«Perché la gente è così fottutamente incompetente?» urlò all’improvviso Andy, e scagliò il bicchiere di whisky dall’altro lato della stanza. Andò a colpire la parete di fianco alla finestra e si ruppe. Mi tornò in mente la pila di bicchieri da champagne che si era disintegrata al Museo della scienza, soltanto quattro anni prima. Il whisky rimasto nel bicchiere formò una chiazza marroncina sul muro. Rimasi a fissare il liquido che colava lentamente.
«Scusa», borbottò Andy, per niente dispiaciuto, alzandosi malfermo dalla poltrona e andando verso il punto in cui, sulla moquette, giacevano i pezzi di bicchiere rotto. Si chinò e cominciò a raccoglierli, quindi li lasciò ricadere, si accucciò, si coprì il volto con le mani e cominciò a piangere.
Lo lasciai piangere per un po’, poi andai da lui, mi accucciai al suo fianco e gli posai una mano sulla spalla.
«Perché la gente è così fottutamente inutile?» singhiozzò. «Ti mollano, non sanno fare il loro mestiere! Quel pezzo di merda di Halziel! Quel coglione del capitano Lingary, lui e la sua fottuta medaglia al valore… Tutti stronzi!»
Si alzò, staccandosi da me. Si avviò barcollando verso un cassettone di legno e tirò fuori un cassetto che cadde rumorosamente per terra, rovesciando numerosi maglioni. S’inginocchiò e allungò una mano dietro il cassetto; sentii il rumore di un nastro adesivo che veniva strappato.
Andy si rialzò, reggendo una pistola automatica; poi cercò d’infilare un caricatore. «Preparati per una bella lobotomia, mio caro dottor Halziel del cazzo», biascicò, sempre piangendo e cercando inutilmente d’inserire il caricatore nella pistola.
Halziel, pensai. Halziel. Il nome di Lingary non mi era nuovo: Andy me l’aveva citato raccontandomi delle Falkland. Era stato il suo comandante, la persona che Andy riteneva responsabile per la morte di alcuni dei suoi uomini. Ma Halziel… Ah, sì, certo! Era il medico che aveva lasciato morire Clare. Il tizio che, a detta dei locali, era più interessato a pescare che a fare il medico.
«E caricati, stronza!» urlò Andy, rivolto alla pistola.
Mi alzai, assalito da un gelo improvviso. Non mi era successo quando lo avevo visto sparare con il fucile. Allora non avevo avuto paura di lui. Ora, sì. Non ero per niente sicuro di fare la cosa giusta, però mi alzai e andai verso di lui proprio mentre riusciva a far scivolare il caricatore al suo posto.
«Ehi, Andy», gli dissi, «su, smettila…»
Lui mi fissò come se mi vedesse per la prima volta. Aveva il volto tutto rosso, a chiazze, e striato di lacrime. «Piantala, Colley, brutto stronzo. Anche tu mi hai mollato, ricordi?»
«Ehi, ehi», feci, tendendo le mani in avanti e arretrando di un passo.
Andy si precipitò contro la porta, la aprì e quasi cadde lungo disteso sul pianerottolo. Lo seguii per le scale, mentre continuava a urlare e imprecare. Giunto nell’ingresso, tentò d’infilare una giacca, ma non riuscì a far passare nella manica la mano che teneva la pistola. Quindi spalancò la porta con una tale violenza che andò a colpire il fermo: il pannello di vetro andò in frantumi. Mi guardai intorno, stordito, aspettandomi di veder spuntare i signori Gould: niente. Andy spinse con il palmo il battente ancora chiuso, lo aprì e scomparve nella notte.
Gli andai dietro: stava cercando di salire sulla Land Rover. Mi fermai di fianco a lui, mentre imprecava contro le chiavi e batteva sul finestrino posteriore. Si mise la pistola tra i denti per avere le mani libere; ebbi l’impulso di afferrare l’arma, ma poi rinunciai, pensando che avrei finito con l’uccidere uno di noi e che, in ogni caso, lui era molto più forte di me e se la sarebbe ripresa.
