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Non sono colpevole, non sono stato io, ecco perché quello che l’uomo gorilla ha fatto mi ha schifato tanto; niente sangue, neppure una goccia, be’, soltanto una, nel vero senso della parola, un fottuto pixel sullo schermo: l’unica cosa che entrava nella carne era un ago, piccolo e delicato, non una sega a motore, un’accetta, un coltello o qualcosa del genere, no, ma è quell’immagine, quell’idea, il male stesso in persona che continua a tornare nei miei sogni, ad affollare i miei incubi, e sono io quello legato, sono io l’uomo sulla poltrona di cuoio e acciaio cromato e lui, con la sua faccia da gorilla e la sua voce stridula da bambino, è lì che spiega alla videocamera che nel flacone e nella siringa c’è dello sperma; quel pazzo fottuto l’ha riempita di sborra, ragazzi, sembra che ne abbia praticamente mezzo litro e intende iniettarla nelle vene dell’ometto e poi gli lega qualcosa intorno alla parte superiore del braccio nudo fissato alla poltrona, la stringe bene e aspetta che la vena sia ben visibile, mentre l’ometto urla e si dispera come un bambino e cerca di scuotere la poltrona per romperla, per farla a pezzi, ma è legato troppo bene e non ha un punto su cui far forza e intanto l’uomo con la maschera da gorilla procede: affonda l’ago nella carne dell’ometto facendo uscire solo una goccia di sangue e gli scarica in corpo tutta la siringa. Io vomito sul pavimento e loro fermano il video, mentre qualcuno va a prendere uno straccio.

Quando ho smesso di vomitare e di tossire, fanno ripartire il video e passiamo all’altra scena, in cui si vede l’alta poltrona da ospedale e di nuovo l’ometto con lo sguardo vuoto e McDunn parla di Stato Vegetativo Persistente.

Diamine, gli hanno fatto un test di ricerca del DNA e hanno scoperto che aveva in corpo un intero condominio; hanno collegato il fatto a un tizio che il giorno prima era andato nei gabinetti sotto Centre Point a ingaggiare ragazzi di vita, però a lui non interessava il trattamento completo, voleva semplicemente che sborrassero nella sua bottiglietta… Grazie per il tuo contributo amico, ogni piccola goccia conta, grazie, sta’ attento a quello che fai…

Sto pensando.

«Questo è l’effetto cascata, no?»

«No, è l’effetto spandimerda», spiega Clare, urlando per farsi sentire nella gran confusione. Tutti gli altri stanno applaudendo e gridando. Andy e William sono in piedi su una sedia: Andy si china in avanti, sopra una tavola carica di bicchieri, con una bottiglia di champagne in mano e l’altro braccio trattenuto da Andy che si sporge nella direzione opposta per bilanciarlo.

Sul tavolo sono impilate alcune centinaia di bicchieri da champagne che formano una piramide scintillante alta un paio di metri. Andy sta riempiendo di champagne il bicchiere posto all’apice della piramide: questo trabocca e riempie i tre bicchieri sotto di sé, e questi, a loro volta, riempiono i bicchieri al livello inferiore e così via, quasi fino alla base. Andy sta svuotando l’ottava magnum. Lancia un’occhiata all’ultimo strato di bicchieri.

«Come stiamo andando?» grida.

«Ancora! Ancora!» urlano gli altri.

«William!» grida qualcuno dalla folla. «Ti do cinquanta sterline se lo lasci andare!»

«Non pensarci nemmeno, Sorrell!» urla Andy, ridendo e inclinando sempre di più la magnum finché non è completamente vuota.

«Non per cinquanta misere sterline», ribatte William, ridendo, mentre lui e Andy continuano a oscillare. Poi Andy lancia la bottiglia vuota a qualcuno tra la folla, e il suo socio del Gadget Shop, un ex collega dell’agenzia di pubblicità, che ha qualche anno più di lui, gli porge un’altra bottiglia piena. Mi viene da pensare che, nel simbolismo di questa follia, sarebbe più consono se fosse lui a bilanciare Andy sulla sedia, ma ho l’impressione che il socio di Andy non sia un tipo così stravagante.

«Lasciami andare piano piano, Will!» urla Andy.

«Dio mio, che tentazione», ridacchia William, sporgendosi all’indietro e lasciando che Andy si chini lentamente sulla piramide di bicchieri.

