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Oscar sorrise. «Temo di non seguirti. Il presidente è un agente olandese?»

«Sì, gli olandesi lo appoggiano da anni. Gli spioni olandesi amano molto i gruppi etnici delusi. Anglo, nativi americani… L’America è un paese molto grande. Sai, vogliono usare il solito metodo: divide et impera.»

«Senti, qui non stiamo parlando di Geronimo. Il presidente è un miliardario e un magnate del legname, era il governatore del Colorado.»

«Noi stiamo parlando di Geronimo, Oscar. Togli all’America il suo denaro e quello che rimane è un paese fatto di tribù.»

Quando le accuse contro Norman il Volontario vennero lasciate cadere, la krew di Oscar organizzò una festa d’addio in suo onore. I partecipanti furono numerosi. L’albergo era affollato di sostenitori del Collaboratorio, che professavano una sentita ammirazione per Norman e apprezzavano profondamente i drink e il cibo gratis.

«Questo è un albergo così bello!» esclamò Albert Gazzaniga. Il maggiordomo di Greta era arrivato in compagnia di Warren Titche e Cyril Morello — due degli attivisti del Collaboratorio perennemente insoddisfatti.

Titche si batteva per ottenere alcuni miglioramenti delle condizioni di vita nel laboratorio e per abbassare i prezzi della caffetteria come un ghiottone radicale, mentre Morello era l’unico uomo nel dipartimento Risorse umane che poteva essere descritto come onesto. Oscar fu deliziato nel vedere i tre unirsi spontaneamente. Era un indizio sicuro che il vento stava volgendo a suo favore.

Gazzaniga aveva in mano un bicchiere di hurricane con un ombrellino di carta. «E c’è anche un eccellente ristorantino. Mangerei qui tutti i giorni, se non dovessi respirare tutta quest’aria esterna non filtrata.»

«È un peccato che tu abbia tutte queste allergie, Albert.»

«Qui dentro abbiamo tutti delle allergie. Ma ho appena avuto una buona idea: perché non costruisci una strada coperta che colleghi l’albergo con la cupola?»

Oscar rise. «Ma perché accontentarsi delle mezze misure? Ricopriamo l’intera dannata città!»

Gazzaniga lo fissò con espressione attenta. «Stai parlando sul serio? Non riesco mai a capire quando lo fai.»

Norman tirò Oscar per la manica. Aveva il volto paonazzo e i suoi occhi erano colmi di lacrime e di sentimento. «Sto per andare via, Oscar. Immagino che questo sia il mio ultimo addio.»

«Cosa?» esclamò Oscar. Prese Norman per il gomito coperto dalla manica della giacca e lo condusse via dalla folla. «Tu devi rimanere fin dopo la fine della festa. Giocheremo un po’ a poker.»

«In modo che lei possa rimandarmi a Boston con un bel regalo in contanti e su cui non dovrò pagare un centesimo di tasse?»

Oscar lo fissò. «Ragazzo, sei il primo membro della mia krew che ha detto una sola parola su questa mia disdicevole abitudine. Adesso sei un ragazzo cresciuto, okay? Devi imparare a parlare con tatto.»

«No, non devo fare nulla» replicò Norman, che era tremendamente sbronzo. «Posso essere maleducato quanto voglio, adesso che mi ha licenziato.»

Oscar gli diede una pacca sulla schiena. «L’ho fatto esclusivamente per il tuo bene. Hai messo a segno un bel colpo, ma adesso sei finito. D’ora in poi, ti concerebbero per le feste ogni volta.»

«Io volevo soltanto dirle che non ho alcun rimpianto su questa faccenda. Ho imparato davvero molto sulla politica. E poi, ho potuto prendere a pugni un tizio che somigliava a uno dei miei professori e passarla liscia. Diavolo, ne valeva la pena soltanto per questo!»

«Tu sei un bravo ragazzo, Norman. Buona fortuna con la facoltà di ingegneria. Dacci dentro e sta’ attento al trucco con i raggi X.»

«Ho un’auto che mi aspetta» annunciò Norman, strusciando nervosamente i piedi. «Mamma e papà saranno davvero contenti di vedermi… È okay che io debba andare via, odio farlo, ma so che è la soluzione migliore. Volevo soltanto chiarire una cosa con lei prima di andarmene. Vede, non le ho mai parlato chiaramente del… uh, lo sa.»

«Il mio ‘problema personale’» concluse Oscar.

