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«Anche Vanunu lo era.»

«Già. Hmm. Interessante. Ti rendi conto, però, che c’è la possibilità che il tuo informatore sia un mitomane?»

«Già, è possibile.»

«Fino a ora si è rivelato attendibile?»

«No. È una fonte nuova, per quanto ne so. Mi ha dato una serie di nomi, punto e basta. Potrebbe benissimo essere un mitomane. È molto probabile, anzi. Voglio dire, tu non lo penseresti? Pensi che lo sia?» Sto parlando a vanvera. Improvvisamente mi sento molto stupido e un po’ nervoso.

«Hai detto che c’era un sesto nome», scandisce Neil. «Qualche indizio?»

«Di lui ho quello che il mio amico definisce il nome in codice.»

«E cioè?»

«Be’…»

«Cameron, giuro che non ho intenzione di fregarti lo scoop, se è questo che ti preoccupa.»

«No, certo», rispondo. «Questo lo so. È solo che… potrebbe anche essere un buco nell’acqua.»

«È possibile, ma…»

«Senti, Neil, mi piacerebbe parlarne con qualcuno.»

«E cioè?»

«Qualcuno dell’ambiente, capisci.»

«Qualcuno dell’ambiente», ripete con voce piatta.

Cristo, come vorrei avere una sigaretta! «Sì», ribadisco. «Qualcuno dell’ambiente. Qualcuno che lavora nei Servizi segreti. Qualcuno che mi guardi negli occhi e mi dica che l’MI6 o chi altri non ha avuto niente a che fare con ’sta storia. Qualcuno con cui possa parlare liberamente.»

«Hmm.»

Lascio che ci rifletta un po’. Alla fine, Neil dice: «Be’, di sicuro c’è qualcuno con cui parlare. Senti, mi rivolgerò a qualche mio contatto, per vedere che reazione ha. Ma so già che chiunque, prima di essere coinvolto, vorrà sapere con chi sta trattando. Vorrà sapere il tuo nome».

«Lo immaginavo. Non c’è problema, puoi dirglielo.»

«Bene. Allora ti farò sapere qual è stata la reazione, d’accordo?»

«D’accordo.»

«A dirti la verità, farebbe piacere anche a me interessarmene, sempre supponendo di non avere a che fare con un mitomane.»

«Okay», dico, scrutando il monitor e cercando di sbirciare oltre la libreria. A chi posso scroccare una sigaretta? mi domando. «Be’, sei molto gentile, Neil. Ti ringrazio molto.»

«Figurati. Senti, quand’è che vieni in città? Non è che voi Picti dovete chiedere un permesso di viaggio per muovervi, o qualcosa di simile?»

Arrivi a casa del signor Oliver, a Leyton, alle nove, come hai concordato con lui nel pomeriggio, durante l’incontro nel suo negozio di Soho. Ha avuto tutto il tempo di rientrare, di far cena, di guardare una delle sue soap opera preferite e di farsi una doccia. Il suo appartamento si trova al primo piano di un edificio in un gruppo di case a schiera in mattoni; al pianterreno c’è una fila di negozi, di ristoranti e di uffici. Premi il pulsante del citofono.

«Sì?»

«Signor Oliver? Sono Mellin. Si ricorda di me, questo pomeriggio?»

«Ah, sì. Venga.» La serratura scatta con un ronzio.

Dentro, oltre il pesante portone munito di una robusta serratura, l’atrio è coperto da una folta moquette e le pareti sono tappezzate con una carta in stile Regency dall’aspetto costoso. Alle pareti sono appesi paesaggi vittoriani con cornici molto elaborate. Il signor Oliver compare in cima alle scale.

È un ometto grassottello, con una carnagione giallastra e capelli così neri che sospetti siano tinti. Indossa un cardigan di cashmere sopra calzoni e panciotto. La camicia è di seta greggia. Fazzoletto da collo. Pantofole. Emana un forte profumo di Polo.

«Buonasera», gli dici.

«Salve», risponde lui con un accento molto strascicato. Quando arrivi in cima alle scale, lui fa un passo indietro, ti porge una mano grassottella e intanto ti squadra da capo a piedi. Preferiresti che la luce — proveniente da un lampadario in miniatura appeso nell’ingresso — fosse meno forte. I baffi ti fanno il solletico sotto il naso. Gli stringi la mano. La stretta del signor Oliver è umidiccia, ma piuttosto decisa. Il suo sguardo si posa sulla cartella rigonfia che tieni nell’altra mano. «Si accomodi», dice, e con un cenno t’invita a entrare.