«Tutto questo è infantile», borbotta Clare, scuotendo la testa.

«Cos’è che cosa?» chiede Yvonne con una bottiglia di champagne in mano, mentre si fa largo tra la folla.

«Tutto questo. Infantile», ribadisce Clare facendo un cenno con il capo alla piramide di bicchieri. Vede la bottiglia che Yvonne ha in mano. «Oh, ben fatto, donna», dice, e porge la flûte. Yvonne gliela riempie.

«Cameron?»

«Grazie.»

Riempie anche il suo bicchiere e poi rimane tra Clare e me, a osservare Andy che continua a versare champagne dalla cima della piramide. Yvonne indossa un vestitino nero che, ai miei occhi inesperti, potrebbe essere costato dieci sterline come mille; Clare è vestita in modo più appariscente, con un abito corto rosso scintillante che sembra dire: «Da grande voglio fare l’abito da sera». Andy e William sono rigorosamente in grigio, ma si sono tolti la giacca per l’operazione «cascata di bollicine».

«Ragazzi!» sbotta Yvonne, ridendo con aria dolente e affettuosa.

Mi guardo intorno. Quando Andy mi aveva invitato all’inaugurazione del Gadget Shop, avevo dato per scontato che si sarebbe tenuta nella nuova sede del negozio, a Covent Garden. Quel luogo, tuttavia, non soddisfaceva lo slancio esibizionista di Andy: non era né abbastanza sfavillante, né abbastanza drammatico, né abbastanza grandioso. Quindi lui aveva preso in affitto il Museo della scienza. O meglio, una parte di esso. Questo aveva suscitato l’interesse della gente. Un negozio è pur sempre un negozio, anche se vende giocattoli costosi ed esclusivi per adulti, ma un museo… be’, è affascinante. Il più affascinante è sicuramente il Museo di storia naturale — dare una festa all’ombra dei dinosauri in quello spazio enorme sarebbe stato semplicemente perfetto —, ma, per il Gadget Shop, il Museo della scienza era la sede più ovvia, senza contare che costava pure meno. Inoltre, tutti quelli che contano erano sicuramente già stati a qualche ricevimento al Museo di storia naturale; lì, invece, mai.

Sopra di noi c’è un enorme hovercraft, appeso un po’ di sghimbescio a cavi di metallo: un enorme coso praticamente rotondo con una cabina piccolissima e una spaventosa presa d’aria cilindrica al centro. Ricordo vagamente di averne costruito uno con i kit dei modellini Airfix, quando ero piccolo. Galleggia sopra di noi, scintillante nella penombra, come se fosse tenuto in aria da una nuvola di parole e di alcool, mentre la folla brulicante chiacchiera senza posa e festeggia Andy; lo champagne — che sta già colando dal bordo del tavolo sulla protezione sistemata sul pavimento — è quasi arrivato a riempire i bicchieri del penultimo livello.

«Di più! Di più!» urla la gente.

«Oh, di meno, di meno», borbotta Clare, con aria di disapprovazione.

«Manca molto?» urla Andy.

«Di più! Di più!» risponde la folla.

Li guardo. Cristo, sono tutta gente come me. Gente del mondo dei mass media, gente dell’agenzia di pubblicità che Andy ha appena lasciato, qualche politico — per la maggior parte Tories o socialdemocratici, anche se ci sono pure due o tre laburisti —, banchieri, avvocati, consulenti, consulenti finanziari, attori, gente della TV — almeno una troupe televisiva, anche se i riflettori per il momento sono spenti — e altri personaggi di vario genere, gente che è, be’, professionalmente nota, e per il resto gente che sembra far parte di un enorme metaparty, oppure scritturata apposta per impersonare gente che si sta divertendo un sacco: affittati-un-party o qualcosa del genere. Sono un po’ sorpreso che non abbiano pensato a una torta con modella seminuda incorporata, ma forse sarebbe stato un po’ troppo plebeo per Andy. Clare mi ha detto che c’è voluto del bello e del buono per convincerlo — una volta deciso a compiere la non proprio elegantissima acrobazia della piramide di bicchieri — a non usare vere flûte da champagne, ma coppe, come fanno tutti; con le flûte, la piramide sarebbe diventata troppo alta e troppo instabile.