«Be’…» replicò Sosik, poi abbassò la voce. «So che sembra strano, ma stammi a sentire. Una dichiarazione di guerra implicherebbe lo scioglimento immediato delle commissioni di emergenza.»
«Cosa?» gridò Oscar. «Sei impazzito? Noi non possiamo invadere la Francia! La Francia è una grande democrazia industriale! Cosa siamo, dei nazisti? È assolutamente fuori questione!» Oscar sollevò lo sguardo e si trovò di fronte a una folla di scienziati sbalorditi. Avevano sentito la loro discussione e si erano raccolti sul lato opposto del bancone del laboratorio, da dove stavano tentando di origliare.
«Ascoltami Oscar,» proseguì Sosik a voce bassissima «nessuno sta suggerendo che noi dovremmo davvero combattere una guerra. Ma l’idea sta diventando molto popolare a Washington. Una dichiarazione di guerra servirebbe a scavalcare il sistema federale. Come manovra domestica, una guerra potrebbe essere davvero una carta vincente. La Francia è troppo forte per noi, sono d’accordo con te; diavolo, i francesi hanno ancora l’energia nucleare! Ma potremmo dichiarare guerra all’Olanda. L’Olanda è un paese minuscolo e senza esercito, un mucchio di signor nessuno radicali. E così spaventiamo ben bene gli olandesi, la guerra finta dura circa una settimana, poi il presidente annuncia la vittoria. L’emergenza è finita. Una volta posatosi il polverone, riavremo un congresso reintegrato nel pieno delle sue funzioni.»
Oscar staccò il telefono dall’orecchio, lo fissò con disgusto, poi lo riavvicinò all’orecchio. «Senti, ci sentiamo dopo, Leon. Qui ho del lavoro serio da sbrigare.»
«Al senatore piace molto quest’idea, Oscar. Lui pensa davvero che potrebbe funzionare. È un piano visionario.»
Oscar interruppe la comunicazione. «Stanno suonando musica pop francese in Louisiana» disse rivolto al suo pubblico improvvisato.
Albert Gazzaniga si grattò la testa. «Sai che tragedia! E allora?»
Il cuore della faccenda era, ovviamente, il denaro. Era sempre stato così, il denaro era la linfa vitale della politica. E sebbene la politica scientifica fosse molto lontana dalla politica vera e propria, il denaro era anche la linfa vitale della scienza. In fondo, tutti gli scioperi erano lotte per il conseguimento del potere economico. Tutti gli scioperanti dichiaravano arditamente di essere disposti a resistere ai morsi della fame più a lungo dei loro datori di lavoro, e, se sostenevano questa vanteria con una efficace campagna mediatica e una pressione morale sufficiente, qualche volta avevano ragione.
E così era bello dichiarare che Greta e i suoi collaboratori erano disposti a fare ricerca scientifica per nulla, senza chiedere nulla e rifiutando di fornire nient’altro che i risultati da loro stessi giudicati di interesse scientifico. Era una santa crociata, ma perfino la santa crociata aveva bisogno di un flusso di finanziamenti.
E così Oscar, Yosh e l’onnipresente Kevin trovarono un angolo vuoto nella cucina dell’albergo per discutere di finanza.
«Potremmo chiedere in prestito a Bambakias un paio di milioni di dollari, giusto per rimetterci in piedi» propose Pelicanos. «Senza alcun dubbio lui i fondi ce l’ha.»
«Scordatelo» disse Oscar. «Il Senato è un club di miliardari, ma se iniziano a dirigere il paese con i loro soldi, torneremmo al feudalesimo. E il feudalesimo non è professionale.»
Pelicanos annuì. «Okay. Allora saremo noi a dover trovare dei fondi. Che ne dite dei metodi di campagna standard? Mailing diretto, pranzi per la raccolta di fondi, lotterie, aste di beneficenza. Chi potremmo contattare in questo caso?»
«Be’, se questa fosse una campagna normale…» Oscar si carezzò il mento con aria pensosa. «Ci rivolgeremo ai compagni di università di Greta, alle associazioni ebraiche, alle associazioni di categoria… e ovviamente ai fornitori del Collaboratorio. Adesso sono davvero furiosi nei nostri confronti, ma se la vedranno davvero brutta, se questo posto chiude. Potremmo riuscire a convincerli ad anticiparci un po’ di contante, se li minacciamo con lo spauracchio della chiusura totale.»
