«Allora?» dico, appoggiandomi allo schienale. Indosso la casacca blu della prigione — aperta sul collo, ovviamente — e ho ancora i jeans che portavo quando mi hanno arrestato. Senza cintura non mi stanno tanto bene; a dire il vero sono un po’ sformati sul sedere, ma di questi tempi il look non è in cima alle mie priorità.
«Dunque», fa McDunn consultando il suo taccuino, «abbiamo trovato alcune persone che credono di ricordare di averla vista al Broughton Arms Hotel la notte di domenica 25 ottobre, quando è stato assassinato Sir Rufus.»
«Bene, bene.»
«E il lasso di tempo in cui poteva andare a Londra per aggredire Oliver, se si calcola le volte in cui lei — o chiunque sia — è stato visto nei gabinetti di Tottenham Court Road, è piuttosto stretto. Quel giorno tutti i voli da Edimburgo a Heathrow portavano ritardo… e questo rende la cosa decisamente impossibile.»
«Magnifico», dico, dondolandomi avanti e indietro sulla sedia. «Magnifico.»
«A meno che lei non avesse un sosia a Edimburgo oppure che un sacco di persone stiano mentendo», prosegue lui, «significa che lei doveva avere un complice a Londra, qualcuno che ha pagato per… hmm, fare la raccolta.» McDunn mi rivolge uno sguardo fermo. Non riesco ancora a decifrarlo; non sono in grado di capire se pensa che questo sia possibile oppure no, se pensa che questa sia una prova del fatto che non sono il suo uomo, oppure se crede che sia io, e che qualcuno mi abbia aiutato.
«Be’, senta», sbotto, «fate un confronto all’americana.»
«Su, su, Cameron», dice McDunn con indulgenza. Non è la prima volta che lo chiedo, e continuo a chiederlo perché non mi viene in mente altro. Il signor Azul, rimasto senza arti, penserà che sono io l’uomo che ha visto sulla porta? E i ragazzi di vita dei gabinetti di Tottenham Court Road? I poliziotti sono convinti che io abbia la corporatura giusta, e sospettano che l’uomo gorilla indossasse una parrucca e i baffi finti; forse addirittura denti finti. Mi hanno scattato qualche foto molto da vicino con una grossa macchina fotografica e ho il sospetto — da un paio di particolari che probabilmente non si aspettavano afferrassi — che queste foto verranno usate come base da manipolare al computer per vedere quanto corrispondo alle immagini del film. Comunque, la conclusione è che McDunn non crede che sia ancora il momento di un confronto. Mi studia con un’espressione seria e paterna e dice: «Non credo proprio che sia il caso, no?»
«Su, McDunn, mi dia una possibilità. Sono disposto a fare qualsiasi cosa. Voglio uscire di qui.»
McDunn giocherella con il pacchetto di sigarette, facendolo girare in tondo sul tavolo un paio di volte. «Be’, questo dipende da lei, Cameron.»
«Eh? Che intende dire?»
Oh, è riuscito ad agganciarmi. Sono tutt’orecchie, chino in avanti, gomiti sul tavolo, viso sollevato verso di lui. In altre parole, ho abboccato. Qualsiasi cosa intenda darmi a bere, me la berrò.
«Cameron», scandisce, come se fosse giunto a una decisione molto importante, e intanto aspira aria tra i deriti. «Lei sa che io non credo che sia stato lei.»
«Oh, bene!» esclamo, ridendo; poi mi appoggio allo schienale e mi guardo intorno, scruto le pareti nude e l’agente seduto di fianco alla porta. «E allora perché cazzo sono qui?»
«Non dipende da me, Cameron», spiega lui con tono paziente. «Lo sa.»
«E allora…?»
«Lasci che sia franco con lei, Cameron.»
«Oh, sia franco quanto vuole, ispettore.»
«Non credo che sia stato lei, Cameron, ma sono convinto che lei sappia chi è l’assassino.»
