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Pelicanos strinse gli occhi. «Kevin, qual è la banda più grossa di prolet che conosci?»

«Be’, i Regolatori sono i più forti. Godono dell’appoggio di Huey e hanno appena saccheggiato una base aerea federale. Dunque devono essere la banda più forte in giro — ormai questo lo sanno tutti. Ma ci sono anche i Moderatori. I Moderatori sono un’orda bella grossa. E inoltre, odiano ferocemente i Regolatori.»

«Perché?» chiese Oscar, protendendosi in avanti con rinnovato interesse.

Kevin scrollò le spalle. «Perché le bande si odiano a vicenda? Qualcuno ruba la ragazza di un altro, qualcuno clona il telefono di qualcun altro. Sono bande. Non hanno leggi e così sono in faida una contro l’altra. È una cosa tribale. Le tribù si comportano sempre così.»

Pelicanos si grattò la mascella. «Sai, Oscar, non c’è dubbio che il Collaboratorio sia una struttura molto più attraente di qualche base aerea federale in cattive condizioni.»

«Hai assolutamente ragione, Yosh. Quella cupola esercita un grande fascino su chiunque. Potrebbe riuscire a esercitarlo anche sui nomadi.»

Calò un lungo, pensoso silenzio.

«È il momento per bere un caffè» annunciò Oscar, alzandosi per prenderne una tazza. «Rimaniamo con i piedi per terra, ragazzi. Dimentichiamoci di tutti questi sogni — qual è il nostro programma? Il nostro programma qui è di quello di mettere in imbarazzo, senza esagerare, i poteri costituiti e di convincerli a operare qualche taglio nel bilancio dei ricercatori federali. Alla fine, il Congresso concederà al Collaboratorio circa la metà dei finanziamenti rispetto agli anni precedenti. Ma in cambio, avremo più potere diretto nelle mani della gente del laboratorio. E così raggiungeremo un accordo che soddisferà entrambe le parti. Noi riusciremo a mantenere aperto il laboratorio, ma senza tutti quei fondi e tutta quella corruzione. È un risultato perfettamente onesto. È un qualcosa di cui noi tutti potremo andare fieri.»

Bevve un sorso di caffè. «Ma se lasciamo che questa situazione sfugga al controllo, come suggerisce Kevin… Be’, io sospetto che sia possibile. Quello che Huey ha fatto all’aeronautica dimostra che lo è. Ma non è fattibile, perché non ci sono freni. E non ci sono freni perché io non posso controllare il corso degli eventi. Non ne ho l’autorità. Sono soltanto un funzionario del Senato!»

«Fino a ora questo non ti ha mai fermato» osservò Kevin.

«Be’, questo è vero, lo ammetto, Kevin, ma… Allora, non mi piace la tua idea perché si basa su un’ideologia che io non approvo. Io sono un Democratico federale. Noi siamo un partito riformista serio. Non siamo un’avanguardia rivoluzionaria, questo lo lasciamo a tutti quegli imbecilli violenti che hanno preferito autoemarginarsi. Qui io opero con un numero infinito di vincoli legali ed etici. Non posso permettere che vaste orde di nomadi si impadroniscano di strutture federali.»

Kevin tirò su con naso. «Ehi, ma Huey ha fatto proprio questo.»

«Huey è un governatore! Huey dispone di un ramo legislativo e di uno giudiziario. Huey è stato eletto dal popolo. Ha vinto le ultime elezioni con il settantadue per cento dei voti su un’affluenza alle urne del novanta per cento! Non posso paralizzare il paese con una mossa folle come questa, non ne ho il potere! Non sono un mago! Sono soltanto un funzionario del Senato! Non vado dritto per la mia strada soltanto perché le cose sono teoricamente possibili. Accidenti, non posso dormire neppure con la mia ragazza»»

Kevin guardò Pelicanos. «Yosh, non puoi sistemare le cose in modo che questo povero bastardo possa dormire con la sua ragazza? Lei capirebbe la situazione. Oscar non pensa più in grande, ha perso smalto.»

«Be’, questo è fattibile» ammise Pelicanos. «Potresti dimetterti dalla commissione scientifica del Senato e rimanere qui come capo ufficiale dello staff di Greta. Non penso che protesterebbe nessuno se Greta va a letto con uno dei suoi impiegati. Voglio dire, dal punto di vista tecnico si tratta di molestie sessuali sul luogo di lavoro, ma che diamine!»

