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«Mi piaceva. Ha molta immaginazione e non è corrotto.»

«Be’,» commentò il presidente «io non sono un senatore malato di mente. Guarda caso, io sono il suo presidente. Sono il suo nuovo presidente che ha appena prestato giuramento e ho dei collaboratori ingenui che si lasciano infinocchiare troppo facilmente da imbroglioni con la lingua sciolta che hanno legami familiari con dei criminali che sostengono la supremazia della razza bianca. Adesso, grazie a lei, sono anche un presidente che ha avuto la sventura di uccidere e ferire molte dozzine di persone. Alcune di esse erano spie straniere. Ma la maggior parte erano nostri concittadini.» Nonostante il dispiacere espresso, il presidente sembrava più che disposto a uccidere di nuovo.

«Signor Valparaiso, voglio che mi ascolti con attenzione. Ho circa quattro settimane — forse tre — di capitale politico da spendere. Poi la luna di miele finirà e il mio ufficio verrà messo sulla graticola. Dovrò affrontare tutte le cause, le sfide costituzionali, le rivoluzioni di palazzo, le rivelazioni, gli scandali bancari e le macchinazioni dei comitati di emergenza che hanno rovinato ogni presidente americano negli ultimi venti anni. Io voglio sopravvivere a tutto questo. Ma non ho denaro, perché il paese è in bancarotta. Non posso fidarmi del Congresso. Sicuramente non posso fidarmi dei comitati di emergenza. Non posso fidarmi dell’apparato del mio partito. Sono il comandante in capo della nazione, ma non posso neppure fidarmi delle forze armate. Questo mi lascia soltanto una fonte diretta di potere presidenziale. I miei agenti segreti.»

«Sì, signor presidente.»

«I miei agenti sono stati troppo zelanti! Hanno appena fatto fuori un mucchio di gente nel bel mezzo della notte, ma almeno non sono dei politici, e così faranno quello che viene loro ordinato. E poiché sono spie, ufficialmente non esistono. E così neppure le cose che fanno esistono ufficialmente. E così, se tutte le parti coinvolte tengono chiuso il becco, potrei non dover dare conto di quel sanguinoso fallimento avvenuto la notte scorsa sul confine della Louisiana. Mi sta seguendo?»

«Sì, signore.»

«Io voglio che domani mattina lei per prima cosa si dimetta dal suo incarico al Senato. Non può fare quello che ha fatto e rimanere un funzionario del Senato. Si dimentichi del Senato, e si dimentichi anche del suo povero amico, il senatore. Lei è un pirata. L’unico modo in cui può sopravvivere a questa situazione è di unirsi al mio staff della sicurezza nazionale. E lei farà esattamente questo. Da adesso in poi, lei lavorerà per il suo presidente. Lei dipenderà da me. Il suo nuovo titolo sarà: consigliere scientifico del consiglio per la sicurezza nazionale.»

«Capisco, signore. Se posso dirlo, la sua è un’ottima analisi della situazione.» Non c’era alcun dubbio che avrebbe assunto quell’incarico. Significava staccarsi dal cerchio interno di Bambakias; significava anche rinunciare ai risultati di mesi di faticoso lavoro dietro le quinte nella commissione scientifica del Senato. Era come perdere due lobi del cervello in un istante. Ma ovviamente avrebbe lasciato perdere tutto per lavorare per il presidente. Perché significava raggiungere un livello di attività politica più alta — dove le opzioni fiorivano come stelle alpine. «La ringrazio per la sua offerta, signor presidente. Ne sono onorato e sono lieto di accettarla.»

«Lei si è comportato come un cowboy. Ha fatto male. Molto male. Tuttavia, da ora in poi, lei sarà il mio cowboy. E soltanto per assicurarmi che non vi siano più sfortunati incidenti, invierò lì un reggimento di paracadutisti per proteggere il perimetro del laboratorio. Arriveranno verso le diciassette di domani.»

«Sì, signor presidente.»

«Il mio staff invierà anche una dichiarazione che il suo direttore leggerà davanti alle telecamere. Questo ristabilirà i ruoli di tutti, d’ora in poi. Adesso questi sono i suoi ordini, ricevuti direttamente dal suo comandante in capo. Tenga quel posto lontano dalle grinfie del governatore Huguelet. Lei terrà i dati lontani da lui, terrà il personale lontano da lui, lei terrà quel posto completamente sigillato, almeno fino a quando non sarò riuscito a capire perché lo vuole tanto disperatamente. Se avrà successo, la farò entrare alla Casa Bianca. Fallisca, e cadremo entrambi. Ma lei cadrà per primo, e la sua caduta sarà più dura e più dolorosa, perché io cadrò su di lei. Sono stato chiaro?»