Mi porto una mano alla fronte, abbasso lo sguardo e scuoto la testa, poi sospiro con fare teatrale e lo fisso, abbassando le spalle. «Non so chi è, McDunn. Se lo sapessi, ve lo direi.»
«No, lei non ce lo può ancora dire», precisa McDunn, pacato e comprensivo. «Lei sa chi è, ma… non sa di saperlo.»
Lo fisso a bocca aperta. Ora si mette a fare il metafisico. Oh, merda! «Sta dicendo che si tratta di qualcuno che conosco.»
McDunn allunga una mano, con il palmo rivolto all’insù, e sorride. Decide di far girare il pacchetto di sigarette sul tavolo invece di parlarmi, così parlo io. «Be’, questo non lo so, ma una cosa è certa: si tratta di qualcuno che conosce me; insomma, quel biglietto scritto da me lo dimostra. Oppure ha qualcosa a che fare con quei tizi del…»
«…del Lake District», conclude McDunn con un sospiro. «Già…» L’ispettore è convinto che la mia teoria, secondo la quale sono i Servizi segreti che cercano d’incastrarmi, sia paranoia allo stato puro. «No.» Scuote la testa. «Credo che sia qualcuno che lei conosce, Cameron, qualcuno che lei conosce bene. Vede, credo che lei lo conosca bene… quanto… quasi quanto lui conosce lei. Suppongo che lei possa dirmi chi è. Davvero. Deve semplicemente pensarci.» Mi sorride. «È soltanto questo che lei deve fare per me. Deve semplicemente pensare.»
«Semplicemente pensare», ripeto, annuendo. Anche lui annuisce. «Semplicemente pensare», continuo a ripetere. McDunn continua ad annuire.
Estate a Strathspeld: il primo giorno dell’anno veramente torrido, un’aria calda e satura del profumo di ginestra che ricorda quello del cocco — quella ginestra che colora di giallo carico le colline — e dell’aroma dolce e pungente della resina di pino, che scende a goccioline sino a formare grosse bolle traslucide sui tronchi ruvidi. Gli insetti ronzavano e le farfalle riempivano le radure di silenziose esplosioni di colori. Nei campi, un re di quaglie correva, a capo chino, e il suo strano richiamo, quasi un suono di percussioni, si diffondeva monotono nell’aria satura di odori.
Andy e io arrivammo fino al lago e al fiume; arrampicandoci sulle rocce, prima risalimmo il fiume e poi discendemmo per osservare i pesci che guizzavano pigri fuori delle acque calme del lago, oppure si gettavano sugli insetti che ne punteggiavano la superficie piatta; li azzannavano da sotto il pelo dell’acqua, li uccidevano e li inghiottivano, lasciando solo lievi increspature. Ci arrampicammo anche su qualche albero in cerca di nidi, ma non ne trovammo.
Ci togliemmo le scarpe e le calze e cominciammo a sguazzare tra i giunchi che circondavano la piccola baia nascosta e frastagliata in cui il ruscello, quello che scendeva dal laghetto ornamentale vicino alla casa, si gettava nel lago, un centinaio di metri più in su lungo la riva, oltre la vecchia rimessa per le barche. Avevamo il permesso di tirare fuori la barca da soli purché indossassimo i giubbotti di salvataggio ed era appunto quello il nostro programma, ma ce lo riservavamo per dopo: saremmo andati a pesca o a fare un giretto.
Salimmo sulle basse colline a nord-ovest del lago e ci sdraiammo nell’erba alta sotto i pini e le betulle; rimanemmo lì a guardare la collina boscosa che si estendeva sull’altro lato della piccola radura, dove si trovava il vecchio tunnel della ferrovia. Più in là, nascosta da un’altra cresta boscosa, c’era la strada principale che portava a nord, ma il rumore del traffico ne tradiva la presenza soltanto se il vento soffiava da quella direzione. Ancora più oltre, le cime verdi e marrone dorato delle Grampian Mountains meridionali svettavano nel cielo azzurro.