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Cerco di esaminare l’interno della casa attraverso le finestre, ma sono coperte con quelle tapparelle esterne di plastica che usano in Francia oppure schermate dall’interno con veneziane.

Torno alla macchina, pensando che forse il signor Azul è uscito un attimo e ritornerà. Naturalmente è anche possibile che lo abbia mancato del tutto e che sia già partito per il suo viaggio. Gli darò tempo mezz’ora, magari un’ora, poi chiamerò il giornale locale e chiederò di parlare con il contatto di Frank. Prendo in considerazione l’idea d’ingannare l’attesa con il giochino che ho comprato a Inverness, ma i casi sono due: o non mi ha ancora preso a sufficienza, oppure il mio palato sofisticato me lo ha già fatto venire a noia.

Mi viene il dubbio che ci sia qualcosa che non va nel mio piano d’attesa, e chiudo gli occhi per farli riposare un poco, ma, mentre sbadiglio e m’infilo le mani sotto le ascelle, penso che un riposino non è poi una brutta idea, purché non mi addormenti.

Andy corre sul ghiaccio. Io ho cinque anni; lui, sette. Strathspeld è tutta coperta di neve, il cielo è immobile e splendente, il sole è nascosto da una foschia abbagliante, radiosa, e la luce pare trattenuta dagli strati di nuvole alte che dominano la gelida distesa bianca. Le cime delle montagne sembrano arrotondate, gli spuntoni di roccia paiono sfregi violenti tracciati contro il bianco. Anche le colline e i boschi sono imbiancati, gli alberi sono coperti di ghiaccio, e il lago è duro e soffice al contempo: infatti è completamente ghiacciato, ma sotto uno strato di neve fresca. Qui, oltre il giardino della grande casa, il bosco e i laghetti ornamentali, il lago si restringe e diventa nuovamente un fiume, s’incanala serpeggiante e tumultuoso verso le rocce e le cascate, oltre la gola poco profonda più a valle. Da qui, di solito, si sente in lontananza il fragore delle cascate, ma oggi c’è solo silenzio.

Osservo Andy che corre. Gli grido qualcosa, però non lo seguo. Su questo lato l’argine è basso, solo mezzo metro al di sopra della bianca distesa del fiume coperto di neve. L’erba e le canne intorno a me sono schiacciate dall’inattesa nevicata notturna. Sull’altro lato, nel punto verso cui Andy si sta dirigendo, l’argine è alto e ripido; l’acqua ha eroso la collinetta, ha trascinato via sabbia, ghiaia e pietre, lasciando una sorta di sporgenza di terreno con le radici degli alberi che spuntano libere, messe a nudo; la chiazza di ghiaia scura sotto la sporgenza irregolare è l’unico punto visibile che non sia coperto dalla neve.

Andy corre e urla; le falde del cappotto svolazzano, le mani sono coperte dai guanti, le braccia sono spalancate, la testa è piegata all’indietro, le orecchie del berretto sbattono come ali. È quasi a metà strada e, all’improvviso, la paura e il dispetto che ho avvertito in precedenza si tramutano in gioia, esaltazione, ebbrezza. Ci avevano detto di non venire in questo posto; potevamo giocare con la slitta, tirarci palle di neve e fare pupazzi di neve fin che volevamo, ma non dovevamo assolutamente avvicinarci al lago e al fiume, perché c’era pericolo che vi cadessimo dentro. Eppure, dopo aver giocato per un po’ con la slitta sul pendio vicino alla fattoria, Andy ha voluto venirci comunque; nonostante le mie proteste, abbiamo attraversato il bosco e siamo arrivati fin qui; allora ho detto: «E va bene, a patto che guardiamo soltanto». Ma Andy ha cacciato un urlo, è saltato giù dall’argine sulla riva innevata e si è messo a correre sulla superficie perfettamente piatta del fiume, diretto verso l’altra riva. Sulle prime ero arrabbiato con lui, avevo paura per lui, ma ora, improvvisamente, provo un gran senso di gioia, vedendolo correre là in mezzo, nella distesa fredda e piatta del fiume immobile, libero, caldo e vivace nel silenzio gelido e ovattato.

