«Davvero?» si stupì Oscar. «Non è che io ci abbia pensato molto sopra.»
«No?» Greta si agitò. «E come hai fatto a non pensarci? È una domanda così interessante. Io pensavo che avrei reagito come Evariste Galois. Sai, il matematico. Avrei scritto tutte le mie riflessioni più ardite nel mio quaderno di appunti, sperando che, qualche giorno, qualcuno sarebbe stato capace di comprenderle… Vedi, se pensi a questo problema, arrivi a una deduzione alquanto ovvia: la morte è universale, ma sapere quando si morirà è un raro privilegio statistico. E così, visto che probabilmente non lo saprai mai, dovresti trascorrere alcune ore di un giorno scelto a caso, e preparare il testamento finale in anticipo. Giusto? Questa è la conclusione razionale, dati i fatti. Una volta l’ho fatto davvero — quando avevo undici anni.» Respirò. «Sfortunatamente, da allora non l’ho più fatto.»
«È un vero peccato.» Oscar si rese conto che Greta era completamente terrorizzata. Stava straparlando. Invece la sua paura era completamente svanita. Era sopraffatto dall’istinto protettivo. Si sentiva euforico, quasi brillo. Avrebbe fatto qualsiasi altra cosa per avere la minima possibilità di salvarla.
«Ma non ho più undici anni. Adesso so cosa fanno gli adulti in questa situazione. Non ha nulla a che vedere con le grandi idee. Ti fa venire voglia, molta voglia, di fare sesso.»
Si trattò di un’osservazione assolutamente inaspettata, ma il suo significato ebbe su Oscar l’effetto di un fiammifero gettato su degli stracci imbevuti di benzina. Quell’affermazione era tanto vera che non seppe cosa replicare. Provò due impulsi contemporanei — paura, eccitazione — abbastanza intensi da spaccargli in due il cervello. Le orecchie iniziarono a ronzargli, le mani iniziarono a prudere.
«E così,» mormorò Greta in tono provocante «se adesso non fossi legata…»
«In effetti,» annaspò Oscar «questo non mi dà particolarmente fastidio…»
L’altoparlante crepitò di nuovo. «Okay. Smettetela subito. Piantatela. È davvero disgustoso.»
«Ehi!» obiettò una seconda voce, maschile. «Lasciali in pace.»
«Sei pazzo?» replicò Willis.
«Ragazza, non sei mai stata un combattente veterano. L’ultima notte prima di andare a farti ammazzare — per l’inferno, hai davvero voglia di andare a letto con qualcuno! Ti faresti qualsiasi cosa indossi una gonna.»
«Ah!» gridò Oscar. «E così non vi piace? Allora venite qui dietro e fermateci.»
«Non metterci alla prova.»
«Cosa potete farci? Adesso non abbiamo più nulla da perdere. Sapete che siamo amanti. Certo, è il nostro grande e oscuro segreto, ma non abbiamo nulla da nascondere a voi. Voi siete soltanto dei guardoni. Per noi, voi non significate nulla. Andate all’inferno! Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo.»
Greta rise. «Non avevo mai pensato in questo modo» esclamò in tono frivolo. «Ma è vero. Noi li costringeremo a guardarci.»
«Diavolo, io voglio guardarli!» esclamò il rapitore maschio. «Mi piace il loro atteggiamento! Adesso gli metto anche un po’ di musica.» Una radio iniziò a trasmettere un allegro two-step cajun.
«Togli le mani da quell’affare!» ordinò Willis.
«Chiudi il becco! Posso benissimo ascoltare un po’ di musica mentre guido.»
«Li gasserò tutti e due.»
«Ma sei impazzita? Non farlo. Ehi!»
L’ambulanza sterzò bruscamente. Vi fu un sonoro rumore di fango e il veicolo sovraccarico sterzò e quasi andò in testacoda. Oscar venne scagliato lontano da Greta e andò a urtare contro la paratia. Il veicolo si fermò.
«Adesso l’hai fatta grossa» accusò Willis.
«Non cominciare a innervosirti» borbottò l’uomo. «Arriveremo in tempo.»
«No, se hai rotto l’assale, stronzo arrapato.»
«Smettila di lamentarti e fammi pensare. Scenderò a controllare.» Una portiera venne aperta con un cigolio.