Il salotto è un po’ pretenzioso. Il signor Oliver predilige tappeti bianchi e folti, divani in pelle nera, tavolini tutti in acciaio e cristallo, e un sistema HI-FI integrato con televisione, stereo e videoregistratore che occupa quasi tutta una parete.

«Si sieda. Gradisce un drink?» dice il signor Oliver, con la sua strana parlata, così strascicata che fai quasi fatica a capire le parole.

Ti siedi sul bordo di una poltrona di pelle, chino in avanti, con l’aria un po’ tesa e la cartella posata sulle ginocchia. Indossi un abito da quattro soldi e hai ancora i guanti infilati.

«Hmm, be’, sì, grazie», rispondi, cercando di sembrare nervoso e poco sicuro di te. Nervoso lo sei, ma non per il motivo che vuoi fargli credere.

Il signor Oliver va verso un mobile bar in cristallo scuro e metallo cromato. «Che cosa preferisce?»

«Hmm, avrebbe del succo d’arancia?»

Il signor Oliver ti studia e ripete: «Succo d’arancia». Si china per aprire il piccolo frigorifero alloggiato nel mobile bar.

Si prepara una vodka con Coca-Cola e si siede sul divano alla tua sinistra. Hai l’impressione che ti stia fissando in maniera strana, e hai paura che il tuo travestimento non sia riuscito a ingannarlo. Tossisci nervosamente.

«Dunque, signor Mellin», fa lui. «Che cos’ha portato per me?»

«Be’…» incominci, mentre ti guardi in giro. Sei rimasto a sorvegliare la casa per tutto il pomeriggio e sei convinto che nell’appartamento non ci sia nessun altro, ma non ne sei matematicamente certo. «Come le ho già detto, hmm… al negozio, si tratta di materiale un po’… speciale. Un materiale per il quale, mi risulta, c’è una certa richiesta.»

«Speciale in che senso?»

«Be’… è… come dire… di… di natura violenta. Anzi, molto violenta. Con… con la partecipazione di… bambini. Mi hanno detto che lei… che lei potrebbe… che lei tratta questo genere di… hmm… articolo.»

Il signor Oliver increspa le labbra. «Be’, bisognerebbe essere idioti per dire in giro una cosa simile, non pensa? Insomma, nessuno confesserebbe una cosa del genere a un estraneo, capisce che intendo?»

«Oh», fai tu, con aria delusa. «Quindi lei non…»

«No, non ho detto niente. Le sto soltanto dicendo che bisogna essere molto… prudenti, capisce?»

«Ah.» Annuisci. «Sì. Sì, certo. Certo, bisogna essere… prudenti. Capisco. Capisco cosa intende.»

«Perché non mi fa vedere quello che ha portato? Daremo un’occhiata e poi decideremo, eh?»

«Sì. Bene. Certo. Hmm… quello che le ho portato è… hmm… soltanto una parte, giusto per darle un’idea, ma credo che dimostri ampiamente…»

«Un video, giusto?»

«Sì, esatto. Un video.» Apri la cartella, tiri fuori una cassetta VHS60, e gliela porgi, alzandoti, dopo aver posato la valigetta sul pavimento di fianco a te.

«Grazie.» La prende e va verso il videoregistratore. Tu rimani immobile, in piedi.

La cassetta non entra. Senti gemere il meccanismo del videoregistratore. Il signor Oliver si china per guardare meglio. Gli vai dietro.

«Hmm, c’è qualche problema?» chiedi.

«Sì, sembra che non…»

La cassetta non entra perché tu hai incollato lo sportellino che protegge il nastro. Il signor Oliver non riesce a finire la frase. Lo colpisci alla nuca con lo sfollagente. Però, dato che stava girando la testa verso di te, il colpo non va perfettamente a segno.

Cade di lato; con una mano cerca di attaccarsi ai componenti dell’HI-FI, ma riesce solamente a spingere il lettore CD e l’amplificatore contro il muro. «Cosa…» annaspa. Con lo sfollagente gli assesti un colpo in pieno viso, rompendogli il naso; poi, mentre l’uomo scivola a terra, gli schiacci l’inguine con un piede. Si piega in due, e si affloscia di lato sul pavimento, ansimando e boccheggiando.