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Più tardi, quella sera, saremmo andati tutti a Pitlochry, a teatro. Sulle prime l’idea non mi aveva entusiasmato — avrei preferito un film — ma Andy pensava che fosse una gran cosa e così mi ero convinto anch’io.

Andy aveva quattordici anni, io ne avevo appena compiuti tredici ed ero molto orgoglioso della mia nuova condizione di teenager (e, come sempre, del fatto che per i due mesi seguenti sarei stato più giovane di Andy di un solo anno). Rimanemmo sdraiati nell’erba a guardare il cielo e le foglie tremolanti delle betulle argentate, a succhiare cannucce e a parlare di ragazze.

Frequentavamo scuole diverse: Andy era interno in una scuola esclusivamente maschile a Edimburgo, e tornava a casa durante i fine settimana. Io invece frequentavo la scuola superiore locale. Avevo chiesto a mamma e papà se potevo andare in collegio — quello di Edimburgo che frequentava Andy, per esempio — ma loro avevano risposto che non mi sarebbe piaciuto e che costava un sacco di soldi. Senza contare che là non ci sarebbero state ragazze: non mi preoccupava la cosa, eh? A dire il vero, questo commento mi mise un po’ in imbarazzo.

Anche l’osservazione economica mi lasciò confuso: ero abituato a considerare benestante la mia famiglia. Papà gestiva una stazione di rifornimento sulla strada principale che attraversava Strathspeld e mamma aveva un piccolo negozio di drogheria e di articoli da regalo. Dopo la Guerra dei sei giorni, quando avevano introdotto il limite di velocità di ottanta all’ora, razionando inoltre la benzina, papà era molto preoccupato; la cosa però si era risolta in fretta e, anche se il prezzo della benzina era salito, la gente aveva continuato a viaggiare e a spostarsi in automobile.

Sapevo bene che la nostra villetta moderna nella zona più periferica del villaggio, sopra il Carse, non era importante come la casa dei genitori di Andy, che era praticamente un castello e aveva il suo parco privato con stagni, ruscelli, statue, laghetti, fiumi, colline, boschi e persino la vecchia ferrovia che la attraversava in un angolo: era in effetti un grande giardino, immenso se paragonato al nostro unico acro di prato e di cespugli. Ma non avevo mai pensato che dovessimo preoccuparci tanto dei soldi; certo, ero abituato ad avere più o meno tutto quello che desideravo, e ormai lo consideravo una specie di diritto, come d’altronde fanno i figli unici quando i genitori non si comportano nei loro confronti in modo apertamente ostile.

Non mi era mai passato per la mente che gli altri bambini non fossero viziati come lo ero io, e ci sarebbero voluti anni — nonché la morte di mio padre — prima di capire che quella della spesa per mandarmi in collegio era stata soltanto una scusa: la semplice, affettuosa verità era che non volevano sentire la mia mancanza.

«No, non è vero.»

«Ti assicuro di sì.»

«Stai scherzando.»

«No.»

«Chi era?»

«Non sono fatti tuoi.»

«Ah, te lo stai inventando, impostore. Non è vero niente.»

«Era Jean McDuhrie.»

«Cosa? Stai scherzando.»

«Eravamo nella vecchia stazione. Aveva visto quello di suo fratello e voleva sapere se erano tutti uguali, me l’ha chiesto, e così io gliel’ho mostrato, ma soltanto se lei mi mostrava la sua, e così ha fatto.»

«Piccolo farabutto sporcaccione! Te l’ha lasciata toccare?»

«Toccare?» ripetei, sorpreso. «No!»

«Ah! Allora…!»

«Allora cosa?»

«Bisogna toccarla.»

«No, invece. No, se vuoi soltanto vederla.»

«Ma certo che devi toccarla.»

«Balle!»

«E com’era? C’erano dei peli, sopra?»

«Peli? Puah! No.»

«No? E quando è successo?»

«Non tanto tempo fa. Forse l’estate scorsa. Non me lo sto inventando, davvero.»

«Hmm.»

Ero contento che stessimo parlando di ragazze, perché pensavo che fosse un argomento in cui i due anni in più di Andy non contavano affatto: in questo avevo la sua stessa età e forse ne sapevo più di lui, perché frequentavo ragazze ogni giorno, mentre lui conosceva soltanto Clare, sua sorella. Quel giorno lei era andata a Perth, a far spese con sua madre.

