo spiegherebbe i sondaggi alle stelle da quando Bambakias ha avuto il suo attacco. È il classico politico dotato di carisma. E così anche i suoi difetti personali non fanno che amplificare i suoi pregi. Le persone percepiscono semplicemente la sua autenticità, riconoscono che lui è davvero un uomo del nostro tempo. Lui rappresenta il popolo americano. È un leader nato.»
«Ma sta abbastanza bene da agire in nostro favore a Washington?»
«Be’, è un nome che possiamo ancora sfruttare… Ma in pratica, no, non può aiutarci. Ho un buon canale riservato, Lorena, e, per essere franchi, adesso il senatore vive davvero in un mondo di fantasia. Ha sviluppato una sorta di bizzarra fissazione sul presidente, continua a delirare su una guerra calda con l’Europa… Vede agenti olandesi nascosti sotto ogni letto… Stanno tentando di calmarlo con ogni tipo di antidepressivi.»
«E funzioneranno? Riusciranno a stabilizzare le sue condizioni?»
«Be’, le cure suscitano un grande interesse dei media. Fin dall’inizio del suo sciopero della fame si sta sviluppando un enorme fandom medico di Bambakias, dico sul serio… Hanno i loro siti, le loro trasmissioni… Inviano un mucchio di messaggi di posta elettronica: auguri, rimedi casalinghi per riacquistare la salute mentale, scommesse su quando e se morirà… È un classico fenomeno sviluppatosi dal basso. Sai, magliette, cartelli nel cortile, tazze di caffè, calamite per i frigoriferi… Non lo so, ho l’impressione che l’intera faccenda stia sfuggendo al controllo.»
Pelicanos si carezzò il mento. «È come una specie di giornalismo spazzatura da pop star.»
«Esatto. Una definizione perfetta, hai centrato perfettamente il punto.»
«E noi come dovremmo sentirci, Oscar? Voglio dire, praticamente tutta questa situazione è colpa nostra, vero?»
«Lo credi davvero?» replicò Oscar in tono sorpreso. «Sai, ormai sono così coinvolto dall’intera situazione che non riesco più a giudicare.»
Un corriere in bicicletta si fermò accanto a loro. «Ho un pacco da consegnare a al signor Hamilton.»
«Allora devi rivolgerti a quel tizio sulla sedia a rotelle» lo informò Oscar.
Il corriere esaminò il suo lettore satellitare portatile. «Oh, sì. Giusto. Grazie.» Si allontanò pedalando di gran lena.
«Be’, tu non sei mai stato il suo capo dello staff» affermò Pelicanos.
«Si, è vero. Questo, per me, è un vero conforto.» Oscar rimase a guardare mentre il corriere era impegnato in una transazione con il suo capo della sicurezza. Kevin firmò le ricevute di due pacchi cellofanati. Esaminò gli indirizzi del mittente e iniziò a parlare nel microfono fissato alla cuffia.
«Sai che quei pacchi contengono roba da mangiare?» chiese Pelicanos. «Bastoncini di roba bianca, sembra paglia mescolata con gesso. Li mastica continuamente. È quasi un ruminante.»
«Almeno lui mangia» replicò Oscar. Il suo telefono squillò. Lo estrasse dalla manica e rispose. «Pronto?»
Udì una voce lontana e gracchiante. «Sono io, Kevin, passo.»
Oscar si girò verso Kevin, che li seguiva a dieci passi di distanza. «Sì, Kevin? Cosa c’è?»
«Penso che stia per succedere qualcosa. Qualcuno ha appena attivato un allarme antincendio nel Collaboratorio, passo.»
«E questo è un problema?»
Oscar osservò la bocca di Kevin che si muoveva, ma la voce dell’uomo giunse al suo orecchio almeno dieci secondi dopo. «Be’, questa è una cupola a tenuta stagna. Gli abitanti del luogo prendono molto sul serio gli incendi qui dentro, passo.»
Oscar esaminò la torreggiante struttura a griglia sopra la sua testa. Era un pomeriggio invernale; il cielo era di un azzurro trasparente. «Non vedo nessun filo di fumo. Kevin, cosa c’è che non va con il tuo telefono?»
