«Che differenza farebbe, se io ti uccidessi, sapere che è stato per un motivo o per l’altro?» disse Grant, e la sua voce era rauca, sconvolta dall’odio e dalla paura. «Tu saresti sempre morto, no? Non saresti più libero, libero e con la filosofia di Juwain.»
«Ma,» gli disse Joe, e il suo tono era quasi gentile, «Non è per questo che tu mi uccideresti. Lo faresti perché sei in collera con me per un altro motivo. Perché ho distrutto il formicaio.»
«Questo avrebbe potuto essere il motivo, prima,» disse Grant. «Ma non adesso…»
«Non provarci,» lo avvertì Joe. «Prima di riuscire a premere il pulsante, saresti già ridotto in poltiglia.»
Grant esitò.
«Tu pensi che io stia bluffando,» disse ironicamente Joe, «Bene, allora prova a chiamare il mio bluff.»
Per un lungo momento i due rimasero immobili, in piedi, faccia a faccia, e la pistola era sempre puntata verso il suolo.
«Perché non ti unisci a noi?» domandò Grant. «Abbiamo bisogno di un uomo come te. Tu sei stato l’uomo che ha mostrato al vecchio Thomas Webster come costruire un motore interstellare. Il lavoro che hai fatto con le formiche…»
Joe si era mosso, aveva fatto un passo avanti, rapidamente, e Grant sollevò la pistola, ma con un attimo di ritardo. Vide il pugno avvicinarsi al suo viso, un pugno enorme, malvagio, simile a un grosso maglio spietato che lo colpì con ferocia.
Un pugno che fu più veloce del suo dito sul pulsante della pistola.
Una cosa umida e calda stava passando sul volto di Grant, e lui alzò una mano, per cercare di liberarsene.
Ma la cosa continuò a lambirgli il viso.
Grant aprì gli occhi, e Nathaniel si mise a saltare di gioia davanti a lui.
«Sei sano e salvo,» disse Nathaniel «Avevo tanta paura…»
«Nathaniel!» disse raucamente Grant. «Cosa stai facendo qui?»
«Sono scappato,» gli disse Nathaniel. «Voglio venire con te.»
Grant scosse il capo.
«Tu non puoi venire con me. Devo andare molto lontano. Ho un lavoro da compiere.»
Si mosse a fatica, appoggiando le mani al suolo, sollevandosi carponi e cercando sul terreno erboso, a tentoni. Quando le sue dita incontrarono un oggetto di freddo metallo, Grant lo raccolse e se lo infilò nella fondina.
«L’ho lasciato andare,» disse, «E non posso lasciarlo andare. Gli ho dato qualcosa che appartiene all’umanità intera, e non gli posso permettere di farne uso.»
«Posso seguire la pista,» disse Nathaniel. «Sono bravo a seguire le piste. Sono capace di trovare uno scoiattolo a qualsiasi distanza, e come posso farlo con uno scoiattolo, posso farlo con chiunque.»
«Tu hai delle cose più importanti da fare che seguire una pista,» disse Grant al cane. «Vedi, oggi io ho scoperto qualcosa. Ho avuto una visione fuggevole di una certa strada… una strada che l’umanità intera potrà seguire. Non oggi né domani, e forse neppure tra mille anni. Forse non ci arriveremo mai, ma si tratta di una cosa che non possiamo permetterci di trascurare. Forse Joe è un po’ più avanti di tutti noi, su questa strada, e forse noi lo stiamo seguendo più in fretta di quanto pensiamo. Può darsi che tutti noi finiamo come Joe. E se è questo che sta accadendo, se è così che finiremo tutti, voi cani avete un grande lavoro che vi aspetta.»
Nathaniel lo guardò, con i suoi grandi occhi fondi e umidi, con il muso raggrinzito dalla preoccupazione.
«Io non capisco,» disse, in un tono lamentoso che era quasi un guaito, «Tu usi delle parole che non riesco a capire.»
«Ascolta, Nathaniel. Forse gli uomini non saranno sempre come sono oggi. Forse gli uomini cambieranno. E, se così sarà, voi cani dovrete andare avanti; dovrete prendere il sogno dalle nostre mani e tenerlo in vita e farlo andare avanti. Dovrete fingere di essere degli uomini.»