Oscar si accigliò. «Io non lascerò la commissione scientifica del Senato! Voi non capite cosa ho dovuto fare in tutto questo tempo, blandendo dietro le quinte quegli imbecilli a Washington. Ed è difficilissimo farlo via rete; se non sei in ufficio, faccia a faccia con loro, ti scaricano subito e ti fottono. Ho mandato dei mazzi di fiori via rete al loro dannato amministratore di sistema per tre settimane. Quando torno a Washington, probabilmente dovrò perfino invitarla a cena.»

«Okay, allora siamo di nuovo al punto di partenza» concluse Pelicanos in tono cupo. «Non sappiamo ancora cosa stiamo facendo e non abbiamo un soldo.»

Oscar si alzò alle tre del mattino e stava studiando i programmi delle udienze del Senato quando qualcuno bussò alla porta. Lanciò un’occhiata a Kevin, che stava russando pacificamente nella sua branda d’albergo. Oscar prese la pistola a spruzzo, controllò il caricatore per assicurarsi che fosse carico e scivolò verso la porta. «Chi è?» sussurrò.

«Sono io.» Era Greta.

Oscar aprì la porta. «Entra. Cosa ci fai qui? Sei impazzita?»

«Sì.»

Oscar sospirò. «Hai controllato i tuoi vestiti per vedere se ci sono delle microspie? Ti sei assicurata di non essere stata seguita da qualcuno? Per favore, stai attenta a non svegliare la mia guardia del corpo. Dammi un bacio.»

Si abbracciarono. «Lo so, mi sto comportando come una cretina» sussurrò Greta. «Ma io ero ancora sveglia. Gli altri si stancano sempre prima di me. Avevo un breve momento per me stessa. E allora ho pensato, Ίο so cosa voglio’. Voglio stare con Oscar.»

«È impossibile» le ricordò lui, infilandole la mano sotto la camicetta. «Questo significa rischiare di rovinare tutto, è una vera stupidaggine.»

«So che non possiamo più incontrarci» replicò Greta, appoggiandosi contro la parete e chiudendo gli occhi per il piacere. «Mi sorvegliano ogni secondo»

«La mia guardia del corpo è con noi in questa stanza. Ed è uno dal grilletto facile.»

«Io sono venuta soltanto per parlare» si difese Greta, tirandogli la camicia fuori dai pantaloni.

Oscar la condusse nel bagno, chiuse la porta e accese le luci. Greta aveva il rossetto sbavato, le sue pupille erano dilatate, grandi come piatti.

«Solo per parlare» ripeté Greta. Poggiò la borsetta sul lavandino. «Ti ho portato qualcosa di bello.»

Oscar chiuse a chiave la porta del bagno. Poi aprì la doccia, per coprire i loro rumori.

«È solo un regalino» spiegò Greta. «Non possiamo più stare insieme e io non riesco a sopportarlo.»

«Io faccio una doccia fredda,» annunciò Oscar «nel caso che a Kevin vengano dei sospetti. Possiamo parlare, ma a bassa voce.» Iniziò a sbottonarsi la camicia.

Greta infilò una mano nella borsetta e ne tolse una scatoletta avvolta in carta da regalo, adorna di un nastro. La poggiò sul bancone del bagno, poi si girò e lo osservò con espressione pensosa. Oscar fece cadere la camicia sulle piastrelle fredde.

«Sbrigati» lo esortò Greta, liberandosi dalla sua biancheria intima.

Gettarono un paio di asciugamani sul pavimento e vi si sdraiarono insieme. Oscar poggiò i gomiti sull’incavo delle ginocchia di Greta, la fece piegare in due e iniziò a penetrarla con violenza. Fu una mutua frenesia della durata di quaranta secondi che terminò con la violenza di un treno in arrivo.

Quando Oscar riprese fiato, riuscì a sorridere debolmente. «Faremo semplicemente finta che questo incidente non sia mai accaduto. Va bene?»

«Va bene» rispose Greta, poi si sollevò con braccia tremanti. «Però mi sento sicuramente meglio.» Si alzò, si sistemò la gonna, poi raccolse la scatoletta e la offrì a Oscar. «Ecco, questa è per te. Buon compleanno.»