Penso che ce l’ha fatta, che è arrivato dall’altra parte del fiume, e avverto dentro di me un trionfale senso di gregaria soddisfazione, quando sento un rumore secco. Andy è caduto. Penso che sia inciampato, che sia caduto in avanti, ma non è sdraiato sulla neve, è affondato fino alla vita in una pozza scura che si sta allargando nel bianco tutto intorno a lui. Andy sta lottando, cerca di uscirne. Non riesco a credere che stia succedendo, non riesco a credere che Andy non riuscirà a saltar fuori con un balzo. Ora sto urlando di paura, sto urlando il suo nome.

Andy continua a lottare, girando su se stesso e affondando sempre di più, mentre pezzi di ghiaccio s’impennano nell’aria creando piccoli spruzzi di neve, e lui cerca disperatamente di trovare un appiglio per tirarsi fuori. Sta urlando, mi sta chiedendo aiuto, eppure quasi non lo sento, perché sto gridando così forte da farmela addosso per lo sforzo di lasciar uscire la voce. Allunga le mani verso di me, mi grida qualcosa, però rimango impietrito, terrorizzato, urlante, e non so cosa fare, non riesco a pensare, anche se lui continua a gridarmi di aiutarlo, di andare da lui, di prendere un ramo; l’idea di mettere piede su quella superficie bianca e insidiosa mi paralizza, e non riesco a immaginare come trovare un ramo, non riesco a pensare a cosa fare: guardo da una parte, verso gli alti alberi che sovrastano la gola nascosta, e dall’altra, lungo la riva del lago, verso la rimessa delle barche, ma non ci sono rami, c’è solo neve, neve dappertutto. Andy smette di lottare e scivola dentro il bianco.

Rimango immobile, ammutolito, intontito. Aspetto che riemerga: non succede. Faccio un passo indietro, mi volto e incomincio a correre; l’umidità appiccicaticcia e tiepida tra le cosce diventa fredda, mentre corro come un matto sotto gli alberi ammantati di neve, verso la casa.

Finisco nelle braccia dei genitori di Andy che stanno passeggiando tra i laghetti insieme ai cani; sembra che passi un’eternità prima che riesca a raccontare quello che è successo, perché la mia voce non vuole saperne di uscire. Vedo la paura nei loro occhi quando mi chiedono: «Dov’è Andrew? Dov’è Andrew?» Finalmente riesco a dirglielo, e la signora Gould lancia uno strano urlo stridulo, il signor Gould le dice di andare a chiamare gli altri in casa e di telefonare all’ambulanza e poi corre via, lungo il sentiero che porta al fiume con i quattro labrador che abbaiano eccitati dietro di lui.

Corro a casa con la signora Gould e facciamo scendere tutti — mamma, papà, e gli altri ospiti — al fiume. Mio padre mi porta in braccio. Giunti sulla riva, vediamo il signor Gould sdraiato a pancia in giù sul ghiaccio, che cerca di allontanarsi dal buco; tutti urlano e corrono di qui e di là. Scendiamo lungo il fiume, verso il punto in cui si restringe prima di precipitare nella gola; mio padre scivola e ci manca poco che mi lasci cadere. Il suo alito sa di whisky e di cibo. Qualcuno urla. Hanno trovato Andy, oltre l’ansa del fiume, nel punto in cui l’acqua riappare da sotto una crosta di ghiaccio e di neve, e gira vorticosa, ma un po’ rallentata intorno alle rocce e ai tronchi incastrati immediatamente prima del bordo della cascata, il cui rumore, oggi, anche così da vicino, risulta lontano e ovattato.

Andy è lì, bloccato fra un tronco coperto di neve e una roccia avvolta dal ghiaccio; il viso è terreo e bluastro, immobile. Suo padre entra in acqua e lo tira fuori.

Comincio a piangere, nascondendo il viso contro la spalla di mio padre.

Il medico del paese è tra gli ospiti; lui e il padre di Andy sollevano il corpo immobile, lasciano che l’acqua gli esca dalla bocca, poi lo stendono su un cappotto sopra la neve. Il medico preme il petto di Andy, mentre sua moglie gli soffia in bocca. Quando il cuore riprende a battere e dalla gola esce un gorgoglio, sembrano loro i più sorpresi. Andy viene avvolto nel cappotto e portato di corsa alla casa, immerso fino al collo nell’acqua calda e, quando arriva l’ambulanza, gli somministrano l’ossigeno.

Era rimasto sott’acqua, sotto la crosta di ghiaccio, per dieci minuti e anche di più. Il medico sapeva che alcuni bambini, certi più piccoli di Andy, erano sopravvissuti senz’aria nell’acqua fredda, ma non aveva mai visto niente di simile.