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Sir Rufus Caius St. Leger Carter, per chiamarlo con il suo titolo completo e meravigliosamente inglese, sta sbavando sul pavimento polveroso.

Gli togli una scarpa e una calza, gli infili in bocca la calza appallottolata e gli sigilli le labbra con il nastro adesivo da carrozziere. Ci rifletti un attimo, punti la sparachiodi contro il polso della manica destra, proprio sopra il punto in cui la parte superiore del polso si congiunge con le ossa del braccio; il punto in cui i chiodi non si possono strappar via. Non sai neppure tu se farlo o no; i chiodi attraverso gli abiti lo terranno comunque immobilizzato, come un moderno Gulliver vestito da Armani; non c’è dunque bisogno d’inchiodargli anche le braccia. Sei convinto che sia più elegante usare la sparachiodi, ma non per fare la cosa più ovvia. Scuoti la testa e la metti via.

Lui geme, apre lentamente gli occhi e cerca di muoversi: non ci riesce, è ovvio. Le urla gli escono dal naso. Ormai ti stai abituando a questo rumore.

Lasci che urli e si agiti per un po’, intanto vai in cucina e, da lì, nel ripostiglio: vicino alla porta sul retro ci sono un paio di bombole di gas. Servono per la cucina e per il riscaldamento del cottage. Una è vuota, in attesa di essere ritirata. L’altra sembra piena. La fai rotolare fino al punto in cui si trova Sir Rufus, il quale, benché inchiodato al pavimento del soggiorno, sta facendo un gran casino. L’ambiente è molto freddo, eppure lui sta sudando. Un angolo del nastro adesivo che gli chiude la bocca si è staccato, e lui sta cercando di urlare qualcosa, ma non si capisce una parola.

Trascini una poltrona fin dove lui possa vederla, vicino al caminetto di pietra scura. Fai rotolare la bombola fino alla poltrona, poi la sollevi e l’appoggi ai braccioli, contro lo schienale. C’è il rischio che la poltrona si rovesci all’indietro, allora la spingi contro il caminetto, in modo che resti ferma. Sir Rufus sta ancora cercando di togliersi il bavaglio. Frughi nello zaino e tiri fuori la valvola e il pezzo di tubo di gomma che ha attaccato un cannello di ottone. Li colleghi alla bombola.

Si sente un rumore secco alle tue spalle, come se Sir Rufus stesse sputando. «Senta! Per amor del cielo! Cosa sta facendo? Sono ricco, posso…»

Ti avvicini a lui, gli piazzi un piede sopra la testa e versi altro etere sull’assorbente.

«Senta! Posso procurarmi del denaro! Cristo! No…!»

Gli premi l’assorbente sulla faccia. Oppone resistenza, si dibatte per un po’, quindi si affloscia. Gli metti un’altra striscia, più lunga, di nastro adesivo sulla bocca.

Ci vuole un po’ a sistemare il cannello sul sedile della poltrona. Poi, mentre stai provando il flusso di gas, senti un rumore, una specie di fischio seguito da un conato; ti giri in tempo per vedere due rivoletti di vomito che zampillano dalle narici di Sir Rufus e schizzano sulle assi del pavimento.

«Merda!» sussurri. Ti precipiti verso di lui, e gli strappi dalla bocca il nastro adesivo.

Boccheggia e sputacchia, sembra che stia per soffocare. Ha un altro conato; il vomito gli esce dalla bocca e si riversa sul pavimento. Senti odore d’aglio. Tossisce ancora un po’, poi riprende a respirare più normalmente.

Quando comincia a emettere suoni quasi comprensibili, e quando sei sicuro che non annegherà nel proprio vomito, lo afferri per quei pochi capelli che ha sulla nuca e gli giri il nastro adesivo intorno alla testa un paio di volte, chiudendogli nuovamente la bocca.

Riponi la tua roba nello zaino, mentre lui si muove, prima lentamente, poi con maggior energia, e i rumori gli escono dal naso prima deboli, poi più forti: gemiti, seguiti da quelle che, se potesse aprire la bocca, sarebbero urla.

Ti accucci di fianco alla poltrona, dove il tubo di gomma della bombola scende e fa un’ansa prima di terminare nel cannello. Posata sul cuscino della poltrona c’è la grata di ferro del caminetto; ha un’aria tetra, e indubitabilmente è fuori posto. Hai legato il cannello di ottone alla grata con il fil di ferro, puntandolo contro la superficie rossa e graffiata della bombola di gas circa quindici centimetri più sopra.

La testa di Sir Rufus è a circa un metro e mezzo dalla poltrona. La può vedere bene.

