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L’ispettore è un uomo massiccio, con i capelli scuri, e un accento che sembra per metà di Glasgow e per metà inglese. Indossa un abito scuro e un cappotto nero. Il giovane sergente Flavell, cui è affidato il compito di portare una valigetta non proprio di lusso, potrebbe essere un Richard Gere con i baffetti, ma la giacca a vento blu trapuntata che indossa sopra l’abito rovina tutto l’effetto. Se non altro, però, lui sta caldo. Ho lasciato la giacca in redazione, sullo schienale della mia sedia, e quassù fa freddo. Quando sono arrivato nel suo ufficio, Eddie mi ha presentato i due poliziotti, ha detto che volevano scambiare qualche parola con me e ha suggerito che ci servissimo della sala riunioni.

L’ispettore si guarda intorno. «Immagino che si possa fumare qua dentro, no?» chiede.

«Penso di sì.»

Il sergente Flavell vede un posacenere sul davanzale di una finestra e va a prenderlo. L’ispettore si accende una Benson Hedges. «Fuma?» mi chiede, vedendo che lo fisso.

Scuoto la testa. «No, grazie.»

«Dunque, signor Colley», dice l’ispettore in tono pratico. «Stiamo indagando su una serie di gravi aggressioni e di omicidi, e su altri crimini collegati. Pensiamo che lei potrebbe essere in grado di aiutarci e vorremmo farle qualche domanda, se non le dispiace.»

«Assolutamente no», replico, inspirando a fondo mentre la nuvola di fumo che si alza dalla sigaretta di McDunn passa sopra il tavolo e viene verso di me. Ha un buon odore.

«Sergente, le spiace…?» dice McDunn.

Il sergente prende dalla valigetta una busta gialla formato A4 e la porge all’ispettore, il quale ne estrae un foglio e me lo porge. «Immagino che lei riconosca questo.»

È la fotocopia di una recensione televisiva che ho scritto circa quindici mesi fa. Non è esattamente il mio campo, ma il tizio che se ne occupa di solito si era beccato un’infezione a un occhio e io avevo colto volentieri l’occasione per esprimere un mio parere. «Sì, l’ho scritto io», dico, sorridendo. Diamine, c’è il mio nome in testa all’articolo, proprio vicino al titolo: UN GIUSTIZIERE RADICALE?

L’ispettore McDunn fa un debole sorriso. Rileggo il pezzo mentre i due mi osservano.

Rileggendolo, ricordo e sento che mi si rizzano i peli sulla nuca. Non mi succedeva da almeno vent’anni.

«Allora?» chiedo, porgendoglielo.

L’ispettore scorre il foglio per un attimo e poi legge a voce alta: «’Forse qualcuno dovrebbe realizzare una di queste trasmissioni per quelli di noi che sono stufi di veder puniti i soliti sospetti (padroni di casa corrotti, giovani che fanno abuso di sostanze stupefacenti e, ovviamente, l’inevitabile spacciatore di droga: tutti individui riprovevoli, malvagi, senza dubbio, ma troppo prevedibili, troppo facili) e regalarci un Vero Vendicatore, un Giustiziere Radicale che si scagli contro altri cattivi. Qualcuno che dia a gente come James Anderton, il giudice Jamieson e Sir Toby Bissett quello che si merita, ripagandola con la sua stessa moneta, qualcuno che attacchi i truffatori legalizzati e i trafficanti d’armi (compresi i ministri della Corona… Capito, signor Persimmon?), qualcuno che si opponga ai magnati che privilegiano il loro profitto a danno della sicurezza degli altri, come fa Sir Rufus Carter. Qualcuno che punisca i capitani d’industria che continuano a ripetere a pappagallo il vecchio adagio secondo il quale viene prima l’interesse dei loro azionisti, e intanto chiudono fabbriche in attivo e gettano in strada migliaia di lavoratori, in modo che i loro ricchi investitori che vivono nelle contee intorno a Londra o a Marbella possano guadagnare quel piccolo extra che fa sempre così comodo — vero, tesoro? — quando si pensa di cambiare la macchina e di prendere una BMW serie 7 oppure di trasferire lo yacht in un porticciolo più chic.’» L’ispettore mi rivolge un sorriso fugace e senza allegria. «Quindi l’ha scritto lei, signor Colley?»

