Sto giocando a Despot, ma sto pensando al sesso. Domani vedrò Y e non riesco a smettere di pensare al sesso. Ho un’erezione e me ne sto seduto, chino sul computer, al buio, nello studiolo dell’appartamento con la luce spenta, la radio accesa e il monitor inondato dalla grafica seducente delle schermate di Despot che si avvicendano con rassicurante dolcezza; la luce del monitor proietta l’ombra del cazzo sul ventre; ’sto fottuto affare continua a ostacolarmi e così cerco d’infilarlo sotto la scrivania, dove sfrega contro la struttura di metallo. Ma diventa freddo e non è per niente gradevole, così sono costretto a spingere indietro la sedia e ad appoggiarlo, ballonzolante e greve, sul bordo della tastiera, con la grossa testa porpora e l’unico occhio a fessura che mi guarda con aria ottusa e interrogativa, simile a un cucciolotto muto e caldo, e mi distrae. Continuo a pensare che dovrei farmi una sega, tuttavia non posso; voglio risparmiarmi per Y, non perché Y lo desideri in particolare, o perché questo influisca sulla mia prestazione, ma perché mi sembra importante, come parte del corretto rituale pre-coito.
Forse dovrei semplicemente mettermi un paio di mutande e tenere l’arnese sotto controllo… Ma mi piace starmene seduto qui, nudo, e sentire sulla pelle la dolce e tiepida brezza generata dalla ventola del termoconvettore nell’angolo.
E così, il piccolo grande uomo sta aspettando con ansia un caldo benvenuto sulle colline, un dolce ritorno nella profonda vallata (anche se è pronto ad accontentarsi di molto meno); nel frattempo, però, c’è il gioco, il quale minaccia di giocarsi da solo, visto che io sto facendo lo stesso. Despot infatti è interattivo, tuttavia, se lo lasci stare, lui continua a costruire il tuo mondo, sostituendosi a te; perché lui ti osserva, impara il tuo stile di gioco, impara a conoscerti, e fa del suo meglio per diventare te. Tutti i giochi del tipo «creatori di mondi» — quelli che simulano la vita o almeno qualche suo aspetto — se lasciati andare, sviluppano e cambiano lo scenario secondo le loro regole preprogrammate; Despot, invece, è l’unico che, con un minimo di addestramento, cerca davvero di emularti.
Accendo un’altra Silk Cut e sorseggio un po’ di whisky. Per il momento sto lontano dall’anfe, ma quando arriverò al prossimo livello-era (e ormai ci sono molto vicino), mi farò uno spinello. Tiro una lunga boccata e mi riempio i polmoni di fumo. Dalle sei di questa sera, da quando ho incominciato a lavorare per poi passare a Despot, ho fumato un pacchetto intero. Ho fatto fuori anche mezza bottiglia di whisky, e adesso sento la bocca ruvida, come se avessi bevuto sabbia.
Il fumo mi soffoca.
A volte mi succede, quando ho fumato troppo. Spengo la sigaretta nel posacenere e tossisco, poi guardo il pacchetto. È già da un po’ che penso di smettere. Continuo a pensare: Che scopo c’è a usare ’sta droga? Le uniche sigarette dalle quali traggo vero piacere sono le prime che fumo al mattino (cioè quando sono a malapena sveglio, per niente in condizione di godermele, e mi fa male il petto per il gran tossire), e talvolta quelle che fumo dopo qualche drink. Ah, sì, e quella che fumo dopo aver smesso da qualche giorno. O da qualche ora.
Afferro il pacchetto. La mia mano sembra chiudersi a pugno. Mi sembra di vedere il pacchetto che si accartoccia e si rimpicciolisce, come se lo stessi facendo veramente. Poi penso: Merda, ci sono soltanto cinque sigarette nel pacchetto, prima dovrei fumare quelle. Sarebbe uno spreco non farlo.