«Contromisure per evitare l’analisi del traffico — questa chiamata ha fatto il giro del mondo per otto volte, passo.»
«Ma siamo a soli dieci metri di distanza. Perché non mi hai raggiunto e non hai parlato direttamente con me?»
«Dobbiamo agire con freddezza, Oscar. Smettila di guardarmi e continua a passeggiare. Non guardare adesso, ma ci sono dei poliziotti che ci pedinano. Un veicolo davanti e uno dietro; penso che abbiano dei microfoni direzionali. Passo.»
Oscar si girò e passò un braccio sulla spalla di Pelicanos, spingendolo ad accelerare il passo. In effetti, erano visibili alcuni poliziotti del laboratorio. Di solito utilizzavano i loro fuoristrada con la scritta ‘Autorità di sicurezza del Collaboratorio nazionale di Buna’: veicoli macho con sigilli ufficiali da operetta sulle portiere. Però quei poliziotti avevano requisito un paio di taxi del Collaboratorio, di quelli che venivano chiamati per telefono. I poliziotti stavano tentando di non farsi notare.
«Kevin dice che i poliziotti ci stanno seguendo» Oscar avvertì Pelicanos.
«Sono felice di sentirlo» rispose in tono tranquillo Pelicanos. «Qui dentro hanno tentato tre volte di ucciderti. Tu devi essere la cosa più eccitante che sia capitata a questi poliziotti da anni.»
«Dice anche che è scattato un allarme antincendio.»
«E come fa a saperlo?»
Un’autopompa di colore giallo vivo emerse dalla viscere dell’edificio che ospitava il dipartimento Antinfortunistica. Accese le sirene lampeggianti, emise uno squillo di clacson e si diresse verso sud, lungo la circonvallazione del laboratorio.
Oscar provò una strana sensazione di formicolio sulla pelle, poi udì un violento sibilo di pressione atmosferica. Una porta invisibile si chiuse di scatto nella sua testa. Il Collaboratorio aveva appena chiuso le sue camere stagne. L’intera massiccia struttura si era appena tesa come un tamburo.
«Gesù, è scoppiato davvero un incendio!» esclamò Pelicanos. Agendo d’istinto, si girò e iniziò a correre inseguendo l’autopompa.
Oscar pensò che fosse più ragionevole rimanere con la sua guardia del corpo. Infilò il telefono nella manica e raggiunse Kevin.
«E allora, Kevin, ma che cosa c’è in quei pacchetti che ti arrivano di continuo?»
«Abbronzante con il massimo fattore di protezione» mentì spudoratamente Kevin, sbadigliando per sturarsi le orecchie. «Sai, è una vecchia abitudine anglo.»
Oscar e Kevin lasciarono la strada ad anello, dirigendosi a sud e superando il Centro di calcolo. I poliziotti li stavano ancora seguendo coscienziosamente, ma presto i veicoli furono ostacolati dalla folla di pedoni curiosi che stavano sciamando dai vari edifici.
L’autopompa si fermò all’esterno del centro media del Collaboratorio. L’edificio era il luogo in cui si teneva la riunione in cui aveva parlato Greta. Il pubblico accuratamente selezionato da Oscar si riversava dalle uscite, agitando le braccia e urlando in prenda alla confusione.
Sulla scalinata dell’uscita est era scoppiata una rissa. Un uomo dai capelli grigi e dal naso insanguinato cercava di ripararsi sotto il corrimano metallico mentre un giovane duro con un cappello da cowboy e dei pantaloncini stava cercando di prenderlo a calci. Quattro uomini stavano tentando di trattenerlo per le braccia e le spalle.
Kevin fece fermare la sedia a rotelle. Oscar attese a fianco di Kevin e controllò l’orologio. Se tutto fosse andato come previsto — ed era chiaro che non era così — ormai Greta doveva avere finito di pronunciare il suo discorso. Sollevò lo sguardo in tempo per vedere il cowboy perdere il cappello. Con sua grande stupore, riconobbe l’aggressore come un membro della sua krew, Norman il Volontario.