«Chiarissimo, signor presidente.»

«Benvenuto nell’affascinante mondo del ramo esecutivo.» Il presidente scomparve. Le onde di grano color ambra continuarono a ondeggiare serenamente.

Tirarono fuori la testa di Oscar dal casco della realtà virtuale con una certa fatica. Si ritrovò al centro della rapita attenzione di duecento persone.

«Be?» chiese Kevin, brandendo un microfono. «Cosa ha detto?»

«Mi ha assunto» annunciò Oscar. «Adesso faccio parte dello staff della sicurezza nazionale.»

Kevin sbarrò gli occhi. «Sul serio?»

Oscar annuì. «Il presidente ci appoggia! Sta inviando delle truppe qui per proteggerci!»

Si udì un urrà. La folla era sopraffatta dalla gioia. Nella loro reazione era chiaramente percepibile un sottofondo isterico. Era una farsa, una tragedia, un trionfo; erano ebbri. Iniziarono a darsi grandi pacche sulla schiena e ad abbaiare nei loro telefoni.

Kevin spense il microfono e lo gettò da un lato. «Ha detto qualcosa su di me?» chiese in tono ansioso. «Voglio dire, sul fatto che l’ho svegliato la notte scorsa e tutto il resto?»

«Sì, ha parlato di te, Kevin. Ha menzionato il tuo nome.»

Kevin si girò verso la persona più vicina, che, per caso, era Lana Ramachandran. Lana era stata convocata mentre stava facendo la doccia e si era precipitata nel centro media in accappatoio e pantofole. «Il presidente si è accorto di me!» le disse Kevin ad alta voce, gonfiando il petto con un’espressione di nobile sbalordimento. «Ha parlato di me! Io conto davvero qualcosa! Io, per il presidente, conto qualcosa.»

«Dio, sei senza speranza!» ringhiò Lana, digrignando i denti. «Come hai potuto fare questo al povero Oscar?»

«Fare cosa?»

«Guardalo, stupido! È coperto di vesciche!»

«Quelle non sono vesciche» lo corresse Kevin, scrutando Oscar con attenzione. «Sembra più un’infezione alla pelle o qualcosa del genere.»

«E cos’è quell’enorme bozzo che ha sulla testa? Tu dovresti essere la sua guardia del corpo, stupido bastardo! Lo stai uccidendo! È fatto soltanto di carne e ossa!»

«No, non è così» replicò Kevin in tono ferito. Il suo telefono squillò. Rispose. «Sì?» Rimase in ascolto, poi assunse un’espressione triste.

«Quello stupido falso poliziotto» ringhiò Lana. «Oscar, che cos’hai? Dimmi qualcosa. Fammi sentire il battito.» Gli strinse il polso. «Mio Dio! Hai la pelle che scotta!»

L’accappatoio di Lana si aprì. Oscar osservò il semicerchio di un capezzolo marrone eretto. Gli si rizzarono i peli sulla nuca. Provò un’improvvisa e folle ondata di eccitazione sessuale. Stava perdendo il controllo. «Ho bisogno di sdraiarmi» mormorò.

Lana lo fissò mordendosi un labbro. I suoi occhi da cerbiatta colmi di lacrime. «Ma perché non riescono a capire quando non ce la fai più? Povero Oscar! A nessuno importa mai nulla di te.»

«Forse un po’ d’acqua fredda mi farà bene» bisbigliò lui.

Lana trovò il suo cappello e glielo posò delicatamente sulla testa. «Ti porto fuori di qui.»

«Oscar!» gridò Kevin. «Il cancello meridionale è aperto! Il laboratorio sta per essere invaso! Ci sono centinaia di nomadi!»

Oscar reagì immediatamente. «Sono Regolatori o Moderatori?» Ma le parole emersero come un confuso balbettio. La lingua improvvisamente gli si era gonfiata nella gola. La lingua era diventata grossa, enorme. Era come se nella sua bocca ce ne fossero due.

«Cosa facciamo?» domandò Kevin.