«Ma non esistono scienziati ricchi, appartenenti alle classi superiori? Deve esserci qualche scienziato ricco, vero?»
«Sicuro che esistono… in Asia e in Europa.»
«Certo che voi ragazzi vi sforzate di pensare in grande» commentò in tono ironico Kevin.
Oscar gli rivolse un’occhiata tollerante. Si stava davvero affezionando a Kevin. Lavorava davvero duro; era diventato l’anima nera del colpo di stato. «E quanto in grande dovremmo pensare, Kevin?»
«Voi ragazzi non vi rendete conto di quello che avete qui. All’interno di questo laboratorio avete un perfetto terreno di raccolta per i nomadi. Adesso siete voi ad avere istituito un posto di blocco; potete fare tutto quello che volete. Perché non chiedete a tutti gli scienziati in America di venire quaggiù e di unirsi a voi?»
Oscar sospirò. «Kevin, abbi pazienza. Hai capito il problema esattamente al contrario. Il punto è che stiamo tentando di dare da mangiare a duemila persone, anche se sono in sciopero. Se ne avremo un milione, affonderemo.»
«No, non affonderete» replicò Kevin. «Se un milione di scienziati arrivasse qui e si unisse a voi, questo non sarebbe più uno sciopero. Sarebbe una rivoluzione. E non vi impadronireste soltanto del laboratorio federale, ma dell’intera città. Probabilmente dell’intera contea. Forse di una buona parte dello stato.»
Pelicanos rise. «E come riusciremo a gestire una gigantesca orda di scienziati a nostre spese?»
«Usereste i nomadi, cavolo. Chi altro sa come mandare avanti una gigantesca orda di persone senza denaro? Aprite le porte stagne e promettete loro un rifugio qui. Fate fare loro dei giri propagandistici, mostrate loro le piante e tutti i vostri graziosi animaletti. Date loro per una volta la possibilità di scrollarsi di dosso i poliziotti e i federali, affidate loro un ruolo importante nella vostra operazione. I prolet diventerebbero una gigantesca krew di supporto per il vostro contingente di teste d’uovo. Capite, è il potere alla gente, il potere della strada. È un’armata di occupazione, proprio come quella usata da Huey.»
Oscar rise. «Ma farebbero a pezzi questo posto!»
«Certo, potrebbero anche farlo — ma se decidessero diversamente? Forse deciderebbero che questo posto gli piace. Forse se ne prenderebbero cura. Forse lo renderebbero ancora più grande.»
Oscar esitò. Non aveva preso in considerazione la possibilità di costruire qualcos’altro. Però aveva sempre avuto fortuna con una strategia del genere. Quella era la carta migliore che aveva in mano. La maggior parte dei politici non era in grado di creare alberghi di lusso partendo da un programma software e dal sudore di un gruppo di persone, ma quelli in grado di farlo godevano di un grande vantaggio. In quel momento lui era seduto in uno dei risultati di quella politica, che aveva dato ottimi frutti. «Quanto più grande?»
«Quanto grande abbiamo bisogno che sia?» chiese Pelicanos.
«Be’, quanti prolet nomadi si unirebbero alla nostra krew di costruzione?»
«Vuoi che carichi un foglio elettronico?» chiese Kevin.
«No, scordatelo, è troppo bello per essere vero» commentò Pelicanos. «Certo, forse potremmo applicare la costruzione distribuita su vasta scala, ma non potremmo mai fidarci dei nomadi. Sono tutti uomini di Huey.»
Kevin emise uno sbuffo ironico. «I Regolatori sono uomini di Huey, ma Dio mio, ragazzi, quelli della Louisiana non sono gli unici prolet in giro. Voi avete passato troppo tempo a Boston. Il Wyoming è bruciato fino alle fondamenta, accidenti! Ci sono prolet e dissidenti in tutti gli USA. Esistono milioni di prolet.»
Con uno strenuo sforzo di volontà, Oscar si costrinse a prendere sul serio la proposta di Kevin. «Un esercito di nomadi disoccupati, che costruiscono gigantesche cupole intelligenti… Sai, è davvero una prospettiva affascinante. Mi dispiace davvero scartarla così, su due piedi. È un’idea così moderna, fotogenica e non lineare. È un po’ come portare la guerra in casa del nemico.»