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Poi rimase in attesa, ammiccando. «Okay» disse infine. «Qui metto in gioco il mio onore personale, fidandomi della parola di completi sconosciuti, ma al diavolo! Mi chiamano generale a causa degli anni di affidabilità che ho accumulato con lunga fatica, ma, in tutta franchezza, questa carica mi pesa. Da un giorno all’altro, potrei anche distruggere tutto quello che ho costruito. E così farò a voi tre ricchi oziosi un grande, grandissimo favore. Vi noleggerò cinque plotoni.»

«Cinquanta duri dei Moderatori?» chiese Kevin in tono ansioso.

«Sì. Cinque plotoni, cinquanta persone. Ovviamente, non vi garantisco che le nostre truppe possano tenere quel laboratorio in caso di un contrattacco federale, ma non c’è alcun dubbio che possano impadronirsene.»

«Questi uomini hanno la disciplina necessaria per mantenere l’ordine nella struttura?» chiese Oscar.

«Non sono uomini, amico. Sono ragazzine. Un tempo, quando volevamo fare i duri, mandavamo i nostri giovani, ma — ehi! — i giovani sono davvero duri. I giovani uccidono le persone. Noi siamo una società alternativa con una certa reputazione, non possiamo permetterci di venire considerati dei saccheggiatori assassini. Queste ragazze agiscono con maggiore calma in un’azione di sabotaggio urbano. Inoltre, le donne minorenni tendono ad avere pene più leggere quando vengono prese.»

«Non vorrei sembrarle un ingrato, generale, ma non sono sicuro che lei si sia reso conto della nostra situazione.»

«No» intervenne Greta. «Le ragazze sono perfette.»

«Allora immagino che vi presenterò ad alcuni dei nostri comandanti sul campo. E potrete parlare di tattiche e di armamento.»

Oscar tornò a Buna in un pullman di chiesa fasullo, stracarico di tre plotoni di soldati nomadi Moderatori. Avrebbe potuto viaggiare con Kevin, ma era ansioso di esaminare le truppe.

Era quasi impossibile osservare le ragazze tra i quattordici e i diciassette armi e immaginarle come una forza paramilitare in grado di sconfiggere in combattimento un qualsiasi corpo di polizia. Ma in una società infestata da dispositivi di sorveglianza, le milizie dovevano assumere strane forme. Quelle ragazze erano invisibili, proprio perché erano così improbabili.

Le ragazze erano molto tranquille e silenziose; avevano tutte il fisico asciutto delle ginnaste e viaggiavano in gruppi. I loro plotoni erano divisi in gruppi operativi di cinque ragazze, coordinati da donne più anziane. Questi sergenti di plotone apparivano innocui e inoffensivi per quanto fosse possibile a un essere umano.

Ma tutte le ragazze avevano un aspetto innocuo, perché si vestivano per recitare la loro parte, deliberatamente. Avevano rinunciato ai loro inquietanti indumenti di plastica e cuoio. Adesso indossavano cappellini, scarpe ortopediche e vestiti a fiori che stavano loro male. Le giovani soldatesse avevano coscienziosamente coperto i loro tatuaggi con bastoncini di cerone color carne. Si erano pettinate i capelli alla perfezione. Indossavano giacche dai colori vivaci e pantaloni a scacchi, presumibilmente rubati dai centri commerciali di qualche comunità privata. L’esercito dei Moderatori somigliava a una squadra di hockey femminile in cerca di un locale dove servissero frullati al cioccolato.

Non appena i pullman e i soldati a bordo di essi furono riusciti a superare la porta stagna orientale, l’assalto al Collaboratorio non poté più fallire. Oscar rimase a guardare, ammutolito dallo stupore, mentre il primo plotone tendeva un agguato e distruggeva un’auto della polizia.

Due poliziotti in un’auto stavano sorvegliando una delle porte stagne che conducevano alla Zona Calda, dove il comitato di sciopero di Greta stava tristemente aspettando di essere sfrattato. Senza preavviso, la più giovane delle cinque ragazze si batté le mani sulle tempie ed emise un grido lacerante. I poliziotti, colti di sorpresa, uscirono immediatamente dall’auto e corsero ad aiutare la ragazza, però incapparono in una rete invisibile di laccioli di plastica. Quando caddero a terra, altre due ragazze li innaffiarono freddamente con il contenuto delle loro pistole spray, incollandoli al terreno.