«Mi sono rotto un braccio!» gridò Oscar. «Qui dietro sto sanguinando a morte!»
«Ma la vuoi smettere di essere così dannatamente furbo?» gridò Willis. «Cristo, sei davvero una seccatura! Perché non ci rendi più facile la cosa? Non deve per forza essere così difficile! Adesso chiudi il becco e fa’ la nanna.» Si udì il sibilo del gas.
Oscar si svegliò nell’oscurità udendo un violento frastuono di metallo lacerato. Era sdraiato sulla schiena e sul petto aveva qualcosa di molto pesante. Si sentiva accaldato e stordito e in bocca aveva un sapore di alluminio.
Vi fu un terribile stridio e uno schiocco improvviso. Un cuneo a forma di diamante di luce solare si riversò su di lui. Scoprì che giaceva sul fondo di una bara mostruosa, con Greta sdraiata sul petto. Si mosse, le spostò le gambe da un lato con uno sforzo che gli provocò un dolore lancinante dietro i globi oculari.
Dopo alcuni respiri profondi, Oscar si rese conto della sua situazione. Lui e Greta erano ancora sdraiati all’interno dell’ambulanza. Ma il veicolo si era rovesciato su un fianco. Adesso Oscar giaceva sulla parete più stretta. Greta era sopra di lui, ancora ammanettata ai montanti della barella, che adesso faceva parte del tetto.
Si udirono altri tonfi, altri stridii. Improvvisamente una delle porte posteriori venne forzata e cadde sul terreno.
Un giovane in tuta di jeans e con i capelli tagliati a spazzola si sporse a guardare all’interno dell’ambulanza, con un piede di porco in mano. «Ehi!» esclamò. «Siete vivi!»
«Sì. E tu chi sei?»
«Ehi, nessuno! Voglio dire, ehm… Dewey.»
Oscar si rizzò a sedere. «Cosa sta succedendo, Dewey?»
«Non lo so, ma dovete essere proprio fortunati per essere vivi lì dentro. E la signora? Sta bene?»
Greta pendeva dalla barella con la testa rovesciata all’indietro e gli occhi che mostravano il bianco. «Aiutaci» disse Oscar, poi tossì. «Aiutaci, Dewey, e non te ne pentirai.»
«Ma certo» rispose Dewey. «Cioè, tutto quello che vuole. Esca fuori di lì!»
Oscar strisciò fuori dal retro dell’ambulanza. Dewey lo prese per un braccio e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Oscar provò una fitta di nausea, ma poi il cuore ricevette una sferzata di adrenalina. Il mondo divenne dolorosamente chiaro.
L’ambulanza, ridotta a un rottame, era rovesciata su una strada in terra battuta sulla riva di un fiume lento e fangoso. Era l’alba, faceva freddo e c’era la nebbia.
Nell’aria stagnava il puzzo di tappezzeria bruciata. L’ambulanza era stata colpita in pieno da un qualche tipo di ordigno — forse un colpo di mortaio. L’onda d’urto l’aveva scagliata via dalla strada, rovesciandola sul fianco nel rosso fango texano. Il motore era una massa annerita di metallo lacerato e di plastica fusa. La cabina era stata tranciata a metà, rivelando lo spesso strato corazzato, e adesso ammaccato, della prigione interna.
«Cosa è successo?» sbottò Oscar.
Dewey scrollò le spalle; aveva gli occhi chiari e un viso allegro. «Ehi, mister — me lo dica lei! Sicuramente la notte scorsa qualcuno ha sforacchiato per bene il culo di qualcun altro. È tutto quello che posso dire.» Dewey era molto giovane, forse aveva diciassette anni. Sulla schiena portava un fucile da caccia a colpo singolo. A pochi metri dall’ambulanza era parcheggiato un antico pick-up, con targhe texane. Sul pianale di carico c’era una moto fracassata.
«Quello è il tuo camion?» chiese Oscar.
«Sì!»
«Lì dentro hai una cassetta degli attrezzi? Qualcosa che possa tagliare le manette?»
«Ho la mia sega elettrica. Ho dei tronchesi. Ho una catena per il traino. Ehi, alla fattoria il mio papà ha gli attrezzi per saldare!»
«Conoscerti è stata una vera fortuna, Dewey. Mi chiedo se posso prendere in prestito i tuoi attrezzi per un secondo e liberare la mia amica.»