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Rimasero distesi nel buio, stringendosi e tremando, e sopra di loro infuriò per ore ed ore il rombo degli incendi, e a volte il fumo penetrava e pungeva gli occhi e le narici. C’erano gli scrosci lontani dei muri che crollavano, rombi che squassavano il suolo: poi vennero più vicino, ma non toccarono il loro rifugio.

E alla mattina, quando nell’aria c’era ancora l’odore delle fiamme, risalirono nella luce fosca del giorno.

Sulle rovine aleggiava il silenzio. Gli edifici spettrali adesso erano solidi, ridotti a gusci vuoti. I fantasmi erano scomparsi. Soltanto i fuochi erano strani, alcuni veri, altri no, e lingueggiavano sopra i mattoni scuri e freddi, e quasi tutti si andavano estinguendo.

Jim imprecò sottovoce, più volte, e pianse.

Quando Alis lo guardò aveva gli occhi asciutti, perché da molto tempo non aveva più lacrime.

E lo ascoltò mentre lui parlava di procurarsi viveri e di lasciare la città, loro due insieme. — D’accordo — disse Alis.

Poi contrasse le labbra, chiuse gli occhi per non scorgere ciò che gli vedeva in faccia. Quando li riaprì vide che era ancora vero: la trasparenza improvvisa, l’ondata di sangue. Alis tremò, e Jim la scosse, con un’espressione angosciata sul viso spettrale.

— Cosa c’è? — chiese lui. — Cosa c’è?

Non poteva dirglielo, non voleva. Ricordava il ragazzo che era annegato, ricordava gli altri spettri. All’improvviso si svincolò da lui e fuggì via, nel labirinto delle macerie che, questa mattina, erano solide.