Un secondo plotone di ragazze si unì al primo e, insieme, rovesciarono l’auto della polizia sul tettuccio e spruzzarono ragnatele sui monitor e sui pannelli degli strumenti.

Dietro sua insistenza, fu Kevin in persona a condurre l’assalto alla stazione di polizia. Il contributo di Kevin consistette nel parlare a raffica con il sergente di turno, una donna, mentre trenta ragazze entravano nell’edificio, chiacchierando e ridacchiando. Poliziotti sorridenti uscirono dai loro uffici, senza nutrire alcun sospetto, per scoprire cosa stesse succedendo e vennero coperti di ragnatele sparate a bruciapelo. Con gli occhi e la bocca coperti da quel materiale appiccicoso e impossibilitati a respirare, furono facili prede di squadre addestrate che li afferrarono per i polsi, li presero a calci nelle caviglie e li rovesciarono con forza incredibile. Poi vennero rapidamente ammanettati.

I Moderatori si erano impadroniti di una struttura federale in quaranta minuti esatti. Una forza di cinquanta ragazze era fin troppo numerosa. Alle sei e mezza il colpo era pienamente riuscito.

Però era stato commesso un errore tattico. Il direttore della sicurezza del laboratorio non era al lavoro, né a casa, dove un plotone di ragazze era stato inviato ad arrestarlo. A casa sua non c’era nessuno, tranne la moglie, assolutamente sbalordita, e due bambini.

Venne fuori che il capo della sicurezza era in un bar con la sua amante; era ubriaco fradicio. Delle ragazze minorenni non potevano entrare in un bar senza attirare l’attenzione. Tentarono di farlo uscire fuori; ma, confuse dall’illuminazione fioca, aggredirono e immobilizzarono l’uomo sbagliato. Il capo della sicurezza riuscì a sfuggire all’arresto.

Due ore dopo venne scoperto di nuovo: si era chiuso in un veicolo antisommossa improvvisato nella cantina dell’edificio che ospitava il dipartimento di antinfortunistica. Brandiva freneticamente un telefono cellulare e un fucile da combattimento.

Oscar andò dentro per negoziare con lui.

Rimase immobile davanti al paraurti di gomma del tozzo veicolo per la decontaminazione. Rivolse un gesto di saluto verso il finestrino corazzato, mostrando le mani vuote, poi chiamò il capo della sicurezza servendosi di uno dei telefoni standard del Collaboratorio.

«Ma cosa diavolo pensa di fare?» domandò l’uomo. Il suo nome, Oscar lo ricordava perfettamente, era Mitchell S. Karnes.

«Mi dispiace, Karnes, si è trattato di un’emergenza. Adesso la situazione è sotto controllo. Nessuno si farà alcun male.»

«Sono io quello che si occupa delle emergenze» replicò il capo.

«L’emergenza eravate lei e i suoi uomini. Da quando il direttore Penninger è stato rapito, ieri sera, temo che lei e la sua squadra abbiate tradito la sua fiducia. Tuttavia, adesso il laboratorio è di nuovo nelle mani delle sue autorità legittime. E così lei e il suo staff sarete sollevati dal vostro incarico e tenuti in custodia fino a quando non saremo riusciti a riportare la situazione alla normalità.»

«Ma di cosa diavolo sta parlando? Lei non può licenziarmi, non ne ha alcun autorità.»

«Be’, capo, ne sono perfettamente consapevole. Ma questo non cambia la nostra situazione. Dia un’occhiata alla nostra situazione. Io sto qui fuori, tentando di essere ragionevole, mentre lei è chiuso in un veicolo corazzato con un fucile, tutto da solo. Siamo entrambi adulti, comportiamoci da uomini ragionevoli. La crisi è finita. Metta giù il fucile e venga fuori di lì.»

Karnes ammiccò. Aveva bevuto molto per tutto il giorno e non si era ancora reso conto della gravità della situazione. «Senta, quello che dice è una vera follia. Una cosa è uno sciopero lavorativo, oppure i virus del computer. Perfino una guerra di rete è comprensibile. Ma questo è un vero e proprio golpe eseguito con le armi in pugno. Non la passerete liscia dopo avere attaccato degli ufficiali di polizia. Sarete arrestati. Tutti quelli che conosce verranno arrestati.»