Выбрать главу

Mi sveglio di soprassalto, con un cattivo sapore in bocca e la palpebra sinistra bloccata un’altra volta. È quasi buio. Guardo l’orologio. Dove cazzo è finito ’sto Azul? Faccio un altro giro intorno alla casa. Tutte le luci sono spente. Ritorno in macchina, cerco di telefonare con il cellulare, ma ha le batterie scariche e pare proprio che la Nova non abbia un accendino. Mi dirigo verso St-Helier.

Merda! Ho appena telefonato al giornale locale, però l’amico di Frank è uscito e non vogliono darmi il numero per rintracciarlo.

Sono in una cabina telefonica vicino al porto. Osservo una Lamborghini Countach che passa rombando sulla strada e scuoto la testa, incredulo. Una Lamborghini. Larga più di due metri e alta neppure uno. Proprio la macchina giusta da usare su un’isola piena di stradine strette, tutte curve e saliscendi, e con un limite di velocità di novanta chilometri all’ora. Mi domando se il proprietario sia mai arrivato a ingranare la terza.

Forse dovrei telefonare alla polizia. «Pronto? Ho appena avvistato un povero scemo che si porta in giro l’equivalente di un’oscena somma di denaro. C’è una ricompensa?» (Allettante.)

Sono tutti irreperibili, ’sti bastardi. Frank non è a casa, Azul non è sull’elenco, provo a telefonare al giornale locale, ma non possono — o non vogliono — aiutarmi, la compagnia aerea si rifiuta di dare informazioni sui passeggeri. Riaggancio. «Merda!» urlo esasperato e la mia voce rimbomba forte dentro la cabina. Telefono a casa di Yvonne e William, però mi risponde la voce di William sulla segreteria telefonica. Mi viene in mente che Yvonne aveva accennato che sarebbe stata qualche giorno fuori casa, per lavoro. Considero l’ipotesi di chiamarla sul cellulare, ma so che lei non sopporta che lo faccia, e così lascio perdere. Oh, ’fanculo. Se fossi un investigatore privato o qualcosa del genere, me ne tornerei a casa del signor Azul, troverei il modo di entrare e scoprirei qualcosa di veramente interessante: un cadavere, o magari una bellissima donna (oppure mi farei dare una botta in testa e mi sveglierei rinsavito). Invece sono stanco, ho ancora mal di testa, ho esaurito le idee e mi sento a pezzi, persino imbarazzato, maledizione. Che cazzo ci faccio in questo posto? Cosa mi aspettavo? Diamine, stamattina sembrava un’idea così geniale…

Faccio ancora in tempo a prendere il volo di ritorno per Blighty che fa coincidenza con l’ultimo volo per Inverness. Al diavolo l’articolo. A volte una ritirata strategica è l’unica soluzione. Persino il benedetto sant’Hunter sarebbe d’accordo. Se proprio sento il bisogno di fare qualcosa, posso sempre dar sfogo alla mia creatività cercando d’inventare una storia che plachi le ire di Eddie. Sì, sarà facile! Riporto la Nova all’aeroporto.

Ho un’ora da far passare. È tempo di andare al bar. Comincio con un bloody mary, perché, in un certo senso, si tratta della colazione, poi mi pulisco il palato con una bottiglia di Pils. Compro un pacchetto di Silk Cut e ne fumo una con concentrazione — facendo attenzione a godermela, non fumandola solo per abitudine — poi riesco a mandar giù anche un paio di gin and tonic belli robusti e ristoratori prima che chiamino il volo; così mi rimane appena il tempo di un solitario whisky buttato giù di corsa, giusto per dare un minimo di supporto morale alle esportazioni scozzesi.

Quando salgo sull’aereo non sento più alcun dolore, consumo la frettolosa cena precotta e proseguo a gin and tonic; atterro a Gatwick e, dopo una sosta nella zona fumatori del bar e un altro Gordon mandato giù di corsa, prendo la coincidenza. In aereo, rinuncio al secondo pasto della sera, ma non agli alcolici che lo accompagnano, poi mi addormento tranquillamente in qualche punto sopra le Midlands. Vengo svegliato da una bionda piuttosto figa, con un sorriso reso impudente dalle fossette: siamo qui, siamo arrivati, siamo atterrati, siamo in attesa al gate. Le chiederei che cosa fa più tardi, perché sono abbastanza sbronzo da non prendermela quando mi dirà di no, ma so di essere troppo stanco e di avere nuovamente la palpebra sinistra inchiodata; temendo che tutto ciò mi dia un’aria da gobbo di Notre-Dame, mi limito a risponderle con un: «Ah, grazie», che può suonare distaccato, o forse triste, non saprei.