«Hai visto quella di Clare?»

«Non essere disgustoso!»

«Perché disgustoso? È tua sorella!»

«Appunto.»

«Cosa vuoi dire?»

«Non sai proprio niente, vero?»

«Ci scommetto che ne so più di te.»

«Stronzate.»

Rimasi a succhiare la mia cannuccia per un po’, fissando il cielo.

«Tu ne hai peli, sul tuo?» dissi.

«Sì.»

«Non ci credo!»

«Vuoi vederlo?»

«Eh?»

«Te lo faccio vedere. Adesso è anche grosso perché abbiamo parlato di donne. Succede così.»

«Oh, sì! Guardati i calzoni! Lo vedo… Com’è grosso!»

«Ecco qua…»

«Ah! Uau!»

«Questa si chiama ‘erezione’.»

«Uau! Il mio non viene mai così grosso.»

«Be’, è normale. Tu sei ancora piccolo.»

«Fantastico! Sono un teenager, se non ti dispiace.»

Rimasi a osservare l’uccello di Andy — grande, dorato, rosso — che spuntava fuori della patta come una pianta dolcemente ricurva, come un frutto esotico che cresceva alla luce del sole. Mi guardai intorno, sperando che nessuno ci stesse osservando. Ci potevano vedere soltanto dalla cima della collina, dove si trovava la galleria del treno, e di solito nessuno arrivava fin là.

«Puoi toccarlo, se vuoi.»

«Non so…»

«Alcuni ragazzi a scuola si toccano l’uno con l’altro. Non è lo stesso che stare con una ragazza, ovviamente, però tanti lo fanno. Meglio che niente.»

Andy si leccò le dita e cominciò a passarsele su e giù sulla punta violacea del pene. «È bello. Tu lo fai già?»

Scossi la testa, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla saliva su quel cappuccio pieno, teso, che luccicava sotto la luce del sole. Mi sentivo un groppo in gola, una stretta allo stomaco; il mio uccello pulsava.

«Su, non startene lì così», disse Andy come se niente fosse, lasciando andare il cazzo, sdraiandosi nell’erba con le mani dietro la testa e fissando il cielo. «Fa’ qualcosa.»

«Oh… va bene», risposi con un sospiro, vagamente disgustato, con la mano che mi tremava. Gli presi l’uccello e tirai su e giù.

«Piano!»

«Va bene.»

«Sputa sulle dita.»

«Accidenti, non so come…» Mi sputai sulle dita; scoprii che la pelle era abbastanza libera da poter essere tirata su e giù sulla punta, e per un po’ feci così. Andy trasse un respiro più profondo, mi posò una mano sulla testa e mi accarezzò i capelli.

«Potresti usare la bocca», disse con voce rotta. «Se ti va… voglio dire.»

«Hmm, io… non saprei. Cosa succede… Ah!»

«Oh, oh, oh…»

«Puah, che schifo!»

Andy respirò profondamente e mi diede un colpetto sulla testa, ridendo. «Niente male per un principiante», commentò.

Mi pulii la mano sui suoi calzoni.

«Ehi!»

Avvicinai il viso al suo. «Ho visto quella di Clare», gli dissi.

«Cosa? Tu…!»

Saltai in piedi e corsi via, ridendo tra l’erba e i cespugli della radura. Anche lui saltò su, imprecando e saltellando, cercando di chiudersi la patta prima di corrermi dietro.

CRESCITA

Me la ricordo, ricordo la sensazione del suo seme caldo, toccato dalla luce del sole, che si raffreddava sulla mia mano, prima scivoloso poi appiccicoso, ma non riesco più a pensarci senza che mi vengano in mente l’uomo gorilla e l’ometto grasso legato alla poltroncina. Credo che siano rimasti sorpresi quando ho vomitato; lo spero, spero che siano rimasti sorpresi e incuriositi e abbiano pensato: Guarda, guarda, dunque non è stato lui; non è lui il cattivo, lo hanno incastrato… Oh, Dio mio, spero che il mio stomaco mi abbia difeso meglio del cervello, che abbia saputo parlare per me con altre parole.