Ne tiro fuori un’altra, la accendo e inalo profondamente. Mi sento di nuovo soffocare e riprendo a tossire; il whisky e la lattina di Export che ho bevuto prima sciabordano nella pancia, e minacciano di tornare su. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Che droga stupida! Che droga totalmente inutile, cazzo! Non ti dà nessun vero piacere dopo la prima boccata, crea subito assuefazione ed è altamente letale; anche se non crepi per un cancro ai polmoni o per un infarto, puoi sempre aspettarti che, da vecchio, ti venga la cancrena alle gambe: pezzetti del tuo corpo marciscono, ancora attaccati, e muoiono a rate in vece tua, imputridendo e puzzando mentre tu sei ancora vivo, e allora devono tagliarteli via e, quando ti svegli dall’operazione, non soltanto respiri a fatica, ma dai anche fuori di testa per il dolore e per la voglia di una sigaretta. Nel frattempo, le marche di sigarette sponsorizzano eventi sportivi, si oppongono alla pubblicità che cerca di mettere al bando il fumo, e guardano con ansia a tutti quei nuovi mercati dell’Est europeo e dell’Oriente; sempre più donne fumano per dimostrare che anche loro possono essere vere teste di cazzo, mentre idioti in giacca e cravatta e con la segatura al posto del cervello vanno in televisione e annunciano: «Nessuno ha mai dimostrato che il tabacco possa causare il cancro», e te ne stai lì, a fremere di rabbia. Poi scopri che la Thatcher si è presa mezzo milione dalla Philip Morris per tre anni di consulenza e giuri che non comprerai mai più un loro prodotto; poi, alla fine della giornata, accendi un’altra sigaretta, inali il fumo come se ti desse un gran piacere, e invece aumenti solo i profitti di quei fottutissimi stronzi.
Okay. Mi sono incazzato abbastanza. Schiaccio il pacchetto. Non si accartoccia in maniera soddisfacente, perché dentro ci sono ancora delle sigarette, ma insisto e, con due mani, riesco a ridurlo a metà del suo volume iniziale. Poi vado in bagno, lo strappo, e rovescio le sigarette piegate e rotte nella tazza del water, tiro lo sciacquone e rimango a fissarle mentre si limitano per lo più a galleggiare, girando vorticosamente nel turbine d’acqua invece di sparire dalla mia vita come vorrei. Così m’inginocchio, infilo le mani nella tazza e, a uno a uno, spingo sott’acqua i miseri resti spezzettati e quel che rimane della carta e del tabacco, li spingo oltre la curva, in modo che rispuntino dall’altra parte, dove non posso vederli, poi lavo le mani e le asciugo; a quel punto, il serbatoio dello sciacquone è nuovamente pieno, allora lo tiro e questa volta l’acqua resta pulita e io posso finalmente respirare.
Apro il lucernario del bagno e quello dello studiolo per fare una bella corrente e resto lì a tremare dal freddo, poi m’infilo la vestaglia, assai soddisfatto di me stesso. Mi siedo al computer e scopro che, nel frattempo, il punteggio della mia era è calato un pochino, ma non m’importa: mi sento così virtuoso!
Respiro a fondo l’aria fredda della notte e comincio a ridere, facendo roteare il mouse sulla superficie della scrivania come se fosse diventato incontrollabile; mentre il piccolo folletto sullo schermo schizza dal pannello di controllo al display, afferrando icone e scagliandole come fulmini su tutto il mio Impero, costruendo strade, dragando porti, bruciando foreste, scavando miniere ed erigendo — ironia delle ironie, per mezzo dell’icona ICONA — altri templi a me stesso.
Un’orda di barbari, proveniente dalle inesplorate steppe del sud, cerca d’invadere i miei territori, e perdo un’ora per combattere e respingere quei bastardi; sono costretto a ricostruire la Grande Muraglia e soltanto dopo posso tornare a Corte per rilanciare la lungimirante strategia che ho messo a punto per indebolire il potere dei signori locali e della Chiesa. Secondo il mio piano, il palazzo deve diventare così sontuoso e pregno di lussuria che i baroni e i vescovi non potranno che abbandonarsi alla dissolutezza e al libertinaggio, rivelando così la loro intima corruzione, mentre la mia classe mercantile, grazie ai cauti sviluppi tecnologici da me favoriti, prospererà.
Mi faccio un altro whisky e una scodella di Coco Pops con tanto latte. La mano continua a dirigersi nel punto in cui dovrebbe trovarsi il pacchetto di sigarette, ma tengo a bada il desiderio e per il momento riesco a sopravvivere. Ho davvero voglia di un po’ di anfe, però so che, se cedo, dopo avrò voglia di una sigaretta, e così lascio stare.