«Andy», dissi, cercando di sembrare calmo. «Su, è pazzesco. Smettila. Sii ragionevole, amico. Uccidere quella testa di cazzo di Halziel non riporterà indietro Clare…»
«Sta’ zitto!» urlò Andy, gettando via le chiavi; mi afferrò per il colletto e mi gettò contro la fiancata della jeep. «Chiudi quel cazzo di bocca, stupido stronzo! Lo so perfettamente che niente la riporterà indietro! Lo so!» Mi sbatté la testa contro il finestrino della Land Rover. «Voglio soltanto essere sicuro che ci sia uno stupido stronzo incompetente in meno nel mondo!»
«Ma…»
«Ah, sta’ zitto!»
Mi colpì sul viso con la pistola: un colpo di striscio, poco efficace, dettato più dalla rabbia cieca che dal desiderio di far male; io caddi, non tanto per la forza del colpo, quanto perché mi sembrava di doverlo fare. Sentii dolore, comunque. Rimasi sdraiato sulla ghiaia, a faccia in su. Solo allora mi resi conto che stava piovendo.
Ero vagamente preoccupato che mi sparasse. Ma poi Andy sbatté la pistola contro la jeep e mollò un calcio alla portiera.
«Cristo!» tuonò. Diede un altro calcio alla macchina. «Cristo!»
Ero fradicio. Sentivo l’acqua che m’impregnava la maglia e mi bagnava la schiena.
Andy si chinò su di me e mi guardò. Strabuzzò gli occhi.
«Stai bene?»
«Sì», dissi con aria stanca.
Armeggiò con la pistola e la mise dietro la schiena, infilandola nella cintura dei calzoni, poi mi tese una mano. La afferrai. Mi tornarono alla mente Andy e William, in bilico sulla sedia sotto il vecchio hovercraft.
Andy mi tirò su. «Scusa se ti ho colpito», borbottò.
«Scusa se sono stato un idiota.»
«Oh, Cristo…» Mi posò la testa su una spalla, respirando forte, ma senza piangere. Gli diedi qualche pacca sulla testa.
Sto ancora pensando.
Yvonne e io, nel Queensberry meridionale, un paio di estati fa, sull’altro lato della strada rispetto all’Hawes Inn e allo scivolo sottostante gli alti pilastri di pietra del ponte della ferrovia, il fiume largo un chilometro e mezzo davanti a noi, la gente che passeggia per i marciapiedi e su e giù lungo il molo, ogni tanto una zaffata di cipolle fritte che arriva dallo snack bar di fianco alla baracca del Servizio di salvataggio. Ci trovavamo là per assistere alle prodezze di William, alle prese con la moto d’acqua nuova di zecca. Il tutto consisteva essenzialmente nel salire sulla moto, partire, cercare di girare troppo velocemente e cadere in acqua con un tuffo coreografico. Poi la testa bionda riaffiorava in superficie, si scrollava e si avviava ballonzolando in direzione della moto. Ce n’erano altre tre che ronzavano in quel tratto di fiume, e qualche motoscafo con gente che faceva sci d’acqua: un gran casino, ma riuscivamo comunque a sentire William che rideva. Sembrava che comprare un aggeggio terribilmente costoso e passare la maggior parte del tempo a cadere in acqua nel tentativo di usarlo fossero per lui le cose più divertenti del mondo.
«A cosa servono in realtà ’sti aggeggi?» chiesi.
«Cosa, le moto d’acqua?» disse Yvonne, appoggiandosi al muretto e facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere colmo di succo di frutta. «A divertirsi.» Guardò William che s’inclinava per girare, schivava un’altra moto per un pelo e incrociava la scia di un motoscafo, finendo in acqua — con una nuova variante del suo vasto repertorio di tuffi — dopo aver fatto una capriola al di sopra del manubrio della moto, e cadendo infine di schiena in una nuvola di spruzzi. La sua risata si levò più forte del ruggito dei motori. Ci fece un cenno con una mano per comunicarci che era tutto a posto, poi, sempre ridendo, tornò a nuoto verso la moto che galleggiava. Yvonne si mise gli occhiali da sole. «A divertirsi, ecco a che cosa servono.»
«A divertirsi», ripetei, annuendo. William rideva ancora. Osservai Yvonne che lo stava fissando. Ci fece un altro cenno con la mano mentre risaliva sulla moto. Lei rispose al saluto. Ma mi parve annoiata.