«Noi cani,» promise Nathaniel, obbediente, «Lo faremo.»
«Il momento non verrà che tra migliaia e migliaia di anni,» disse Grant. «Voi avrete il tempo di prepararvi. Ma dovete sapere. Dovete diffondere la parola. Non dovete, non potete dimenticare.»
«Io lo so, adesso,» disse Nathaniel. «E noi cani lo diremo ai cuccioli, e i cuccioli lo diranno ai loro cuccioli.»
«È proprio così,» disse Grant.
Si chinò a grattare Nathaniel dietro l’orecchio, e il cane, dimenando la coda sempre più lentamente, fino a fermarsi del tutto, rimase laggiù, sul fondo della valle, a guardare l’uomo che saliva lentamente il fianco della collina.
ANNOTAZIONI SUL QUARTO RACCONTO
Di tutte le storie che compongono la leggenda, questa ha maggiormente confuso e sconcertato coloro che hanno voluto cercare nell’opera qualche spiegazione razionale e qualche significato reale.
Che la storia in questione sia completamente mitica, senza ombra di verità o di realtà storica, perfino Stecco è arrivato ad ammetterlo. Ma se si tratta di un mito, che cosa significa? Se questa storia è un mito, anche tutte le altre della leggenda non possono essere ugualmente mitiche?
Giove, teatro dell’azione di questa storia, dovrebbe essere uno degli altri mondi che si possono trovare attraverso lo spazio. L’impossibilità scientifica dell’esistenza di simili mondi è già stata rilevata in precedenza. E, se dobbiamo accettare l’ipotesi di Salta, secondo il quale gli altri mondi di cui si occupa la leggenda altro non sono che i nostri stessi mondi multipli, appare ragionevole supporre che un mondo come quello descritto avrebbe già dovuto essere localizzato da molto tempo, ormai. Che alcuni mondi delle ombre siano chiusi e insondabili è, naturalmente, noto a chiunque, ma il motivo per cui essi sono chiusi è ben noto e nessuno di essi è chiuso per l’esistenza di condizioni simili, in misura maggiore o minore, a quelle descritte nel quarto racconto.
Alcuni studiosi ritengono che il quarto racconto sia estraneo alla leggenda, sia stato inserito arbitrariamente in altre epoche e nulla abbia a che fare con l’opera nella sua integrità, e che si tratti di un elemento già esistente nella sua forma attuale, e incorporato nell’opera integralmente. È difficile accettare questa conclusione, poiché la storia si inserisce perfettamente nella leggenda, fornendo anzi uno dei principali cardini narrativi intorno ai quali ruota l’intera opera.
Il personaggio di Towser, che appare in questa storia, è stato più volte citato come esempio di contrasto con la fondamentale dignità della nostra razza.
Eppure, benché Towser possa non essere gradito a certi lettori troppo schizzinosi, egli serve bene come guida per l’umano di questa storia. È Towser, non l’umano, che per primo appare pronto ad accettare la situazione che si presenta; è Towser, non l’umano, il primo a comprendere. E la mente di Towser, non appena liberata dalla dominazione umana, è mostrata come uguale, se non superiore, a quella dell’umano.
Towser, per quanto possa essere perseguitato dalle pulci, è un personaggio del quale nessun Cane si deve vergognare.
Malgrado la sua brevità, il quarto racconto è probabilmente il più soddisfacente degli otto che compongono la leggenda. È una storia che si raccomanda automaticamente per una lettura attenta e meditata.
IV
DISERZIONE
Quattro uomini, due per volta, erano usciti nell’ululante maelstrom che era Giove, e non era ritornati. Avevano camminato sfidando i venti d’uragano che soffiavano lamentosi… o meglio, erano andati avanti a lunghi balzi, con il ventre a terra, e i fianchi bagnati e lucidi della pioggia battente.
Perché i quattro non erano usciti in forma di uomini.
Ora il quinto uomo era in piedi davanti alla scrivania di Kent Fowler, comandante della Cupola Numero 3, Commissione per l’Esplorazione di Giove.
Sotto la scrivania di Fowler, il vecchio Towser mosse una zampa e schiacciò una pulce fastidiosa, e poi si accucciò di nuovo, riprendendo placidamente a dormire.