«Vieni con me, Kevin. Qui non c’è nulla di interessante da vedere.» Oscar si girò in fretta e tornò da dove era venuto. Una volta si girò a guardare da sopra la spalla. I poliziotti che lo avevano seguito in precedenza adesso erano occupati ad arrestare il giovane Norman.
Oscar attese fino a quando non ricevette una comunicazione ufficiale della polizia sull’arresto di Norman. Poi si recò alla stazione di polizia, situata nel lato centro-orientale della cupola. Il quartiere generale della polizia del Collaboratorio faceva parte di un basso complesso di edifici con l’aspetto di una fortezza, che ospitava la caserma dei pompieri, i generatori di energia, i servizi telefonici e le forniture di acqua interne.
Oscar aveva una certa dimestichezza con le procedure del quartiere generale della polizia, poiché aveva visitato tre dei suoi presunti aggressori tenuti in custodia lì. Si presentò al poliziotto di servizio. Fu informato che il giovane Norman era stato accusato di aggressione e di disturbo della quiete pubblica.
Norman indossava una tuta arancione e un paio di manette. In quell’uniforme immacolata sembrava sorprendentemente elegante; era vestito molto meglio della maggior parte del personale del Collaboratorio. Le manette erano costituite da un braccialetto infrangibile dotato di minuscoli microfoni e di lenti di sorveglianza.
«Avrebbe dovuto portare un avvocato» commentò Norman da dietro il tavolo di compensato. «Non disattivano mai il braccialetto, a meno che non si tratti di un colloquio tra il difensore e il suo cliente.»
«Lo so» rispose Oscar. Aprì il computer portatile e lo poggiò sul tavolo.
«Non mi ero mai reso conto di quanto fosse orribile questo affare» si lamentò Norman, strofinando il braccialetto. «Cioè, vedevo i tizi che lo portavano in libertà vigilata e mi chiedevo, sa, ma di cosa si lamenta questo stronzo di un criminale… Ma adesso che ne porto uno anch’io… È una cosa davvero umiliante.»
«Mi dispiace sentirti dire una cosa del genere» rispose Oscar in tono tranquillo. Iniziò a digitare qualcosa.
«A scuola conoscevo questo tipo che finì nei guai e lo sentivo sfottere il suo braccialetto… Sa, si sedeva durante l’ora di matematica borbottando, ‘spaccio rapina omicidio aggressione…’ Questo perché i poliziotti eseguono sondaggi di riconoscimento vocale. È in questo modo che questi braccialetti ti sorvegliano. Noi pensavamo che fosse completamente pazzo. Ma adesso comincio a capire perché lo facesse.»
Oscar girò lo schermo del portatile verso Norman, mostrando un tipo di caratteri a 36 punti, CONTINUEREMO A CHIACCHIERARE E IO TI SPIEGHERÒ CON FRANCHEZZA COME STANNO LE COSE.
«Non devi preoccuparti dei poliziotti locali. Qui possiamo parlare liberamente» affermò Oscar ad alta voce. «Quel dispositivo serve a proteggere te quanto gli altri.» TIENI SOLTANTO IL BRACCIO IN GREMBO IN MODO CHE LE TELECAMERE NON POSSANO LEGGERE LO SCHERMO. Cancellò la schermata con una combinazione di tasti rapida.
«Sono nei guai, Oscar?»
«Sì, lo sei.» NO, NON LO SEI. «Raccontami soltanto quello che è successo.» DIMMI QUELLO CHE HAI RACCONTATO ALLA POLIZIA.
«Be’, lei stava facendo un discorso magnifico» esordì Norman. «Voglio dire, in un primo momento la si sentiva a stento, era molto nervosa, ma una volta che il pubblico ha iniziato a urlare, lei si è davvero scatenata. Tutti sono diventati molto eccitati… Senta, Oscar, quando i poliziotti mi hanno arrestato, ho perso la testa. Ho raccontato loro un mucchio di cose. Ho detto loro quasi tutto. Mi dispiace.»
«Ma davvero» commentò Oscar in tono blando.
«Sì, ho detto loro anche perché mi ha mandato lì. Perché sapevamo dai profili che ci sarebbero stati dei problemi e che a causarli probabilmente sarebbe stato quel tizio, Skopelitis. Era lui che stavo picchiando. Ero seduto subito dietro di lui in quinta fila… E così ogni volta che si prepara ad alzarsi per interrompere la dottoressa, io glielo impedisco. Gli chiedo di spiegarmi una determinata parola, gli faccio togliere il cappello, gli chiedo dove sia la toilette…»
«Tutti comportamenti perfettamente legali» commentò Oscar.