«Bene, Sir Rufus», dici, giocherellando con un ricciolo immaginario, e sempre imitando il cantilenante accento gallese. Dai un colpetto alla bombola. «Lei sa cos’è un blevey, vero?»

Sembra che gli stiano per schizzare gli occhi fuori dalle orbite. La voce, uscendo dal naso, risulta strozzata.

«Ma certo che lo sa», prosegui, sorridendo dietro il passamontagna e annuendo. «Quella nave, quella sua gasiera — be’, non sua, della sua società — ne ha provocato proprio uno quando è saltata in aria nel porto di Bombay, giusto?» Annuisci ancora; è una costante oscillazione della testa, un continuo dondolio che associ alla parlata gallese. «Un migliaio di morti, mi pare, no? Be’, però si trattava solo d’indiani. Siete ancora in causa, no? È una vera vergogna che queste cose richiedano sempre tanto tempo, no? Certo, modificare la struttura della società, far figurare che la nave era l’unico bene, insomma, questo le rende la vita un poco più facile, no? Immagino che resterà ben poca disponibilità per i risarcimenti.»

Tossisce con il naso, poi starnutisce e sembra che stia cercando di dire qualcosa.

«Cose terrificanti, i blevey, dicono.» Scuoti la testa. «Si è mai chiesto che effetto deve fare, da vicino?» Annuisci di nuovo. «Io, sì. Be’…» Ti volti e dai un colpetto alla bombola grossa e fredda «…ecco, ne ho preparato uno tutto per lei.»

Giri il rubinetto zigrinato della valvola. Il gas esce sibilando piano. Prendi un accendino dalla tasca e lo avvicini alla bocca del piccolo cannello di ottone legato alla grata. Lo azioni e il gas prende fuoco: una fiammella gialla e blu diretta contro la bombola.

«Oh», prosegui, «è un po’ troppo basso, non le pare, Sir Rufus? Potrebbe volerci tutta la notte!» Giri lentamente il rubinetto della valvola finché il getto esce con un ruggito e la potente fiamma gialla e blu colpisce la superficie curva della bombola, avvolgendola completamente. «Così va meglio.» Ora Sir Rufus sta proprio urlando e ha la faccia tutta rossa. Speri che non gli venga un infarto prima dell’esplosione. Sarebbe… be’, sarebbe esattamente quello che ci si può aspettare da un tipo come Sir Rufus: cavarsi fuori da una situazione scomoda usando una scappatoia. Peccato che tu non possa restare lì per vedere come va a finire.

Ti dirigi alla porta d’ingresso e dai una rapida occhiata in giro con il visore notturno; senti il rombo distante proveniente dal soggiorno e ti tremano le mani, anche se sai che ci vorrà ancora un po’, e senti le sue urla deboli, quasi infantili.

Sta ancora piovendo. Chiudi la porta a chiave e ti allontani veloce nella notte.

Cinque minuti più tardi, mentre stai per avviare la moto e cominci a preoccuparti che qualcosa non abbia funzionato, che Sir Rufus sia riuscito in qualche modo a liberarsi, che il getto di gas si sia esaurito, che la sua amante sia arrivata prima del previsto e che avesse una chiave, o che qualcos’altro sia andato storto, un’esplosione squarcia il silenzio, una luce fiabesca rischiara la notte, illuminando tutta la vallata spazzata dagli scrosci e le nuvole basse cariche di pioggia. Una piccola nube di gas incandescente si solleva e si gonfia nell’oscurità come un fungo luminoso. Metti in moto e ti allontani, mentre il rombo dell’esplosione rimbalza ancora tra le colline gallesi.

«Bene, signor Colley, sarà meglio che le spieghi perché siamo qui.»

«A me sta bene», dico, con un po’ più di sicurezza di quella che sento.

L’ispettore McDunn e il sergente Flavell sono seduti di fronte a me, dall’altra parte del tavolo della sala riunioni. La sala riunioni del Caley si trova proprio sopra l’ufficio del direttore, nella mansarda ricavata sotto il tetto spiovente dell’edificio. La sala ha un imponente soffitto a cassettoni ed è arredata con un tavolo massiccio, dall’aria veneranda, e con sedie che sembrano riproduzioni in scala della poltrona regale che si trova nell’ufficio del direttore. Le pareti sono coperte da pannelli di quercia; vi sono appesi ritratti mediocri ed estremamente formali dei precedenti direttori, volti severi che ti fissano per ricordarti che questo è uno dei più vecchi giornali del mondo. Trovandosi ancora più in alto dell’ufficio del direttore, la sala gode di una vista persino più suggestiva, ma, sebbene io non sia mai entrato qui dentro, non mi perdo troppo a guardare fuori dalla finestra.