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«Ehi, dammi una mano, vecchio bastardo.»

Guardo giù e vedo la testa e le mani di Iain Garnet. Sta agitando le braccia in segno di saluto.

«Come al solito ci seguite, eh, Iain?» gli chiedo, mentre lo aiuto a salire sul container dallo stesso barile che ho usato io.

«Vaffanculo, Colley», risponde Garnet, amabile come sempre, e si china per togliersi la polvere dalle ginocchia dei calzoni. Iain lavora per il nostro concorrente di Glasgow, il Dispatch. È vicino ai quaranta, grassoccio in vita ma piccolo di spalle. Sopra l’abito grigio stazzonato indossa quella che sembra proprio una vecchia giacca a vento degli anni 70. Fa un cenno con la testa in direzione della sigaretta che tengo tra le labbra. «Me ne dai una?»

Quando vede il pacchetto che gli porgo, arriccia il naso con aria disgustata, ma ne prende una lo stesso. «Cristo, Cameron! Silk Cut? La sigaretta per quelli che vogliono convincersi che stanno per smettere? E io che ti consideravo uno degli ultimi seri candidati al cancro ai polmoni! Che ne è delle Marlboro?»

«Quelle sono per i cowboy come te», gli dico, accendendogli la sigaretta. «E che ne è delle tue?»

«Le ho dimenticate in macchina», spiega. Ci voltiamo a osservare la piccola armada che avanza sulla distesa azzurra e scintillante intorno al gigantesco sottomarino. Il Vanguard è ancora più grosso di quanto mi aspettassi. Enorme, grasso, nero, come il più grosso e il più nero dei lumaconi, con qualche pinnetta messa qui e là, come per un ripensamento. Sembra quasi troppo grosso per entrare nello stretto davanti a noi.

«Bella bestia, eh?»

«Mezzo milione di sterline per sedicimila tonnellate…»

«Lo so, lo so», borbotta Iain con aria depressa. «E lungo come due campi da calcio. Non avresti qualcosa di più originale

Mi stringo nelle spalle. «Non te lo dico. Leggiti l’articolo domani.»

«Che bambinone.» Si guarda intorno. «Dov’è il tuo uomo con l’Instamatic?»

Accenno con la testa a un piccolo motoscafo fermo vicino all’imbocco dello stretto. «Sta scattando un po’ di foto con il grandangolo. E il tuo?»

«Io ne ho due», dice Iain. «Uno è qui, da qualche parte, l’altro è lassù, su un elicottero, insieme a quelli della BBC.»

Alziamo la testa. Conto quattro Sea King della marina. Iain e io ci guardiamo.

«Esagerati! Persino l’elicottero!» esclamo.

Lui alza le spalle. «Probabilmente stanno discutendo su chi deve dare la mancia al pilota.»

Torniamo a osservare il sottomarino. Le barche dei dimostranti continuano a puntare diritte verso il Vanguard, e ogni volta vengono respinte dalle imbarcazioni del ministero della Difesa; gli scafi di gomma sbattono l’uno contro l’altro per poi allontanarsi, sobbalzando sulle onde. Il naso tozzo del sottomarino della classe Trident avanza implacabile verso l’imbocco del canale, preceduto dal rimorchiatore. Alcuni marinai se ne stanno tranquilli sul ponte dell’enorme nave, con indosso giubbotti salvagente gialli, alcuni a prua dell’alta torretta, altri a poppa. La gente sulla lingua di spiaggia davanti a noi urla e fischia. Magari qualcuno sta facendo festa.

«Prestami un attimo il binocolo», dice Iain.

Glielo porgo e lui lo punta sul rimorchiatore che lentamente apre la strada al sottomarino. Roisterer, si chiama.

«Come vanno le cose al Caley?» chiede Iain.

«Oh, sempre allo stesso modo.»

«Uau!» esclama, distogliendo lo sguardo dal binocolo e assumendo un’espressione sorpresa. «Attento. Sei sicuro di volerlo ripetere? Sto registrando tutto, sai.»

«Sta’ attento tu, giornalista da strapazzo.»

