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Clifford Simak

City

PREFAZIONE

Queste sono le storie che i Cani raccontano quando le fiamme bruciano alte e il vento soffia dal nord. Allora ogni famiglia si riunisce intorno al focolare, e i cuccioli siedono muti ad ascoltare, e quando la storia è finita fanno molte domande:

«Cos’è un Uomo?» chiedono.

Oppure:

«Cos’è una città?»

O anche:

«Cos’è una guerra?»

Non esiste una risposta precisa a nessuna di queste domande. Ci sono delle supposizioni e ci sono delle teorie e ci sono numerose ipotesi dotte, ma non esiste, in realtà, una vera risposta.

Nelle famiglie, non pochi narratori sono stati costretti a ripiegare sull’antica spiegazione, secondo la quale le storie non sono altro che storie, e non esistono, in realtà, né un Uomo né una città, e non bisogna cercare la verità in una semplice fiaba, ma accettarla solo per il piacere di sentirla narrare, e niente di più.

Spiegazioni di questo genere, pur essendo sufficienti a placare la curiosità dei cuccioli, non sono in realtà delle vere spiegazioni. È naturale che si cerchi una traccia di verità in queste semplici storie.

La Leggenda, che si compone di otto racconti, viene tramandata da secoli innumerevoli. Per quanto si è potuto appurare, non ha un punto d’inizio storico; lo studio più accurato non riesce minimamente a illustrarne le fasi di sviluppo. È dato per assodato, al di là di ogni ragionevole dubbio. che attraverso incalcolabili anni di narrazione essa sia divenuta stilizzata, ma non c’è modo di ricostruire la direzione di questo processo.

Che la leggenda sia antica e che, come sostengono alcuni autori, possa essere, almeno in parte, di origine non canina, è suffragato dall’abbondanza di particolari astrusità idiomatiche che infarciscono le storie… parole, frasi e (quello che è peggio) idee che oggi non hanno significato alcuno e che, forse, non ne hanno mai avuto neppure in passato. Attraverso innumerevoli generazioni di narratori, che le hanno narrate, ripetute e tramandate ai propri figli e ai figli dei propri figli, queste parole e queste frasi sono state assimilate e accettate ed è stato loro assegnato, in base a un’analisi del contesto, un certo valore arbitrario. Ma non esiste modo alcuno di sapere se questi valori arbitrari siano o meno vicini al significato originale delle parole, oppure se siano stati completamente travisati.

Questa edizione delle storie non si propone di addentrarsi nelle molte disquisizioni accademiche concernenti l’esistenza reale o presunta dell’Uomo, o l’enigma delle città, o le molte teorie relative alla guerra, e neppure si propone di indagare sui molti altri interrogativi che vengono ad assillare lo studioso il quale voglia cercare nella leggenda degli elementi di prova per stabilire un’ipotetica derivazione da qualche verità storica o assoluta.

Lo scopo di questa edizione è unicamente quello di fornire il testo fedele e integrale delle storie, nella versione che è giunta fino a noi attraverso i tempi. Le note che precedono i capitoli servono a sottolineare i maggiori punti di discussione e d’ipotesi, senza compiere però alcun tentativo di raggiungere o suggerire una conclusione. Per quei lettori che desiderassero acquisire una più completa documentazione sulla problematica dei racconti e sulle maggiori dispute sorte sulla loro interpretazione esiste un’amplissima letteratura, dovuta a Cani di ben maggiore competenza del compilatore del presente volume.

La recente scoperta di frammenti di quella che in origine deve essere stata una ben più vasta unità letteraria è stata usata da coloro che vorrebbero attribuire la leggenda, almeno in parte, alla mitica (e discussa) figura dell’Uomo — e non ai Cani — come prova attualissima a sostegno della loro teoria. Ma fino a quando non sarà dimostrata, in base a prove incontrovertibili, la reale esistenza dell’Uomo, l’ipotesi secondo la quale i frammenti ritrovati potrebbero avere origine dall’Uomo, è, ovviamente, di scarsissima rilevanza pratica.

Particolarmente significativo — o sconcertante, a seconda del punto di vista adottato — è il fatto che il titolo apparente del frammento letterario ritrovato di recente sia il medesimo di uno dei racconti che compongono la leggenda che qui presentiamo. La parola in se stessa, naturalmente, è totalmente priva di significato.