«Alla fine mi ha gridato di stare zitto.»
«E tu hai obbedito all’ordine del dottor Skopelitis?»
«Be’, ho iniziato a mangiare la mia busta di patatine. Erano buone, molto croccanti.» Norman fece un sorriso triste. «Allora ha perso la testa, stava tentando di trovare degli indizi nel suo computer portatile. E io sbirciavo da sopra la sua spalla e, sa, lì dentro aveva un intero elenco di dichiarazioni che si era preparato in anticipo. Aveva pensato proprio a tutto. Ma ormai lei ci stava dando dentro e il pubblico applaudiva, lanciava perfino degli urrà… La dottoressa ha fatto un mucchio di battute divertentissime. Non riuscivano a credere quanto fosse divertente. Alla fine il tizio salta su e urla qualcosa di assolutamente stupido su come osa fare questo, e come osa fare quello, e il pubblico impazzisce. Gli hanno gridato di chiudere il becco. E così lui se ne va, davvero arrabbiato. E così io l’ho seguito.»
«E perché l’hai fatto?»
«Più che altro per distrarlo un altro po’. Mi stavo davvero divertendo.»
«Oh.»
«Sì, sono uno studente universitario e lui somigliava moltissimo a uno dei miei professori, un tizio che mi stava davvero sulle scatole. Volevo soltanto fargli sapere che avevo il suo numero. Ma dopo essere uscito dalla sala, ha iniziato a correre. E così ho capito che stava per fare qualcosa di brutto. Allora l’ho seguito e l’ho visto attivare un allarme antincendio.»
Oscar si tolse il cappello e lo poggiò sul tavolo. «Tu affermi di averlo visto fare una cosa del genere?»
«Accidenti, ma certo che lo affermo! Allora ho deciso di smascherarlo. Sono corso verso di lui e gli ho detto, ‘Mi stia a sentire, Skopelitis, non può fare uno sporco trucco del genere! Non è da professionisti’.»
«E poi?»
«E poi lui mi ha negato tutto in faccia. Io gli ho detto, ‘Ti ho visto mentre lo facevi’. Lui va in panico e fugge. Io lo inseguo. La gente sta uscendo dalla sala a causa dell’allarme. La situazione si scalda. Tento di bloccarlo. Iniziamo a lottare. Io sono più forte di lui e così lo concio per le feste. Lo inseguo lungo il corridoio, saltando i gradini, lui ha il naso insanguinato, la gente ci urla di fermarci. Ho perso la calma.»
Oscar sospirò. «Norman, sei licenziato.» Norman annuì con aria abbattuta. «Davvero?»
«Questo non è un comportamento accettabile, Norman. I membri della mia krew sono operatori politici. Tu non sei un vigilante. Non puoi andare in giro a prendere a pugni le persone.»
«E allora cosa avrei dovuto fare?»
«Avresti dovuto informare la polizia che avevi visto il dottor Skopelitis commettere un crimine.» È FINITO! UN BUON LAVORO! È UN PECCATO CHE ADESSO IO SIA COSTRETTO A LICENZIARTI.
«Mi licenzierà davvero, Oscar?»
«Sì, Norman, sei licenziato. Andrò in clinica a trovare il dottor Skopelitis gli porgerò le mie scuse di persona. Spero di riuscire a convincerlo a lasciare cadere le accuse contro di te. Poi ti rimanderò a casa, a Cambridge.»
Oscar andò a fare visita a Skopelitis nella clinica del Collaboratorio. Gli portò dei fiori: un simbolico mazzo di garofani gialli e lattuga. Skopelitis aveva una camera singola e, all’improvviso arrivo di Oscar, si era affrettato a rimettersi a letto. Aveva un occhio nero e il naso avvolto in un bel po’ di bende.
«Spero che non stia prendendo male tutta questa faccenda, dottor Skopelitis. Mi permetta di chiamare un’infermiera per farmi portare un vaso.»
«Non credo che sarà necessario» replicò Skopelitis in tono nasale.
«Oh, ma io insisto» affermò Oscar. Eseguì il tremendo rituale, facendo entrare l’infermiera, accettando i suoi complimenti per i fiori, chiacchierando dell’acqua e della luce del sole, valutando con attenzione il disagio sempre più evidente del paziente, che si venò di una sfumatura di terrore quando Skopelitis scorse Kevin nella sua sedia a rotelle, immobile all’esterno del corridoio.