«I vostri ragazzi della costa orientale sono semplicemente invidiosi del nostro sistema informatico perché funziona.»

«Eh, come no.»

Osserviamo la lunga sagoma palesemente fallica scivolare nello stretto e, per un attimo, lo scafo nasconde alla nostra vista la piccola folla radunata sulla lingua di terra di fronte a noi. Minuscole teste con il cappello escono dalla torretta e guardano nella nostra direzione. Saluto con la mano. Uno di loro risponde. Provo una strana, colpevole felicità. Gli elicotteri fanno un sacco di rumore sopra le nostre teste; il movimento circolare delle imbarcazioni dei dimostranti e del ministero della Difesa risulta limitato dalle dimensioni del canale; i gommoni danzano e sobbalzano uno intorno all’altro, spesso scontrandosi. Sembrano otto spastici che cercano di ballare una quadriglia, ma non è un’immagine che userei in un articolo.

«Bella dimostrazione, ieri, a Londra, eh?» fa Iain, restituendomi il binocolo.

Annuisco. Ieri sera ho visto in televisione le immagini di migliaia di persone bagnate fradice percorrere lentamente le strade di Londra per protestare contro la chiusura delle miniere.

«Già.» Spengo la sigaretta schiacciandola con la scarpa sul tetto arrugginito del container. «La gente si è resa finalmente conto che Scargill aveva ragione. Peccato che c’è arrivata dopo sei anni, quando ormai è troppo tardi.»

«Lui però è uno stronzo arrogante.»

«Non importa. Aveva ragione lui.»

«Comunque rimane uno stronzo arrogante», ribadisce Garnet e fa un gran sorriso.

Scuoto la testa e indico la nave guardapesca che chiude la flottiglia ormai prossima a infilarsi nello stretto. «Che ne pensi, è meglio dire che la nave è in coda al sottomarino o che gli va di poppa? In termini marinareschi, intendo dire.»

Socchiudendo gli occhi, Iain osserva la nave, mentre lo scafo del sottomarino continua a sfilarci davanti. Capisco che sta cercando disperatamente una battuta, sta pensando che ce ne deve essere qualcuna sul genere: «No, gli va in culo», o qualcosa di egualmente stiracchiato, ma entrambi i termini si prestano poco a battute intelligenti; evidentemente se ne rende conto anche lui perché si limita a stringersi nelle spalle. «Non ne ho la più pallida idea, amico», dice, e tira fuori il taccuino.

Comincia a scarabocchiare ghirigori. Garnet deve essere uno degli ultimi che usano la stenografia; sono pochi quelli della nostra generazione che si fidano ancora di Pitman, i più preferiscono affidarsi ai Pearlcorder Olympus.

«Sei sempre senza una rubrica fissa, Cameron?»

«Già, sono un segugio in cerca di notizie, senza rubrica e senza portafoglio.»

«Hmm… Ho sentito dire che hai un animaletto tra i governativi che ogni tanto ti dà qualche bel bocconcino, vero, Cameron?» ridacchia Garnet, imperturbabile, senza alzare gli occhi dal taccuino.

«Cosa?» Lo guardo con occhi spalancati.

«Un bell’animaletto peloso», mi fa, rivolgendomi un sorriso a trentasei denti.

Continuo a fissarlo.

«Un animaletto peloso che vive sottoterra e si nutre d’insetti. Non ci arrivi?» Scuote la testa per la mia lentezza. «Una talpa», chiarisce infine con tono paziente.

«Oh?» dico, sperando di apparire adeguatamente meravigliato.

Fa l’aria offesa. «Allora, è vero?»

«Vero cosa?»

«Che hai una talpa nei servizi di sicurezza o in qualche altro ente altrettanto supersegreto che ti passa ghiotte primizie a proposito di una grossa storia che sta per venire a galla?»

«No», rispondo, scuotendo la testa.

Mi sembra deluso.

«Chi te l’ha detto?» gli chiedo. «Frank?»

Aggrotta la fronte, spalanca la bocca fino a formare una O perfetta e inspira a fondo. «Spiacente, Cameron, ma non posso assolutamente rivelare le mie fonti.»