«Non sono mai riuscito ad abituarmi. Dio solo sa se ci ho provato. Ma non sono mai riuscito ad abituarmi. Nessuno ci riesce mai. Neppure le persone della sua krew. Lei è troppo strano, lei è un tizio molto, molto strano. Pensa in modo strano. Agisce in modo strano. Non dorme neppure. Non è completamente umano.» Norman sospirò, ondeggiò leggermente. «Ma la vuole sapere una cosa? Intorno a lei le cose succedono davvero, Oscar. Lei è uno che fa accadere le cose, uno che smuove le acque. Il paese ha bisogno di lei. Per favore, non ci deluda, cavolo. Non ci venda. La gente si fida di lei, noi ci fidiamo di lei. Io mi fido di lei, mi fido delle sue facoltà di giudizio. Sono giovane, e ho bisogno di un vero futuro. Lotti per noi. Per favore.»

Oscar ebbe tutto il tempo di esaminare l’anticamera dell’ufficio del direttore mentre il dottor Arno Felzian lo faceva aspettare. Kevin passò il tempo dando da mangiare pezzi di proteine a Stickley il binturong, appena arrivato da Boston in aereo. Stickley portava un collare radio, aveva gli artigli tagliati, le zampe immacolate ed era pettinato e profumato come un cane da competizione. Adesso non puzzava più.

Qualcuno — alcuni membri della krew del senatore Dougal, presumibilmente — aveva pensato che fosse giusto decorare gli uffici federali del direttore con dell’autentica paccottiglia texana. C’erano fucili montati sulla parete, teste di bue, lazos, sedie rivestite di pelle di vacca, un’infinità di luccicanti targhe commemorative.

La segretaria di Felzian lo fece entrare. Oscar appese il cappello su un torreggiante catafalco di corna di cervo dietro la porta. Felzian era seduto alla scrivania in legno di quercia e di cedro, con un’espressione tanto infelice quanto glielo permetteva la cortesia. Il direttore portava un paio di occhiali con lenti bifocali. La protesi in metallo e vetro gli conferiva una commovente aria da ventesimo secolo. Felzian era un uomo basso e magro sulla sessantina. In un secolo più crudele avrebbe potuto essere calvo e grasso.

Oscar strinse la mano del direttore e si sedette su una poltrona di cuoio pezzato. «Sono lieto di rivederla, dottor Felzian. Apprezzo molto che lei mi abbia dedicato un po’ di tempo oggi.»

Felzian aveva un’aria stancamente paziente. «Sono sicuro che non c’è alcun problema.»

«Sono qui per restituire al laboratorio questo esemplare per conto del senatore e di sua moglie, Lorena Bambakias. Vede, la signora Bambakias nutre un forte interesse personale per tutte le questioni che riguardano il benessere degli animali. E così ha fatto sottoporre questo esemplare a un esame medico completo a Boston e ha scoperto che è in eccellenti condizioni di salute. La signora Bambakias si congratula con il Collaboratorio per le sue pratiche rispettose dei diritti degli animali. Si è anche affezionata all’animale e così, anche se adesso ve lo restituisce, ha inviato un suo contributo per garantire il suo futuro benessere.»

Felzian studiò il documento portogli da Oscar. «Si tratta di un vero assegno bancario cartaceo firmato?»

«Alla signora Bambakias piace sempre dare un tocco personale e tradizionale a tutto quello che fa» spiegò Oscar. «È davvero affezionata al suo amico Stickley.» Sorrise, poi prese una macchina fotografica. «Spero che non le dispiaccia se adesso scatto qualche foto, sa, per il suo album di famiglia.»

Felzian sospirò. «Signor Valparaiso, so che lei non è venuto qui per restituirmi un animale randagio. Nessuno restituisce mai i nostri animali. Mai. Fondamentalmente, si tratta di favori di partito. Se il suo senatore ci sta restituendo un esemplare, questo significa che ha intenzione di farci un grosso danno.»

Oscar fu sorpreso di vedere che Felzian parlava in tono tanto cupo. Dato che si trovavano nell’ufficio del direttore, naturalmente aveva presunto che la loro conversazione sarebbe stata registrata. Erano sicuramente sorvegliati. Forse Felzian aveva deciso di dare un calcio alla discrezione. Forse aveva deciso di accettare la sorveglianza come una malattia cronica — come lo smog, come l’asma. «Assolutamente no, signore! Il senatore Bambakias è profondamente impressionato da questa struttura. Sostiene fortemente il programma di ricerche federale. Ha intenzione di inserire permanentemente la politica scientifica nel suo programma legislativo.»