La prima domanda, evidentemente, riguarda l’effettiva esistenza di una creatura chiamata Uomo. Allo stato attuale delle cose, in mancanza di prove fattuali, la conclusione obiettiva e razionale non può essere che una: no, l’Uomo non è mai esistito, e la sua raffigurazione, nata dalla leggenda, appartiene alla spontanea mitologia del folklore. L’Uomo deve essere nato agli albori della civiltà canina come un essere immaginario, una specie di dio tribale, una entità astratta razionalizzata, nella quale i Cani primitivi potevano rifugiarsi per trovare conforto.

Malgrado queste conclusioni logiche e obiettive, comunque, esistono taluni che vogliono ravvisare nell’Uomo una autentica divinità primitiva, un visitatore giunto da qualche mistica terra o dimensione, il quale venne e rimase tra noi per breve tempo, per aiutarci, e quindi proseguì nel suo viaggio, ritornando forse nel luogo dal quale era giunto.

Esistono altri studiosi i quali credono che Uomo e Cane possano essersi evoluti come due razze animali legate da un vincolo di mutua cooperazione, complementari nello sviluppo di una civiltà e che in seguito, in qualche remoto punto del passato, essi abbiano raggiunto il momento in cui le loro strade si dividevano.

Tra tutti gli elementi inquietanti dei racconti (e non sono pochi) il più inquietante è l’implicito senso di sottomissione che il Cane prova per l’Uomo. È difficile, per il lettore medio, accettare questa sottomissione come un semplice artifizio narrativo. Questo senso di sottomissione, di sudditanza, va molto al di là dell’ovvia pratica di adorazione di una divinità tribale; il lettore avverte, quasi istintivamente, che esso deve essere profondamente radicato in qualche convinzione fondamentale o in qualche rito essenziale ormai dimenticato risalente alla preistoria della nostra specie.

Allo stato attuale delle cose, è chiaro, ci sono ben poche speranze che uno dei molteplici punti controversi affiorati nell’analisi della leggenda possa trovare una soddisfacente soluzione.

Ecco, perciò, i racconti, da leggere e interpretare nel senso che il lettore riterrà più opportuno… come semplice divertimento, come ricerca di qualche elemento di valore storico, come ricerca di qualche indizio di un significato nascosto. Il nostro unico avvertimento, rivolto al lettore medio, è questo: non bisogna prendere i racconti troppo sul serio, perché, in agguato lungo la strada, può esservi non soltanto la completa confusione, ma addirittura la follia.

ANNOTAZIONI SUL PRIMO RACCONTO

Non c’è dubbio che, tra tutti i racconti, il primo sia il più ostico per il lettore occasionale. Non soltanto per la sua nomenclatura astrusa, ma perché la logica e le idee in esso contenute appaiono, a una prima lettura, totalmente aliene. Questo può essere dovuto al fatto che in questo racconto, come nel successivo, non agisce — e neppure figura — alcun cane. Dal paragrafo di apertura di questo primo racconto il lettore viene immerso in una situazione completamente estranea alla sua mentalità, con protagonisti altrettanto estranei che agiscono fino alla soluzione. Bisognerà però spendere una parola in favore di questa storia… quando il lettore avrà raggiunto la fine della serie dei racconti, questa storia gli sembrerà, in confronto, addirittura domestica.

Il concetto dominante dell’intero racconto è quello della città. Mentre non si hanno elementi di conoscenza completi su quello che possa essere stata una città, o sul motivo della sua esistenza, in genere si tende ad ammettere che essa abbia potuto essere una parte ristretta di territorio che ospitava e alimentava un grande numero di abitanti. Alcuni motivi della sua esistenza vengono spiegati superficialmente nel testo, ma Salta, che ha dedicato tutta una vita allo studio della leggenda, è convinto che la spiegazione sia dovuta esclusivamente alle abili improvvisazioni alle quali è dovuto ricorrere un antico narratore per sostenere un concetto impossibile. Molti studiosi concordano con Salta sulla completa mancanza di logica delle ragioni fornite dalla storia e alcuni, tra i quali Vagabondo, sono giunti perfino a sospettare che ci si possa trovare di fronte a un’antica satira, della quale si è perduto il significato.