Entro nel terminal pensando che, se non altro, l’odore di fogna che a volte ti assale quando arrivi nella cara vecchia Edimburgo sembra sparito. Non credo che riuscirei a sopportarlo, in questo momento. Proseguo verso l’atrio degli arrivi, ma c’è qualcosa che non va. Arrivato nel punto in cui l’atrio si unisce al terminal principale mi fermo di botto, assalito improvvisamente da un senso di orrore e di confusione. È tutto troppo piccolo, e non ha la forma giusta! Questa non è Edimburgo! ’Sti cordiali buffoni incompetenti mi hanno portato nell’aeroporto sbagliato! Teste di cazzo! Non sanno neppure seguire una rotta? Cristo, ci scommetto che non c’è neppure un volo di ritorno da… Dove diavolo mi trovo?

Scorgo il cartello che annuncia BENVENUTI A INVERNESS e contemporaneamente ricordo dove ho lasciato la macchina e da dove sono partito questa mattina: il tutto solo un attimo prima di arrivare al bancone più vicino per chiedere, con il tono più offeso e indignato, di essere riportato immediatamente a Edimburgo, su un Lear privato se necessario, oppure condotto in limousine al più vicino albergo a cinque stelle, per cena, pernottamento, colazione e illimitato accesso al bar, il tutto naturalmente a spese della compagnia aerea.

Una figura da emerito stronzo scampata per un pelo.

La gente che mi passa vicino mi guarda in maniera strana. Scuoto la testa e con calma faccio rotta verso il parcheggio.

È già un po’ tardi e non sono assolutamente in condizioni di guidare. Prendo la 205, ma non vado oltre la periferia di Inverness; mi fermo dopo pochi minuti alla prima insegna accesa di Bed and Breakfast che incontro. Parlo lentamente e con educazione con la gentile coppia di mezza età di Glasgow che lo gestisce, poi auguro loro la buonanotte, chiudo la porta della mia stanza e mi addormento immediatamente sul letto senza neppure togliermi la giacca.

FUOCO AMICO

Mi dirigo a sud dopo quella che considero una vigorosa colazione e un ancor più vigoroso accesso di tosse. Faccio rifornimento a una piccola stazione di servizio subito prima d’immettermi sulla A9, e, mentre mi fanno il pieno, telefono a Fettes.

Il sergente Flavell mi sembra un po’ sconcertato quando gli dico che sono stato a Jersey e che ora sto tornando a Edimburgo. Gli chiedo se posso riavere il mio laptop nuovo e lui mi risponde che non lo sa. Mi suggerisce di andare subito da loro, perché vogliono parlarmi. Gli dico che va bene.

Prendo la A9 in direzione sud; mi fanno compagnia Michelle Shocked, i Pixies, Carter e Shakespear’s Sister. Nei dintorni di Perth, mentre sto cambiando cassetta, sento un po’ di radio. Stanno trasmettendo una canzone di Bon Jovi che s’intitola I’ll Sleep When I’m Dead che non ha niente a che fare con la canzone di Uncle Warren che ha lo stesso titolo, e questo mi fa incavolare più del dovuto. Arrivo a Edimburgo poco dopo l’ora di pranzo e passo sotto i cartelli che annunciano trionfanti l’ormai prossimo Eurosummit. Non so come ci siano riusciti, ma i cartelli sono stampati con caratteri che mi fanno venire voglia di pronunciare la parola «Eurosummit» come «Edìn-bùrg», e io ci vivo in questo posto, per Dio!

Cristo, ’fanculo il potere di dissuasione indipendente, il Vero Articolo di Merda, il fottuto filtraggio a freddo, Edìn-bùrg, Edìn-summit, Dormirò Quando Sarò Morto mentre invece adesso sono soltanto un normalissimo bianco di mezza età con i capelli lunghi e la voce stridula, una testa di cazzo, uno sfigato a metà strada tra un grunge e un clone dei Led Zeppelin in versione metallara. Che montagna di cazzate!

In Ferry Road, in vista della ridicola guglia della Fettes School e a solo pochi minuti dalla centrale di polizia, mi accendo la prima sigaretta del giorno: non ne ho voglia, ma mi sento giù. (Uncle Warren ne avrebbe da dire, al riguardo.)