«Colpevole», ammetto, e faccio una risatina. Nessuno dei due scoppia a ridere fragorosamente, né si batte le mani sulle ginocchia per il divertimento o è costretto ad asciugarsi le lacrime dagli occhi. Mi schiarisco la gola. «Come sta quel simpaticone del signor Anderton? Si sta godendo la pensione?» Mi appoggio allo schienale, e sento gli intagli del legno contro la schiena. Ho freddo.

«Sta bene, signor Colley», dice l’ispettore, infilando la fotocopia dell’articolo nella busta e porgendola al sergente. «Sta bene, credo.» McDunn intreccia le dita delle mani posate sul tavolo davanti a sé. «Ma il giudice Jamieson e sua moglie hanno subito un’aggressione, quest’estate, mentre erano in vacanza a Carnoustie; e, come lei saprà, Sir Toby Bissett è stato assassinato sui gradini della sua abitazione di Londra lo scorso agosto, mentre il signor Persimmon è stato ucciso un mese fa, nella sua casa nel Sussex.»

Sto strabuzzando gli occhi, me ne rendo conto. «Cosa?» esplodo. «Giuro che non lo sapevo! Non è trapelato niente a proposito di Persimmon… Pensavo che fosse morto in pace nel suo letto!»

«Come lei certamente comprenderà, signor Colley, c’era un problema di sicurezza connesso alla morte del signor Persimmon.»

«E siete riusciti a tenerla nascosta per un mese?»

«Avevamo bisogno di un necrologio su uno dei giornali di Londra», spiega il sergente, facendo una smorfia ironica. «Ma si sono dimostrati disposti a collaborare.»

E non si è neanche saputo niente dal tam-tam della giungla dei giornalisti. Merda. Doveva trattarsi del Telegraph.

«E poi, venerdì notte, qualcuno ha fatto saltare per aria Sir Rufus Carter mentre si trovava nel suo cottage nel Galles. Era carbonizzato. Sono riusciti a malapena a identificare il corpo.»

Per un attimo non reagisco. Oh, Dio mio. «Ah, scusi, come ha detto?»

Ripete la frase e poi chiede: «Le dispiace se le chiediamo che cos’ha fatto venerdì sera, signor Colley?»

«Come?… Ah, sono rimasto a casa.»

Il sergente Flavell rivolge un’occhiata significativa all’ispettore, che, però, non la ricambia. Fa uno strano rumore con la bocca, come se aspirasse aria tra i denti, come se avesse infilato qualcosa fra un dente e l’altro e cercasse di toglierlo. Non credo che lo faccia consapevolmente. «Tutta la notte?» chiede.

«Eh?» Sono un po’ distratto. «Sì, tutta la notte. Stavo… lavorando.» Capisco che ha notato la mia esitazione. «E giocando al computer.» Guardo l’ispettore e poi il sergente. «Non c’è una legge che impedisce di giocare al computer, vero?»

Cristo, che stronzata! Mi sento un ragazzino davanti al preside, mi sembra di essere tornato a quella volta in cui Sir Andrew mi strapazzò a causa della mia fallimentare trasferta nel Golfo. Già allora era stata dura, ma questa volta è una cosa spaventosa. Non riesco a credere che mi stiano davvero rivolgendo ’ste domande. Non penseranno mica che sia un assassino? Sono un giornalista. Sono cinico, insensibile e via discorrendo, faccio uso di droga, guido troppo forte e odio i Tories e tutti i loro lacché, ma non sono un fottuto assassino, per Dio! Il sergente tira fuori un taccuino e incomincia a prendere appunti.